clero

Nella chiesa cattolica, l’insieme di coloro che hanno abbandonato lo stato laicale per entrare in quello clericale. La distinzione del corpo ecclesiale nelle due componenti del clero e del laicato si precisò verso la fine del I secolo allorché gli addetti a funzioni di culto e di amministrazione, non diversi alle origini per condizione dagli altri fedeli, si costituirono come uno strato separato dal resto del popolo di Dio, destinatario ma non detentore di tali funzioni. A partire da Costantino I, che avviò la politica di alleanza tra la chiesa di Roma e l’impero destinata a rafforzarsi nei secoli successivi, il clero cominciò a configurarsi come uno strato a parte anche nella società. Il suo peso economico, politico e sociale, oltre che spirituale, crebbe costantemente fino a raggiungere una posizione dominante nell’ordinamento feudale (feudalesimo), all’interno del quale costituì uno dei grandi ordini o ceti privilegiati e di gran lunga il più organizzato. Il clero possedeva nel medioevo un immenso patrimonio, frutto di donazioni da parte dei sovrani nonché dei fedeli di più alto livello; godeva del diritto di scomunica, in caso di offesa portata a uno dei suoi membri; era sottratto alla giustizia civile ed esentato dagli obblighi civili e militari così come dal pagamento delle imposte. Esistevano però al suo interno differenze di condizione enormi tra l’alto e il basso clero, differenze che andarono accentuandosi via via che le alte cariche della gerarchia divennero appannaggio dei figli dell’aristocrazia. Con l’affermazione dei grandi stati moderni (XIV-XV secolo) in Europa ebbe inizio il processo di ridimensionamento del ruolo del clero, che fu lungo e tormentato e si concluse, tra il XVIII e il XIX secolo, con la nascita dello stato liberale ispirato al principio della separazione tra stato e chiesa.