clientelismo

Originariamente definito in riferimento ai rapporti di dipendenza tra patrizi e plebei (clientes) nella Roma antica, il termine clientelismo designa un modo di regolare i rapporti in società basato sulla relazione di scambio tra due soggetti, nella quale l’uno, il “patrono”, offre o promette benefici di autorità (beni pubblici) in modo particolaristico e al di fuori delle modalità formalmente prescritte, e l’altro, il “cliente”, abdica all’esercizio in autonomia di un proprio diritto civile o politico a vantaggio esclusivo del patrono. Lo schema classico è lo scambio di voti contro favori: il patrono (un notabile locale o un politico nazionale) distribuisce, ad esempio, pensioni d’invalidità o posti di lavoro in cambio di voti di preferenza alle elezioni politiche o amministrative. Solitamente un patrono dispone di una pluralità di clienti, a volte molto estesa e gestita con metodi organizzativi. Lo scambio clientelare può intercorrere anche tra soggetti collettivi, come nel caso di una frazione organizzata di partito e una categoria professionale o una collettività locale, che vogliano ottenere, in cambio di sostegno elettorale, risorse pubbliche o provvedimenti di legge a esse favorevoli, quali, ad esempio, sgravi fiscali o la costruzione di un’infrastruttura. Il clientelismo è una forma di particolarismo che si sviluppa, persiste e resiste alla penetrazione dello stato di diritto e del mercato, vettori, questi, di valori e pratiche universalistiche. Le sue basi vanno ricercate nel misto di solidarietà e di gerarchia dell’onore tipiche di certe forme di comunità. Esso alligna e perdura, infatti, nelle regioni meno sviluppate economicamente dell’area mediterranea e in America latina. Forme estese e storicamente radicate di clientelismo sono attive anche in Giappone. Per il fatto di controllare e destinare risorse pubbliche in modo particolaristico, il clientelismo è un fattore di contaminazione della democrazia e di corruzione del costume e della morale pubblica.