Cavour, Camillo Benso

(Torino 1810, † ivi 1861). Uomo politico italiano. Fu uno dei principali protagonisti del Risorgimento italiano, nel quale riuscì a far prevalere le istanze del liberalismo moderato filosabaudo sulle posizioni democratiche e repubblicane. Le ragioni del suo successo furono, oltre alle favorevoli condizioni storiche, le sue grandi capacità di sfruttare ogni opportunità offerta dal quadro politico internazionale e di organizzare un vasto consenso intorno alle posizioni moderate, isolando sia i reazionari, sia i democratici più radicali, secondo il principio del “giusto mezzo”, mutuato da Guizot. Avviato dalla famiglia, di antica nobiltà, alla carriera militare, fu indotto dalle simpatie per la Rivoluzione francese del 1830 e dall’insofferenza per la soffocante disciplina a rassegnare le dimissioni nel 1831. Intraprese quindi una serie di viaggi e di studi nei paesi europei economicamente più avanzati (Svizzera, Francia, Inghilterra, Belgio), rafforzando le proprie convinzioni liberali e liberiste e maturando competenze che mise a frutto, a partire dal 1835, nella gestione delle terre di proprietà della famiglia a Leri, nel vercellese. In quegli anni contribuì al rinnovamento tecnico dell’agricoltura piemontese, fondando con altri l’Associazione agraria subalpina (1843). Nel 1847 fondò e diresse il “Risorgimento”, dal quale condusse la propria battaglia per lo sviluppo delle libertà politiche, economiche e religiose, che egli riteneva strettamente legate e necessarie per il progresso del paese. Solo l’ampliamento del mercato, da raggiungere con l’estensione dei domini sabaudi, e l’inserimento in un circuito europeo, mediante il libero scambio, avrebbero consentito, a suo avviso, il progresso economico e quindi sociale e civile del regno di Sardegna. Sensibile alla questione sociale, era contrario invece alla democrazia e al “pericoloso sofisma” moderno del suffragio universale, convinto che il progresso si fondasse sul governo delle classi più dinamiche e illuminate. Pensava inoltre che la stessa struttura socioeconomica italiana, prevalentemente agricola, avrebbe favorito il conservatorismo illuminato e ostacolato la democrazia (essendo i contadini naturalmente conservatori). Nel 1848 iniziò il suo impegno politico diretto sollecitando Carlo Alberto a concedere lo Statuto (per il quale proponeva, tra l’altro, l’elettività del senato) e a intervenire tempestivamente a Milano. Eletto deputato, nel 1849 condusse una battaglia per la difesa della libertà di stampa, minacciata dai conservatori, e, nel 1850, per l’approvazione delle leggi Siccardi, che avviarono la laicizzazione dello stato. Divenuto il leader del centrodestra, fu ministro per l’Agricoltura, la Marina e il Commercio (1850) e per le Finanze (1851) nel governo d’Azeglio, avviando una politica di trattati di libero scambio (con Francia, Belgio e Inghilterra) e la riforma dell’amministrazione. Il “connubio” con il centrosinistra di Urbano Rattazzi gli consentì di avere un’ampia base parlamentare per ottenere la presidenza del Consiglio (4 novembre 1852) e governare quasi ininterrottamente fino alla morte. In politica interna favorì la modernizzazione del Piemonte e il rafforzamento dei ceti imprenditoriali, con la creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo economico (come la ferrovia Torino-Genova e il traforo del Fréjus), la promozione dell’istruzione, il proseguimento dell’opera di laicizzazione dello stato. Il suo appoggio alla legge Rattazzi per l’abolizione degli enti religiosi contemplativi fu causa di tensioni con la destra reazionaria e col re Vittorio Emanuele II e di un temporaneo indebolimento del suo governo nel 1855 (crisi Calabiana). La sua politica estera fu finalizzata all’estensione dei domini sabaudi a danno dell’Austria e dei ducati emiliani, con la costruzione del regno dell’Alta Italia. Alla realizzazione di tale progetto dedicò un’intelligente e infaticabile attività diplomatica, dalla rottura delle relazioni diplomatiche con l’Austria (1853) che aveva confiscato i beni dei profughi politici, alla discussa partecipazione alla guerra di Crimea (1855), grazie alla quale riuscì a far dedicare una giornata del congresso di Parigi (1856) alla situazione italiana; dagli accordi segreti di Plombières (1858) con Napoleone III, alle manovre militari lungo il Ticino (1859) per provocare l’Austria a dichiarare guerra. La lucidità e il realismo della sua politica gli valsero un consenso crescente nel movimento risorgimentale italiano. A sostegno della sua iniziativa, tesa a creare una confederazione italiana, con il suo perno in un Regno dell’Alta Italia sotto i Savoia, fu fondata nel 1857 la Società Nazionale, con l’adesione anche di democratici come Manin e Garibaldi, delusi dal fallimentare insurrezionalismo di Mazzini. Durante la seconda guerra di indipendenza rassegnò le dimissioni per protesta contro l’armistizio di Villafranca, ma tornò al governo il 20 gennaio 1860 quando intuì il momento favorevole per trattare con la Francia l’annessione al Piemonte di Emilia e Toscana. Inizialmente contrario all’iniziativa di Garibaldi in Italia meridionale, ma convintosi ormai dell’ineluttabilità dell’unificazione nazionale, di fronte al fatto compiuto aiutò la spedizione dei Mille, deciso però a impedire soluzioni democratico-repubblicane al sud. Per questo cercò, senza successo, di far insorgere Napoli prima dell’arrivo di Garibaldi e convinse il re, questa volta con felice intuizione, ad andare incontro al condottiero, invadendo lo stato pontificio (Marche e Umbria), per procedere a rapide annessioni e impedire a Garibaldi di avanzare fino a Roma. Morì improvvisamente il 6 giugno 1861, pochi mesi dopo la proclamazione del regno d’Italia (14 marzo), di cui era stato il principale artefice, ma non prima di aver fatto proclamare simbolicamente Roma capitale d’Italia (27 marzo) e di aver indicato nel principio “libera chiesa in libero stato” la via per risolvere la complessa “questione romana”.