Cecoslovacchia

Stato formatosi nel 1918 dall’unione delle tre regioni storiche di Boemia, Moravia e Slovacchia e durato sino alla sua dissoluzione il 31 dicembre 1992, quando si formarono la Repubblica ceca (comprendente Boemia e Moravia) e la Slovacchia. Per le vicende precedenti al 1918 e successive al 1992 si rinvia alla storia dei due stati attuali.

  1. L’indipendenza della Cecoslovacchia e la prima repubblica
  2. Dal colpo di Praga alla caduta del regime comunista
  3. Il ritorno alla democrazia e la dissoluzione dello stato
1. L’indipendenza della Cecoslovacchia e la prima repubblica

Alla proclamazione della repubblica di Cecoslovacchia il 28 ottobre 1918 seguì il riconoscimento dei confini del nuovo stato con i trattati di Saint-Germain e del Trianon (1919-20). Entrarono a far parte del nuovo stato anche la Bassa Austria e la Rutenia subcarpatica. Il primo dopoguerra fu politicamente dominato dalla figura del presidente T.G. Masaryk, rimasto in carica sino al 1935, quando fu sostituito da E. Benes, in precedenza ministro degli Esteri. La vita democratica della prima repubblica (1918-38) fu caratterizzata dalla nascita di molti partiti e dalla formazione di deboli governi di coalizione fra il partito agrario, il partito socialdemocratico e il partito popolare. A rendere ancor più instabile il quadro politico si aggiungeva poi il problema delle minoranze (tedesca, ungherese e ucraina). Stato cuscinetto per ostacolare le mire espansionistiche tedesche, la Cecoslovacchia si sforzò di costruire un sistema di alleanze con le nazioni confinanti: fu firmata, in chiave antitedesca, un’intesa con la Iugoslavia (1920) e la Romania (1921), garantita dalla Francia, paese con cui la Cecoslovacchia ebbe stretti contatti in questo periodo. Nel 1921 sorse il Partito comunista cecoslovacco, grazie anche alla crescita del movimento operaio e all’influenza esercitata dalla rivoluzione d’Ottobre. In ambito economico fu attuata una radicale riforma agraria e il paese poté godere di una fase di relativa distensione politica, dopo il patto di Locarno del 1925, e di espansione economica sino alla crisi mondiale del 1929-33, quando la crescente disoccupazione provocò un inasprimento dei conflitti sociali ed etnici (in particolare fra cechi e slovacchi). Dopo lo scioglimento del movimento filonazista e di quello tedesco-nazionale sorse l’Unione dei tedeschi dei Sudeti, che appoggiò le rivendicazioni di Hitler sulla zona dei Sudeti, abitata da popolazione tedesca. Gli accordi raggiunti fra Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia alla conferenza di Monaco (1938) costrinsero il presidente Benes a consegnare il territorio alla Germania nazista e subito dopo a dimettersi. Un ulteriore passo verso la crisi fu l’annessione, da parte ungherese, della Slovacchia meridionale e della Transcarpazia e la cessione della Slesia e della zona di Cieszyn alla Polonia. Gli equilibri interni si ruppero con la formazione di un governo autonomo filofascista in Slovacchia guidato da J. Tiso (1938) e la proclamazione d’indipendenza della Rutenia (abitata da ucraini). L’allontanamento dalle nazioni democratiche occidentali facilitò il compito di Hitler, le cui armate invasero il 15 marzo 1939 Boemia e Moravia riducendole a protettorato tedesco e soggiogando anche la Slovacchia, dove si costituì un governo filonazista guidato da Tiso. A Londra si formò allora un governo in esilio sotto la guida di Benes, mentre la nazione, coinvolta nella seconda guerra mondiale, subiva gravissime perdite anche fra i civili. L’uccisione del capo nazista R. Heydrich (1942) provocò durissime rappresaglie, che raggiunsero il culmine con il massacro di Lidice. Ebbe allora inizio la lotta di liberazione a opera di gruppi partigiani e solo dopo la liberazione, fra l’aprile e il maggio del 1945, il paese poté ritornare alla vita civile e ai confini del 1939 (a eccezione della Rutenia subcarpatica data all’Unione Sovietica). Fu allora approvato dal governo provvisorio guidato da Benes il cosiddetto “programma di Kosice”, con il quale si dava una “soluzione” al problema delle minoranze ungherese e tedesca con la deportazione di massa oltreconfine.

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2. Dal colpo di Praga alla caduta del regime comunista

Il programma di Kosice proponeva anche la nazionalizzazione dei mezzi di produzione e l’eliminazione del latifondo. La vittoria del Partito comunista alle elezioni del 1946 portò al governo K. Gottwald (alla presidenza della repubblica fu nominato Benes) e permise l’inizio della nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Con il “colpo di Praga” del febbraio 1948, K. Gottwald sostituì i ministri dimissionari non comunisti con altri appartenenti alle file del suo partito. La morte, in circostanze misteriose, del ministro degli Esteri Jan Masaryk e le dimissioni di Benes dopo la promulgazione di una nuova costituzione segnarono la fine della vita democratica del paese. Furono indette nuove elezioni a lista unica il 30 maggio 1948, che sancirono la presa del potere comunista: il processo di consolidamento del regime si attuò allora attraverso la prosecuzione dell’opera di nazionalizzazione e la collettivizzazione forzata delle terre. Anche la Cecoslovacchia sentì fortemente l’influsso della politica di Stalin con l’epurazione dei più importanti oppositori politici, fra cui il ministro V. Clementis e il segretario del partito R. Slansky. In politica estera la Cecoslovacchia si legò sempre più saldamente all’Unione Sovietica, aderendo al COMECON e al Patto di Varsavia e appoggiando la politica estera sovietica. Dopo la morte di Gottwald, nel 1953, a guidare lo stato fu A. Novotny. Dal 1960 la Cecoslovacchia divenne repubblica socialista cecoslovacca e fu promulgata una nuova costituzione. Mentre cresceva la protesta nazionalista degli Slovacchi, alimentata anche dalla grave crisi economica, si assistette alla progressiva crisi del regime, che si manifestò sin dai primi anni Sessanta spingendo la classe politica più aperta a proporre un rinnovamento della struttura statale, senza però che si potesse giungere a un effettivo cambiamento. Il 5 gennaio 1968 Novotny fu costretto a rassegnare le dimissioni dalla segreteria del partito. La scelta di porre lo slovacco Alexander Dubcek alla guida del partito inaugurò una fase di rapida liberalizzazione interna. Sembrò prendere consistenza il progetto di costruire un “socialismo dal volto umano”. Parteciparono al governo politici ed economisti che premevano per una apertura verso il mercato. Fu abolita la censura e riconosciuta la libertà d’espressione, come dimostrò la pubblicazione del Manifesto delle duemila parole. La “primavera di Praga” suscitò i timori sovietici e fu schiacciata dall’intervento armato voluto da Breznev. Le truppe del patto di Varsavia (eccetto la Romania), dopo aver invaso il 21 agosto 1968 il territorio cecoslovacco, costrinsero il regime all’espulsione di Dubcek dal partito e a un processo di normalizzazione forzata sotto la guida di Gustav Husák. Le truppe sovietiche restarono nel paese e Gustav Husák fu da allora l’incontrastato dominatore della scena politica. Solo nella seconda metà degli anni Settanta l’opposizione tentò fra molte difficoltà di riorganizzarsi, specie grazie all’opera del movimento Carta ’77. L’acquisizione da parte di Husák anche della presidenza della repubblica (1975) gli permise di controllare lo stato cecoslovacco sino al dicembre 1987 quando, di fronte alla grave crisi economica e alle pressioni di Gorbacëv, fu sostituito nella carica di segretario generale del Partito comunista da Milos Jakes.

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3. Il ritorno alla democrazia e la dissoluzione dello stato

Pur avendo varato un vasto piano di riforme amministrative, Jakes non riuscì a impedire che nel novembre del 1989 anche la Cecoslovacchia fosse investita dall’ondata di rinnovamento inaugurata dall’era gorbacëviana e concretizzatasi nell’improvvisa riabilitazione di Dubcek (nel dicembre eletto presidente del parlamento) e soprattutto nella manifestazione del 17 novembre. La repressione della polizia in questa occasione avviò un grande moto di protesta a livello nazionale (la “rivoluzione di velluto”) che portò alla formazione di un fronte unito da parte degli oppositori del regime, il Forum civico, guidato dal drammaturgo V. Havel. Il 24 di quello stesso mese Jakes fu costretto alle dimissioni e il 27 lo sciopero generale travolse il governo, che fu allora affidato al riformista Marian Calfa. Le pressioni del Forum civico costrinsero alle dimissioni anche il presidente Husák, sostituito da Havel. Furono indette per il giugno 1990 nuove elezioni generali, mentre si ripristinavano le libertà civili e politiche e si richiedeva il ritiro delle truppe sovietiche presenti sul territorio. Le prime consultazioni della Cecoslovacchia libera diedero la maggioranza assoluta al Forum civico e, in Slovacchia, alla formazione analoga denominata “Pubblico contro la violenza”. Grazie all’alleanza con i cattolici il Forum guidò il processo di riforma istituzionale, mentre nel luglio 1990 Havel fu rieletto alla presidenza della repubblica. Sin dagli inizi il ritorno alla democrazia fu contrassegnato dal profondo contrasto, rimasto sopito durante il regime comunista, fra cechi e slovacchi. Il contrasto assunse un chiaro significato politico quando la rielezione di Havel determinò la protesta di Jan Carnogursky, leader del Movimento cristiano democratico slovacco (CDM), per le “ingerenze” di Havel nella politica interna slovacca. La creazione di un governo di maggioranza da parte del Forum nella repubblica ceca non fece che aggravare il contrasto, rendendo sempre più ristretti i margini di manovra del governo federale. La grave crisi economica dovuta al crollo della domanda del mercato sovietico, i costi della transizione all’economia di mercato e i metodi adottati dal governo condussero alla definitiva spaccatura fra le due parti del paese. Alle elezioni del giugno 1992 si ebbe così la vittoria di V. Klaus nella repubblica ceca, e di V. Meciar in quella slovacca, in un contesto politico di sempre più netta divisione: i due statisti decisero allora di governare entrambi nel proprio paese mantenendo formalmente in vita la confederazione sino al dicembre 1992, quando fu ratificata consensualmente la divisione della Cecoslovacchia in Ceca, repubblica (formata dai territori più ricchi e popolati di Boemia e Moravia) e Slovacchia (più svantaggiata economicamente, ma fortemente determinata a conseguire la piena indipendenza). Dato il perdurare di interessi comuni al di là delle pur profonde divisioni nazionali, i due paesi stabilirono inoltre speciali accordi di cooperazione economica, diplomatica e militare.

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