classe sociale

La divisione della società in gruppi gerarchicamente disposti all’interno di sistemi strutturati di diseguaglianze sociali è un dato quasi universale. La classe sociale costituisce uno di questi gruppi e si caratterizza per essere un raggruppamento di fatto e non di diritto, in via di principio aperto e non chiuso, acquisito e non ascritto. Questo tipo di definizione, oggi comunemente accettato, limita l’ambito di applicazione del concetto a quei tipi di società in cui non esistono ostacoli di natura giuridica o religiosa (come invece nelle società schiaviste, di casta o di ceto) al passaggio da una classe a un’altra e implica che si possa parlare di classi sociali in senso proprio soltanto dopo l’avvento dei regimi di democrazia liberale e la conseguente affermazione dei principi di libertà e di eguaglianza. Nell’Europa occidentale tale processo giunge a compimento, con modalità e in tempi diversi da paese a paese, nel corso del XIX secolo e in concomitanza con lo sviluppo del capitalismo industriale, in relazione al quale furono elaborate le prime teorie sulle classi sociali e sulle logiche di riproduzione delle diseguaglianze sociali. A partire da allora i concetti di classe e di agire di classe hanno rappresentato uno dei principali strumenti analitici per la spiegazione sociologica del conflitto e del mutamento sociale. Semplificando, si possono individuare due modi fondamentali e alternativi di concepire le classi sociali che si differenziano in primo luogo a partire dal criterio di individuazione delle classi stesse. Per la prima concezione, detta anche realista o organica, una classe sociale è formata da individui che occupano la medesima posizione nel processo produttivo o che svolgono la medesima funzione nell’organizzazione sociale globale. Le classi stanno tra loro in rapporti di interdipendenza relativamente stabili, formano cioè una struttura, la cui dimensione orizzontale è data dalla divisione del lavoro sociale e quella verticale dall’accesso differenziato alle risorse prodotte. La collocazione di classe determina in larga misura il destino di vita, i consumi, la mentalità, l’ideologia di coloro che ne fanno parte, sicché le classi si configurano, in certe condizioni, come soggetti collettivi portatori di interessi comuni e in quanto tali capaci di una azione unitaria. Per la seconda concezione, detta anche ordinale o nominalistica, le classi sociali sono formate da individui che godono della medesima posizione rispetto a quelle che vengono considerate le dimensioni rilevanti della stratificazione sociale; solitamente la ricchezza, il prestigio e il potere. In questa accezione, che è sinonimo di strato, le classi sociali costituiscono non delle entità concrete ma semplici aggregati statistici il cui numero e i cui confini variano in funzione dei criteri utilizzati dal ricercatore. Esse stanno tra loro in rapporto di contiguità e si dispongono secondo un ordine che è dato dal posto che occupano nel processo distributivo di una qualche risorsa valutata positivamente. Mentre la concezione nominalistica, elaborata dalla sociologia nordamericana, ha carattere prevalentemente descrittivo, la concezione realista, che ha avuto in Marx il teorico più influente, è stata utilizzata soprattutto dalla tradizione sociologica e storiografica europea a fini esplicativi. Da questa tradizione, che individua nelle classi sociali, e in particolare – a partire dalla rivoluzione industriale – nella borghesia capitalistica e nel proletariato industriale i principali agenti storici del mutamento, sono derivati alcuni tra i più significativi contributi alla spiegazione dei grandi eventi che hanno segnato il mondo contemporaneo.