Cicerone, Marco Tullio

(Arpino 106, † Formia 43 a.C.). Uomo politico e oratore romano. Appartenente a una famiglia dell’ordine equestre, studiò a Roma e in Grecia. Avviato alla carriera forense, divenne già con le orazioni Pro Quinctio (81) e Pro Roscio Amerino (80) uno dei più stimati oratori del suo tempo. Questore in Sicilia nel 75, si guadagnò la fiducia degli abitanti (li avrebbe poi difesi contro Verre nel 70). Pretore nel 66, appoggiò Pompeo (De imperio Gnei Pompei) sostenendo il trasferimento a quest’ultimo del comando della guerra mitridatica. Eletto console nel 63, sventò il tentativo di colpo di stato di Catilina, di cui gonfiò probabilmente la portata al fine di apparire agli occhi dell’opinione pubblica come il salvatore della patria. Condannati a morte in questa occasione i capi del complotto senza loro concedere l’appello al popolo, fu colpito nel 58 dalla legge di Clodio e, costretto all’esilio, si ritirò in Macedonia. Ritornato a Roma l’anno successivo, escluso ormai dal gioco politico dopo la costituzione del primo triumvirato, si ritirò a vita privata. Si dedicò allora alle sue opere (De oratore, 55, De republica, 51) adattandosi a difendere le cause dei protetti di Cesare e di Pompeo e tentando in ogni modo di mediare tra questi e l’aristocrazia più tradizionalista. Umiliato dalla sconfitta nel processo di Milone (Pro Milone), nel 51 fu proconsole in Cilicia. Tornato a Roma, fu travolto dalla guerra civile e, pur prendendo atto degli errori e dei limiti della vecchia oligarchia repubblicana, non osò tradirla. Seguì nel 49 i pompeiani in Oriente. Ricevuto dopo Farsalo (48) il perdono di Cesare, sperò per breve tempo in una cooperazione con il dittatore (Pro Marcello, Pro Ligario), ma divenuto il governo di Cesare sempre più tirannico, si ritirò nuovamente a vita privata dedicandosi agli studi (De finibus bonorum et malorum, De natura deorum, De officiis, Cato Maior de senectute, Laelius de amicitia). Accolta positivamente la notizia dell’assassinio di Cesare, e scagliatosi con le quattordici famosissime Filippiche contro Antonio, si avvicinò al giovane Ottaviano (il futuro Augusto), sottovalutandone forse l’effettiva lungimiranza politica. Dopo che questi si accordò con Antonio, fu nominato tra le vittime delle proscrizioni per la sua fedeltà alla costituzione repubblicana e fu ucciso da alcuni sicari presso la sua villa di Formia.