cattolicesimo

  1. Origine del termine e suo significato storico
  2. Il cattolicesimo nella tarda antichità (I-V secolo d.C.)
  3. Il cattolicesimo nel medioevo (V-XV secolo)
  4. Il cattolicesimo nell’epoca della Riforma e della Controriforma (XVI secolo)
  5. Dalla guerra dei Trent’anni all’età dell’Illuminismo (XVII-XVIII secolo)
  6. Il cattolicesimo nel XIX secolo
  7. Il cattolicesimo nel XX secolo
1. Origine del termine e suo significato storico

Il termine “cattolicesimo” deriva dall’aggettivo greco katholikòs, inteso nel senso di universale, esteso alla terra intera (opposto quindi a settario, particolare, locale) ed è venuto storicamente a indicare una delle quattro caratteristiche della chiesa, che è stata definita cattolica oltreché una, santa e apostolica (cioè direttamente derivata dagli apostoli). Questa definizione fu formulata per la prima volta al concilio di Costantinopoli del 381, nella ékthesis (esposizione della fede, il credo) detta dei 150 Padri. In tempi successivi, le quattro caratteristiche sopra indicate sono state progressivamente rivendicate per sé dalla chiesa di Roma (per cui si è aggiunta via via anche la designazione romana) sotto l’autorità dei vari pontefici (papi, per antonomasia i vescovi romani). In ragione della sua universalità il cattolicesimo si è presentato come “Grande Chiesa” abbracciante sin dalle origini ebrei e gentili (i pagani: così nella predicazione dell’apostolo Paolo) con riferimento all’apostolo Pietro e al suo “primato” (Matteo,16,18: “tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia chiesa”; Luca, 22, 31-32; Giovanni, 21, 15-19), anche in ragione della convinzione che la chiesa di Roma fosse stata fondata appunto da Pietro (l’apostolo Paolo di Tarso ne fu in qualche modo considerato cofondatore, a causa del martirio subito a Roma durante la persecuzione neroniana). Nell’insieme la storia del cattolicesimo si presenta prevalentemente, anche se certo non esclusivamente, come la storia della crescente autorità e influenza della chiesa di Roma in quanto sede apostolica. Tale primato è stato ed è tuttora contestato da altre chiese cristiane che riconoscono anch’esse per sé la nota della cattolicità, ma non nel senso del primato unico romano (cristianesimo). In epoca recentissima varie correnti cattoliche tendono, se non a rifiutare, quantomeno a limitare il primato assolutistico romano-papale.

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2. Il cattolicesimo nella tarda antichità (I-V secolo d.C.)

Nei primi tre secoli dell’era volgare possono riconoscersi come note che caratterizzano la condizione della “cattolicità” episodi quali l’intervento della comunità di Roma nelle controversie interne alla comunità di Corinto (circa 96), il riconoscimento del “primato della carità” alla comunità di Roma da parte del vescovo martire Ignazio di Antiochia (circa 115), l’attestazione del giudeo-cristiano Egesippo, che dopo la ricognizione da lui fatta della successione dei vari episcopati e dal confronto con quello romano (circa 180), riconobbe la concordanza della fede di varie sedi con quella di Roma. Seguirono quindi varie attestazioni riguardanti l’autorità e il prestigio della sede romana, soprattutto da parte di Ireneo di Lione (circa 180) che fece riferimento alla successione episcopale romana in quanto chiesa fondata dai “gloriosissimi due apostoli Pietro e Paolo”, alla quale, in ragione del suo alto prestigio (propter potentiorem principalitatem) devono far capo le altre chiese, poiché in essa si conserva quella che è la tradizione degli apostoli. Dal III secolo in poi le indicazioni sul primato romano e la sua “cattolicità” si fecero più frequenti: ricordiamo solo l’attestazione del vescovo martire Cipriano a riguardo della sede di Pietro nel De catholicae ecclesiae unitate e quelle di Dionigi di Alessandria e di Pietro di Alessandria. A partire dall’epoca degli imperatori Costantino (306-337) e Teodosio il Grande (379-95), la “cattolicità” della chiesa si espresse in un tendenziale adeguamento alle dimensioni e alle strutture dell’impero romano e nella progressiva assunzione, da parte della chiesa stessa, di funzioni spettanti al governo e all’amministrazione dello stato. I concili furono sempre convocati dall’autorità imperiale e i vescovi svolsero in modo crescente funzioni di consiglieri dell’autorità, esercitando mansioni già riservate a funzionari di alto rango. Alcuni vescovi come Ambrogio di Milano (che era stato in precedenza governatore della regione Aemilia-Liguria) seppero anche, in certe occasioni, contrastare il potere imperiale, ma l’adeguamento della chiesa all’impero fu un fatto indiscusso. Il potere episcopale crebbe ovunque sotto protezione imperiale, ma quando nel concilio di Calcedonia (451) venne approvato il ventottesimo canone che sanciva che la sede episcopale della “Nuova Roma” (Costantinopoli) aveva gli stessi privilegi dell’antica, i legati papali fecero formale opposizione rivendicando il pieno primato papale. Con papa Leone I Magno (440-61) chiesa cattolica e sede romana appaiono ormai unite in modo indissolubile. Già al tempo di sant’Agostino (354-430), del resto, con una sentenza di valore molto particolare, ma che acquistò un peso eccezionale, era stato detto che “dalla sede apostolica sono venute risposte: la causa è chiusa” (Roma locuta, causa finita est). Dal canto suo Giustiniano (527-65) nel Corpus iuris civilis dichiarò che “il papa di Roma è il primo di tutti i vescovi”, pur riconoscendo al patriarca di Costantinopoli il secondo posto nella gerarchia complessiva della chiesa.

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3. Il cattolicesimo nel medioevo (V-XV secolo)

Con il progressivo distacco di Bisanzio da Roma – che si manifestò già con il cosiddetto scisma acaciano (484-519), si aggravò poi al tempo del patriarca Fozio a causa della contraddittoria e autoritaria condotta del papato romano (a metà del IX secolo) e sfociò quindi nel distacco radicale del 1054 – la situazione della “cattolicità” mutò profondamente: Roma e le aree che ad essa facevano capo dal punto di vista religioso, presero infatti a orientarsi decisamente verso i popoli e i potentati dell’Occidente. L’invasione dei longobardi e la loro lenta conversione al cattolicesimo, la conversione degli ostrogoti, l’apporto della missione irlandese di San Colombano, i cui monaci rifluirono nell’Europa ancora pagana o superficialmente cristianizzata, e di quella di San Bonifacio in Germania in collegamento con Roma, la crescente minaccia islamica, fermata a Poitiers nel 732 da Carlo Martello, l’accostamento del papato ai franchi vincitori dei longobardi, l’incoronazione di Carlo Magno da parte papale nell’800, l’immensa portata della “rinascita carolingia”, l’appoggio della dinastia degli Ottoni al papato dopo il crollo dell’impero franco (incoronazione imperiale di Ottone I da parte papale nel 962), sono i grandi episodi che contrassegnarono lo sviluppo del cattolicesimo in un quadro ormai totalmente integrato nel mondo occidentale. In questa nuova situazione si svilupparono anche iniziative papali di autoriforma della chiesa, attraverso vari sinodi che, in base alle decretali pseudo-isidoriane, potevano ormai tenersi solo dietro decisione del papa. Fra essi iniziarono a emergere i sinodi romani (alcuni riconosciuti successivamente come veri concili anche ecumenici). Fondamentale, in tale contesto, fu la cosiddetta “riforma gregoriana”, che prese il nome dal suo principale artefice, il papa Gregorio VII (1073-85). Nel quadro dell’azione di riforma si inserì poi il complesso fenomeno delle crociate. Inizialmente concepite come prolungamento dei pellegrinaggi ai luoghi santi di Palestina caduti da tempo sotto il dominio musulmano, esse divennero un’impresa collettiva propagandata e incoraggiata dal papato a partire dal concilio di Clermont (1095) come guerra santa contro gli infedeli, maomettani e poi turchi. In una serie di spedizioni successive, che videro inizialmente la conquista dei luoghi santi (Gerusalemme nel 1099) e la costituzione di regni e capisaldi cristiani, e in seguito la loro perdita definitiva (1244 caduta di Gerusalemme; 1291 caduta di san Giovanni d’Acri ultimo caposaldo cattolico), le crociate permisero per un certo tempo l’affermarsi del prestigio papale su vari re e signori d’Occidente (vi parteciparono successivamente principi del nord e del sud della Francia, di Fiandra, dell’Italia normanna, sovrani di Germania, di Francia, d’Inghilterra e anche imperatori). A seguito dell’esito disastroso della seconda crociata, tuttavia, tale prestigio risultò notevolmente compromesso (persino un acceso predicatore della crociata papale come san Bernardo fu posto sotto accusa) anche se l’autorità della sede romana sotto Innocenzo III, ispiratore della quarta crociata (1202-1204), rimase altissima e il concilio Lateranense IV del 1215 segnò il culmine del potere papale. Se al movimento crociato si collegarono i grandi sviluppi dei commerci con l’Oriente, il fiorire dell’economia monetaria, il costituirsi di grandi ricchezze nella borghesia, nonché l’affermarsi di potenti ordini cavallereschi formalmente paladini della causa cattolica, le nazioni convocate dal papato alla crociata portarono in primo piano, sotto il segno della religione, i propri specifici interessi. Da questo punto di vista il cattolicesimo acquistò una fisionomia molto più complessa e meno unitaria di prima, entrando così in una fase di decadenza. Nel contesto del movimento crociato si aggravò la condizione degli ebrei, che, dopo aver visto migliorare la loro situazione durante l’alto medioevo, divennero il capro espiatorio delle tensioni psicologiche e sociali che le crociate suscitarono in Europa: gli eserciti diretti verso la Palestina o l’Egitto compirono nella loro marcia stragi di ebrei accusati di sacrilegi e assassini rituali, sovente sotto istigazione di vescovi e signori cattolici. Ebbe così inizio la lunga fase delle migrazioni ed espulsioni degli ebrei dai paesi cattolici verso zone non soggette al cattolicesimo romano. Tra la metà circa del XII secolo e la metà del XIV si manifestarono in modo sempre più accentuato fenomeni di dissidenza religiosa in senso ereticale. Nello stesso tempo conobbero un grande sviluppo gli ordini mendicanti, soprattutto francescani e domenicani. Questi ultimi in particolare, inserendosi nelle università e rinnovando la teologia patristica, fornirono alla chiesa nuovi strumenti concettuali nel quadro della rinascita culturale dell’Europa e furono anche largamente impegnati nella repressione dell’eresia. Contemporaneamente si produsse un violento contrasto tra il papato, teso alla riaffermazione sempre più energica della propria supremazia, e i sovrani della cristianità che rivendicavano la loro indipendenza. Tale contrasto giunse fino alla rottura aperta nello scontro tra Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello. L’indebolimento del potere papale, nonostante le nette affermazioni di principio in senso contrario (Bolla Unam Sanctam, 1302), aprì la via al lungo periodo di sudditanza del papato alla Francia (la “cattività avignonese”, 1309-1377). Nel contempo, all’interno del mondo cattolico fu contestata sempre più energicamente la struttura stessa della chiesa cattolica: si cominciò a proclamare che la suprema autorità non è il papa, ma il concilio, espressione del popolo cristiano (conciliarismo). La gerarchia ecclesiastica cominciò inoltre a essere considerata come un organismo puramente umano e la chiesa nel suo complesso come soggetta al potere politico (così nel Defensor pacis di Marsilio da Padova, opera condannata nel 1327 da papa Giovanni XXII con scomunica dell’autore). Dopo il ritorno della sede papale a Roma si aprì del resto la lunga crisi dello scisma d’Occidente, che vide presenti sulla scena fino a tre papi contemporaneamente e la divisione della cattolicità in diverse “obbedienze”. Alla composizione dello scisma si giunse attraverso due grandi concili ecumenici: quello di Costanza (1414-18), sulla cui condotta e conclusione esercitò grande influenza il re, poi imperatore, Sigismondo, e quello di Basilea-Costanza-Ferrara-Firenze-Roma (1431-49), che aspirò ad essere, per una delle sue fasi, anche un “concilio di unione” con il cristianesimo d’Oriente: aspirazione rimasta peraltro senza esiti pratici apprezzabili. Tale concilio alla fine segnò una riaffermazione dell’autorità papale.

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4. Il cattolicesimo nell’epoca della Riforma e della Controriforma (XVI secolo)

La più forte e tuttora permanente rottura interna della cristianità occidentale si produsse nel XVI secolo. Mentre le scoperte geografiche dischiudevano l’accesso a mondi nuovi e preparavano il rilancio delle missioni in Occidente come in Oriente, l’Europa cessò di essere unitariamente cattolica. Lo splendore della civiltà del Rinascimento, che coinvolse anche il papato e la chiesa cattolica nel suo insieme, portò con sé una forte mondanizzazione e un grave discredito sia dei vertici sia del cattolicesimo nel suo insieme, sul piano della fede e dei costumi. Alla situazione ormai gravissima aveva cercato invano di porre rimedio il concilio Lateranense V (1512-17), ma la protesta di Lutero e la Riforma colpirono al cuore la cattolicità. Il sacco di Roma del 1527 apparve come il segno della condanna divina, mentre ogni possibilità di recupero dell’Europa del nord alla chiesa di Roma si andò presto rivelando impossibile, a onta dei dissidi e dei contrasti interni presto determinatisi dentro le comunità nate dalla Riforma. Stimolato anche dal sorgere di nuovi ordini religiosi (teatini, cappuccini, barnabiti, orsoline, gesuiti, somaschi, ecc.), il papato divenne il centro della restaurazione cattolica sotto papa Paolo III, mentre una commissione istituita dal pontefice aveva messo sul terreno il problema delle riforme assolutamente necessarie (1536-37). Nel 1542 fu istituito il supremo tribunale del Santo Ufficio che unificava le procedure già di spettanza delle varie inquisizioni locali e diveniva così la sede ultima e definitiva della repressione dell’eresia (Inquisizione). Si andarono così progressivamente estinguendo in seno al cattolicesimo le varie forme di evangelismo che aspiravano a una riforma soprattutto spirituale della cattolicità, riconoscendo la serietà di molte istanze dei riformatori, ma mantenendo ben fermo il principio dell’unità della chiesa cattolica sotto il pontefice romano. La via seguita dal papato fu un’altra. Nel 1545 si aprì, nonostante incertezze e opposizioni interne alla chiesa (manifestatesi soprattutto in seguito sotto il pontificato di Paolo IV) il concilio di Trento, che si concluse nel dicembre del 1563: in esso il cattolicesimo affrontò simultaneamente i problemi della riforma interna della chiesa e quelli della definizione dei dogmi negati o messi in questione dalla Riforma. Con la conclusione del concilio ebbe inizio l’opera di piena restaurazione e disciplinamento della chiesa (Controriforma). Nel frattempo fu avviata la riconquista dei territori perduti dal cattolicesimo e, sotto la protezione delle potenze cattoliche europee, le iniziative missionarie (riunite più tardi sotto un’unica Congregazione romana, De propaganda fide, 1622) guadagnarono al cattolicesimo popolazioni di aree in cui sino ad allora il cristianesimo non era mai penetrato. Tra il XVI e il XVII secolo la Roma papale fu nuovamente al centro di un’intensa azione culturale oltreché politica e religiosa, che le potenze cattoliche – Francia, Spagna e Portogallo – avevano tutto l’interesse a vedere ristabilita.

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5. Dalla guerra dei Trent’anni all’età dell’Illuminismo (XVII-XVIII secolo)

I secoli XVII-XVIII furono segnati da un permanente contrasto fra i paesi politicamente e religiosamente cattolici e quelli che in vario modo accolsero le chiese uscite dalla Riforma. Dopo la guerra dei Trent’anni (1618-48) il cattolicesimo fiorì sotto la protezione di Spagna e Francia. Il protestantesimo, invece, si consolidò sotto la protezione dell’Olanda, dell’Inghilterra e dei prìncipi tedeschi. L’appartenenza nazionale implicava di fatto l’appartenenza religiosa. Ciò determinò, nei paesi cattolici, la sistematica repressione delle forze politico-religiose di altra confessione: basti ricordare per la Francia di Luigi XIV la revoca dell’editto di Nantes e le dragonnades contro gli ugonotti. Ma le grandi potenze cattoliche si sforzarono anche di rendere la chiesa funzionale alla propria politica e di limitare l’influenza e l’invadenza del papato: donde la tendenza a favorire il formarsi di cattolicità nazionali (ad esempio, il gallicanismo), fortemente osteggiate dalla Santa Sede. A loro volta i sovrani cominciarono a temere che certe correnti da loro inizialmente sostenute, divenissero troppo forti, minacciando l’autorità degli stati cattolici (è il caso del giansenismo già condannato da Roma con la bolla Cum occasione del 1653 e con la bolla Unigenitus del 1713), così che per contrastarle si fece ricorso, pur in modi diversi, all’appoggio papale. Dato che molti vescovi inclinavano peraltro a sostenere i poteri statali, il papato a sua volta si appoggiò anche per la sua azione diplomatica agli ordini religiosi, in particolare ai gesuiti, che divennero sempre più invisi alle grandi potenze. Sotto la pressione degli stati europei, ma anche per la forte ostilità determinatasi contro i gesuiti all’interno del mondo cattolico (Controversia De auxiliis; questione dei riti cinesi; condanna della loro casistica morale) l’ordine fu alla fine soppresso dalla Santa Sede nel 1773. L’altro grande fenomeno che oppose il cattolicesimo al mutato clima culturale nel XVIII secolo, è rappresentato dalla sfida dell’Illuminismo. La concezione ottimistica di una religiosità naturale, senza dogmi, tollerante fino all’indifferenza e all’ateismo, contrastava con dati essenziali della dottrina cattolica, in quanto implicava il rigetto della trascendenza, della rivelazione divina, della grazia ottenuta da Cristo, del peccato originale, del magistero ecclesiastico. Il contrasto si fece più forte nella misura in cui l’Illuminismo fu fatto proprio dai sovrani riformatori illuminati, ispirando le chiese di stato e facendo emergere in opposizione al papato varie forme di episcopalismo. I sovrani assunsero spesso il ruolo di riformatori della chiesa, dando inizio anche a programmi di secolarizzazione e appoggiando anche correnti come il giansenismo, il regalismo, il parrocchialismo quali strumenti di politica ecclesiastica illuminata.

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6. Il cattolicesimo nel XIX secolo

La chiesa cattolica considerò la grande crisi dell’età delle rivoluzioni come la conseguenza negativa (e punitiva, per quanto riguardava prìncipi e aristocrazie accusati di aver tradito la chiesa) dell’Illuminismo, come il frutto di una trama ordita segretamente dai nemici della chiesa. Alla grande maggioranza del mondo cattolico sfuggì la portata degli eventi rivoluzionari: dalla Rivoluzione francese e dai suoi princìpi – questo, nel complesso, il suo giudizio, tuttora sostanzialmente immutato – sarebbero derivate le “nefaste conseguenze” del liberalismo, del socialismo e delle successive rivoluzioni otto-novecentesche. Delle “innovazioni della Rivoluzione” la chiesa rifiutò la costituzione civile del clero (che divise in due schiere il mondo ecclesiastico francese), l’elezione di vescovi e parroci da parte dei dipartimenti, l’incameramento dei beni ecclesiastici, l’occupazione dei territori dello stato pontificio, la soppressione degli ordini religiosi. Forte impressione destarono i massacri di preti “non giurati” del 1792, l’esecuzione capitale di Luigi XVI, i provvedimenti di scristianizzazione e l’introduzione dei culti rivoluzionari, oltre alle deportazioni di preti e religiosi, a cui si accompagnarono numerosi “abbandoni” del sacerdozio. Questi avvenimenti altamente drammatici, considerati segni di scristianizzazione radicale, rappresentarono un’esperienza traumatica per la chiesa cattolica e fonte di ricorrenti angosce nei tempi successivi. Il concordato del 1801 con Napoleone, che conteneva clausole peraltro assai pesanti per il papato e la chiesa, segnò l’inizio di un nuovo mutamento di rotta. La caduta di Napoleone aprì per la chiesa cattolica, allineata con le grandi potenze europee riunite nel Congresso di Vienna, l’inizio di un progetto di controrivoluzione restaurativa (Restaurazione) diretta a rinforzare il potere papale in senso sempre più assoluto (il Du pape di Joseph de Maistre può esserne considerato il manifesto programmatico), facendo appello alla ricostituita Compagnia di Gesù, restaurando lo stato pontificio, ristabilendo l’alleanza fra trono e altare, riorganizzando con severità la disciplina ecclesiastica, eliminando ogni residuo di regalismo, episcopalismo, reale o presunto giansenismo, mirando alla riconquista della società attraverso scuole cattoliche e iniziative devozionali di tono popolare, riaccostandosi a quella parte della borghesia che era rimasta traumatizzata dagli esiti della Rivoluzione. Questo piano di restaurazione non ebbe però né il vigore né la creatività del periodo della Controriforma. La situazione generale, infatti, era profondamente mutata: il potere papale era fortemente indebolito e anche screditato; la cultura e le scienze ecclesiastiche, nonostante figure di rilievo (specie in Germania, in Francia e anche in Italia), erano fortemente sospettate per le loro aperture verso le filosofie razionalistiche e idealistiche e cadde sotto pesanti condanne. Più incisiva si rivelò l’attività genericamente sociale svolta dalla chiesa, mentre cominciarono a manifestarsi i primi segni di un’attività impegnata dei laici cattolici. Il XIX secolo nel suo complesso fu segnato per il cattolicesimo dalle difficoltà derivanti dal sorgere e dall’affermarsi degli stati nazionali rivendicanti pienezza di potere, con il diffondersi insieme delle idee liberali che concepivano la religione come affare privato, mentre si andavano organizzando e rinforzando i movimenti socialisti, che determinarono una perdita di influenza della chiesa sulle classi lavoratrici, seguita da diffuse forme di scristianizzazione fra le masse. L’illusione di un papato liberaleggiante all’ascesa di Pio IX (1846-78) scomparve ben presto. Per contro, dopo la rivoluzione del Quarantotto, che costituì un momento di forte timore non tanto per la chiesa quanto per i governi e gli stati usciti dal Congresso di Vienna, cominciarono ad affermarsi sempre più nettamente dentro il cattolicesimo correnti intransigenti, integraliste e violentemente antiliberali. Tali correnti – dette “ultramontane” – propugnarono la difesa dello stato pontificio (di cui la cosiddetta “questione romana”, con il porsi in concreto del problema di Roma capitale, rappresentò il momento culminante e decisivo), la difesa dell’assolutismo papale, l’incremento del culto mariano nelle sue forme popolari, l’azione caritativa in forme paternalistico-sociali. Si andò così rinforzando in seno al cattolicesimo uno stato d’animo per certi aspetti tradizionale, ma che assunse, a partire da questo momento, un peso religioso e politico nuovo. La chiesa e la religione furono percepite come realtà assediate e assalite dalle “forze del male”: il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, l’indifferentismo, il latitudinarismo, il liberalismo, il socialismo, il comunismo, le società segrete, le società bibliche, le teorie dell’indipendenza del potere civile da quello ecclesiastico, il matrimonio civile, l’idea della sostanziale incompatibilità tra potere temporale e potere spirituale. Fu così formalmente respinta la tesi che il pontefice romano dovesse riconciliarsi con il liberalismo e la società moderna (Syllabus del 1864). La logica conseguenza di questa visione pessimistica integrale fu la proclamazione del dogma della infallibilità del papa, “di per sé e non per consenso della chiesa” sancita dal concilio Vaticano I (1870), che presentava il papato come l’unica autorità legittima in vista del bene dell’umanità. Il concilio Vaticano I era ancora aperto quando le truppe italiane occuparono Roma, che divenne così capitale del regno d’Italia. Con la perdita del potere temporale il papato e il cattolicesimo più strettamente legato a Roma cercarono di stringere nuovi contatti con la società moderna, appoggiandosi meno sui governi (alcuni dei quali fortemente avversi alla Santa Sede, come l’impero prussiano-tedesco e la Francia repubblicana) e facendo leva piuttosto sui movimenti dei cattolici laici dipendenti dalle gerarchie ecclesiastiche. Nello stesso tempo fu formulata una dottrina sociale cattolica e venne incoraggiata un’azione sociale di tipo moderato (enciclica Rerum novarum di Leone XIII, 1891). Fu poi favorito l’ingresso dei cattolici nelle attività amministrative e, in qualche caso, anche politico-parlamentari; fu restaurata la filosofia scolastica nell’insegnamento di seminari e facoltà teologiche; furono favorite manifestazioni devozionali di massa (congressi eucaristici, pellegrinaggi, devozioni mariane, ecc.); e furono ancora sostenute congregazioni religiose nuove aventi carattere educativo, missionario e sociale a un tempo (ad esempio i salesiani di don Bosco, destinati a divenire nel nostro secolo molto potenti). Le missioni della seconda metà dell’Ottocento, sotto la protezione degli stati colonialisti europei, penetrarono in aree geografiche sino ad allora poco evangelizzate (interno dell’India, della Cina, del Giappone, dell’Indocina, del sud est asiatico, dell’Africa nera, ecc.), svolgendovi anche una considerevole azione di promozione umana.

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7. Il cattolicesimo nel XX secolo

Agli inizi del XX secolo, sotto il pontificato di Pio X (di formazione tutta clericale), il cattolicesimo elaborò un programma di forte chiusura su se stesso, opposto a quello di Leone XIII, contrassegnato anche da una riforma della curia romana in senso spirituale, ma in un’atmosfera carica di sospetti e di denunce nei confronti delle correnti cattoliche che sentivano tutta l’angustia culturale della chiesa a confronto con il mondo moderno e specificamente protestante. Fu il periodo della lotta contro il cosiddetto modernismo, che stroncò iniziative culturali promettenti, colpì uomini, ecclesiastici e religiosi soprattutto, di alto rilievo, incoraggiò una vasta rete di denunce e delazioni. Questa repressione fu controbilanciata dall’appoggio dato a varie forme di devozione popolare e dal tentativo di uniformare e incoraggiare la catechesi, curando la vita spirituale del clero e le iniziative dei laici purché sotto strettissimo controllo della gerarchia. Sostenitore di quello che fu chiamato un “salutare isolamento” nei confronti del mondo moderno, Pio X condannò sul piano non solo politico ma anche dottrinale le correnti cattoliche di ispirazione democratica (Azione popolare di Romolo Murri, Sillon in Francia, Il Rinnovamento in Italia, ecc.) e liberale. Una sorta di organizzazione segreta denominata Sodalicium pianum mise sotto accusa larghe schiere dei vertici stessi della chiesa. La prima guerra mondiale (1914-18) coinvolse il cattolicesimo in una situazione del tutto inedita, facendo cadere sia gli eccessi dell’integrismo sia in parte le ostilità del mondo laico verso il cattolicesimo. Il breve papato di Benedetto XV (1914-22) si caratterizzò per un costante appello alla pace, che ai paesi belligeranti dell’Intesa parve atto a favorire proprio Germania e Austria e fu quindi giudicato severamente. Ma fu con Pio XI (1922-39) che il cattolicesimo conobbe un rilancio mondiale, sia sul piano dell’azione missionaria (indigenizzazione del cattolicesimo nei paesi extraeuropei), sia in ragione dello sviluppo che assunse il cattolicesimo americano, nonostante precedenti tensioni (nel 1899 c’era stata la molto discussa condanna dell’americanismo), sia soprattutto per la riaffermazione del primato della chiesa, attraverso la proclamazione della regalità di Cristo sui poteri del mondo. Tale riaffermazione rivestì un forte peso politico nei confronti sia del comunismo dopo la rivoluzione del 1917 e di altre forme di governo in diversa misura anticlericali e antiecclesiastiche (Messico, 1917-29; Spagna 1931-39) sia nei confronti degli stati totalitari (Italia fascista, Germania nazista); con questi paesi la chiesa cattolica cercò e raggiunse intese (Patti Lateranensi 1929; Concordato del 1933). Alcune di queste intese, nonostante profonde tensioni (in particolare col nazismo), rimasero in vigore anche dopo la guerra e, nel caso dell’Italia, diventarono addirittura articoli della costituzione democratica. Durante la seconda guerra mondiale (1939-45) il cattolicesimo tentò di promuovere la pace tra la potenze belligeranti, ma rimase del tutto ininfluente rispetto agli sviluppi della situazione. Al termine del conflitto, anzi, al papato di Pio XII (1939-58) fu severamente rimproverato il silenzio sulla persecuzione degli ebrei, sui campi di sterminio e sul genocidio di intere popolazioni. Nel secondo dopoguerra il cattolicesimo, ma soprattutto il papato, si caratterizzarono per un forte impegno sul piano politico, mobilitando direttamente la chiesa nelle competizioni elettorali (così ad esempio in Italia nelle elezioni del 18 aprile del 1948), normalmente sostenendo, non senza qualche riserva, i partiti detti di “ispirazione cristiana” in quanto espressioni di forme moderate di governo e nettamente ostili al comunismo internazionale e nazionale; a lungo furono osteggiati anche i partiti socialisti e viste con sospetto le alleanze dette di “centrosinistra”. Dal 1950 in poi prevalse del resto sempre più nel cattolicesimo “ufficiale” l’orientamento a condannare sia sul piano dei principi sia su quello pratico le tendenze considerate genericamente “progressiste” (enciclica Humani generis del 1950; rinnovata enfasi del culto mariano, che suscitò notevoli riserve anche sul piano teologico cattolico e approfondì le già forti tensioni nei confronti del mondo protestante; condanna dei preti operai, ecc.). Di fronte alle sempre più nette chiusure dell’ultima fase del papato di Pio XII, apparve quasi incredibile la svolta impressa dal suo successore, Giovanni XXIII (1958-63), eletto papa a 77 anni. Egli annunciò (gennaio 1959) il concilio Vaticano II, che si aprì, dopo una confusa e contraddittoria preparazione, nell’ottobre del 1962. Il discorso papale fece molta impressione per la netta condanna dei “profeti di sventura”. Il breve pontificato giovanneo si caratterizzò per notevoli aperture, mentre grande rilievo assunse l’enciclica Pacem in terris pubblicata pochi mesi prima della sua morte (3 giugno 1963). In essa si affrontava il problema della pace in un momento di gravissime tensioni internazionali (crisi di Cuba), si proclamava la neutralità attiva della chiesa di fronte alle forze politiche nazionali e internazionali, si distingueva fra errori di principio e conseguenze storiche derivate da movimenti che erano andati evolvendo nel tempo. Con papa Giovanni XXIII il prestigio non solo della Santa Sede, ma del cattolicesimo nel suo insieme tornò a essere molto alto nel mondo. Il concilio Vaticano II continuò sotto il successore, Paolo VI (1963-78), inizialmente molto aperto al dialogo (enciclica Ecclesiam suam: “la chiesa si fa dialogo”; Populorum progressio di grande risonanza in America Latina). In mezzo alle contrapposte tendenze di progressisti (episcopati francese, belga e centro-europei) e di conservatori-reazionari (curia romana, vescovi in maggioranza italiani e spagnoli), Paolo VI fu in grado di pilotare il concilio fino alla sua conclusione (8 dicembre 1963), ora dando un aperto appoggio all’ala progressista (costituzione sulla chiesa, sulla Rivelazione, dichiarazione sulle religioni non cristiane, sulla libertà religiosa, costituzione riguardante i rapporti fra chiesa e mondo), ora facendo concessioni all’ala conservatrice (soprattutto con la cosiddetta Nota Praevia, che temperava il principio della collegialità episcopale nel governo della chiesa e su cui avevano molto insistito gli episcopati in contrasto con la curia romana). Negli anni successivi al concilio l’atteggiamento di Paolo VI fu quello di una cautela venata di forte pessimismo di fronte al crescere della contestazione interna alla chiesa, e ciò nonostante le aspre critiche rivoltegli dai movimenti cattolici integristi, con minacce di scisma (che del resto si realizzò sotto il successore: caso del vescovo Lefebvre). Il periodo postconciliare si rivelò pieno di tensioni, e per non poche ali del cattolicesimo addirittura angoscioso: esso coincise di fatto con il periodo della contestazione giovanile del 1968-69, in cui confluirono o a cui si ispirarono fenomeni complessivamente nuovi (ad esempio la cosiddetta “rivoluzione sessuale”), le spinte dei movimenti di sinistra estrema che sfociarono talora in esiti eversivi e terroristici. Certi momenti della crisi postconciliare, visti secondo l’ottica cattolica tradizionale, sembrarono adombrare situazioni che, anche se sicuramente enfatizzate, ricordavano le crisi dei momenti rivoluzionari del passato. Causa di violente polemiche dentro la chiesa furono certi pronunciamenti papali di questo periodo, soprattutto riguardo ai problemi del matrimonio e della contraccezione. Era prevedibile che, pur attenuandosi certe tensioni, la successione che portò nel 1978 alla elezione di un papa polacco, Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II), proveniente da un paese in cui l’opposizione al comunismo sovietico aveva trovato nella chiesa e nel cattolicesimo il massimo punto di forza, si presentasse con chiari segni di appelli all’ordine e alla disciplina. Questi segni di restaurazione, cresciuti di peso e di intensità negli anni più recenti (furono molto discusse, fra l’altro, le misure prese contro la Teologia della Liberazione sudamericana accusata di marxismo e le nomine di vescovi provenienti dall’Opus Dei), si accompagnarono, in modo quasi frenetico, a gesti anche clamorosi di universalismo: non solo con la proclamazione dei diritti umani e la produzione incessante di documenti ufficiali sempre più ampi, anche se sovente rimasti ignorati (in particolare quelli riguardanti i problemi etici: famiglia, matrimonio, contraccezione, aborto), ma, molto più visibilmente, attraverso innumerevoli viaggi e incontri con le cattolicità più diverse e più lontane da Roma, occasione di celebrazioni liturgiche di massa in mezzo a folle entusiaste. Né vanno sottovalutati i riconoscimenti internazionali e ufficiali tributati al papato e i grandi incontri ecumenici e interreligiosi, il tutto ampiamente enfatizzato dai mezzi di comunicazione di massa. Si è avuto in complesso un rinnovato prestigio non solo del papato e della chiesa cattolica nel mondo, ma anche un recupero ideale, a livello di opinione, dei valori religiosi in genere. Se pur di fatto disattesi e contraddetti nella prassi, questi richiami ai valori etici e religiosi hanno assunto, di fronte alla crisi delle ideologie e dei grandi progetti politici, un significato e un riconoscimento quantomeno di principio che solo venti anni prima sembravano, agli occhi del grande pubblico, definitivamente tramontati. [Franco Bolgiani]

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