collaborazionismo

Benché la collaborazione con una potenza occupante sia un fenomeno non raro nella storia delle guerre, il termine “collaborazionismo” fu adottato a partire dalla seconda guerra mondiale per indicare, con una connotazione negativa, particolari forme di sintonia ideologica e pratica tra parti del mondo politico, dell’amministrazione e dell’opinione pubblica di un paese con le direttive della Germania nazista occupante. Il fenomeno si presentò, con modalità e intensità diverse (dalla formazione di governi all’impegno militare dei singoli), in tutti i paesi europei occupati. Egualmente differenti furono le motivazioni addotte dalle forze implicate: dalla semplice mancanza di alternative all’affinità ideologica fondata su tradizioni autoritarie e/o nazionaliste, dall’opportunismo al desiderio di partecipare alla crociata antibolscevica. Veicoli e strumenti del collaborazionismo non furono solo i movimenti e partiti che si ispiravano al fascismo – le cui istanze nazionalistiche e autonomistiche potevano anzi intralciare i piani nazisti di totale asservimento e sfruttamento dei paesi occupati – ma anche le élites intellettuali, le forze economiche e soprattutto gli apparati statali e amministrativi, meno inclini all’insubordinazione. I casi più noti e rilevanti di collaborazionismo – che esercitarono un ruolo importante nella repressione della resistenza partigiana – furono quelli di Quisling in Norvegia, del regime di Vichy in Francia e della Repubblica Sociale in Italia.