Afghanistan

Stato attuale dell’Asia centrale. Situato fra Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, l’altopiano afghano – naturale proseguimento di quello iraniano – occupa una zona di transizione tra il subcontinente indiano e l’area di influenza della Russia.
Luogo di incontro e di passaggio di molteplici popoli asiatici, all’inizio del II millennio a.C. fu percorso dalle tribù indoeuropee provenienti dalle gole dell’Hindu Kush e dirette verso il Punjab. I territori che oggi costituiscono l’Afghanistan furono compresi all’interno dei confini dell’impero persiano (Iran) a partire dal VI secolo a.C., in seguito alla politica espansionistica di Dario I, e assunsero il nome di Drangiana, Battria, Aria e Aracosia, abitata quest’ultima dagli afghani o pachti. Durante la dominazione della dinastia persiana achemenide, i territori afghani furono organizzati in satrapie e acquistarono una crescente autonomia fino alla conquista di Alessandro Magno (330-29 a.C.), quando vennero fondati alcuni importanti centri urbani – tra cui Herat, Kandahar e Kabul. Alla morte di Alessandro (323 a.C.), l’Afghanistan passò sotto Seleuco I e fu poi ricompreso nel regno dei parti e quindi nell’impero sasanide. Soltanto una piccola porzione del territorio afghano si rese autonoma costituendo il regno della Battriana, dove rimasero fortemente radicate le influenze ellenistiche. Dopo aver subito l’invasione dei barbari saka, verso la fine del I secolo d.C. venne conquistato e annesso al regno dei kushan, un popolo indoeuropeo proveniente dal Turkestan cinese che fece progredire culturalmente il territorio sottomesso, diffondendovi l’alfabeto greco e radicandovi il buddhismo. Ad esso subentrò poi l’islam, diffuso dai gruppi arabi che nell’VIII secolo conquistarono la regione sotto gli ultimi califfi omayyadi. Tra gli stati musulmani indipendenti che iniziarono a formarsi a partire dal IX secolo andò acquistando una potenza sempre maggiore il regno dei Ghaznavidi che portarono gradualmente a termine la conquista e, quindi, la riunificazione del paese. Travolto dall’invasione mongola del XIII secolo, l’Afghanistan fu nuovamente terra di conquista e andò diviso fra il sultanato di Dehli e la Persia. Nel XVIII secolo Ahmed Shah, capo di una tribù afghana, si proclamò re e, dopo aver preso il nome di Durr-i Durran (“perla delle perle”), fondò la dinastia dei Durrani, che riuscì a rendere autonomo il paese estendendo i suoi confini con la conquista di alcune regioni indiane. Sconvolto da nuove lotte dinastiche, che produssero una situazione di vera e propria anarchia, esso divenne oggetto delle mire degli inglesi, preoccupati di garantire confini sicuri ai loro possedimenti in India. Nelle lotte per la successione prevalse, nel terzo decennio del XIX secolo, l’emiro Dost Mohammed contro il quale l’ultimo erede della dinastia duranica, Sciudscia Shah, richiese e ottenne l’appoggio degli inglesi, che nel 1839 conquistarono Kabul avviando il primo conflitto afghano. Dopo aver riportato al potere la dinastia duranica, gli inglesi si trovarono ad affrontare una violenta rivolta antibritannica, nel corso della quale fu distrutta la capitale Kabul e Dost Mohammed riconquistò il potere facendosi legittimare dagli inglesi con un trattato siglato nel 1855. Le prime mire espansionistiche russe sulla regione afghana e la volontà degli inglesi di tutelare il loro impero commerciale portarono, nel 1878, alla seconda guerra afghana. Il trattato di Gandamak, con cui si chiuse la prima fase del conflitto, stabilì la presenza di un residente britannico a Kabul, un severo controllo sulla politica estera e, ancora, il diretto controllo da parte degli inglesi su alcune regioni considerate di interesse strategico. In seguito a successivi contrasti gli inglesi riuscirono a far accettare all’emiro Abd ur-Rahman un vero e proprio protettorato straniero. L’accordo anglo-russo del 1887 sulle rispettive zone di influenza venne successivamente riconfermato nel 1907, quando si stabilì l’appartenenza dell’Afghanistan alla zona controllata dalla Gran Bretagna. Nel 1919 scoppiò la terza guerra afghana, che si concluse questa volta con il definitivo riconoscimento dell’indipendenza del paese. Ottenuta l’autonomia, l’emiro Amanullah prese nel 1926 il titolo di re e avviò un’intensa opera di modernizzazione, alienandosi l’appoggio dei capi musulmani e finendo detronizzato nel 1929. Dopo un periodo di torbidi, segnato da violente lotte per la successione, salì al trono Mohammed Nadir Shah. Assassinato nel 1933, gli subentrò il figlio Mohammed Zahir Khan, che avviò alcune riforme amministrative, strinse patti di non aggressione con i paesi vicini e varò una serie di piani quinquennali allo scopo di avviare il processo di potenziamento dell’economia. Durante il suo regno fu riorganizzato il sistema delle comunicazioni, fu dato nuovo impulso all’agricoltura e venne incentivato il commercio estero. Divenuto una monarchia costituzionale, l’Afghanistan entrò a far parte della Società delle Nazioni (1934). Nella seconda guerra mondiale (1939-45) mantenne inizialmente la neutralità per poi dichiarare guerra alla Germania. Nel 1946 entrò a far parte dell’ONU. Uno dei problemi più gravi che si pose allora alla monarchia afghana fu quello relativo alle tribù dei pathani che, resesi autonome nel corso del XIX secolo, accelerarono il deterioramento dei rapporti con il Pakistan. Nella questione del Pathanistan il governo afghano ottenne l’appoggio dell’Unione Sovietica, mentre il Pakistan cercò il sostegno delle potenze occidentali aderendo al patto di Baghdad, siglato nel 1955 sotto l’egida degli Stati Uniti. Nel 1961 si giunse alla rottura dei rapporti diplomatici fra i due paesi, che fu aggravata dall’appoggio fornito dall’Afghanistan agli irredentisti in lotta per la formazione di un Pathanistan indipendente. Nel 1973 un colpo di stato abbatté la monarchia, che nel 1964 aveva concesso una nuova costituzione: l’ex premier Sardar Mohammed Daud proclamò la repubblica assumendo la guida del paese e iniziando una vasta opera di potenziamento dell’economia che non diede, tuttavia, i risultati sperati. Nell’aprile del 1978 un colpo di stato comunista eliminò Daud, che aveva assunto una posizione politica sempre più moderata. I nuovi dirigenti non riuscirono però ad accordarsi su strategie unitarie e si manifestarono, all’interno delle stesse forze comuniste, profonde tensioni che portarono al potere prima Taraki, poi Amin e infine Karmal, appoggiato dall’URSS la quale nel 1979 decise di intervenire direttamente nella crisi interna afghana. L’intervento militare sovietico, che consolidò la vittoria dell’ala comunista di Karmal, alimentò una guerra civile logorante che vide schierati da una parte il regime di Kabul appoggiato dall’URSS e dall’altra i nazionalisti islamici – i mujaheddin – appoggiati dagli Stati Uniti. La decisione sovietica venne condannata a livello internazionale e determinò un forte peggioramento dei rapporti fra Est e Ovest, tanto più grave in quanto l’occupazione dell’Afghanistan portava l’URSS ad accrescere la sua influenza sul Golfo Persico, zona strategica per il rifornimento del petrolio. Nel clima di generale distensione dei rapporti fra Est e Ovest, avviato dalla politica estera di Gorbacëv negli anni Ottanta, la questione afghana trovò infine una soluzione. Dopo aver manifestato, nel XXVII congresso del PCUS, il proposito di avviare nuove relazioni internazionali pacifiche, Gorbacëv fece proclamare nel 1987 il cessate il fuoco. L’anno successivo iniziò il ritiro delle truppe sovietiche, che fu portato a compimento nel febbraio del 1989. Il ritiro sovietico non significò però la fine della guerra civile. Nel 1992 Muhammad Najibullah, che aveva sostituito nel 1986 Kemal, dovette a sua volta cedere il potere, non riuscendo a dominare i contrasti interni alle diverse correnti della guerriglia. A partire dal 1993 un peso sempre maggiore assunsero i taliban (studenti di religione), una setta sannita integralista, appoggiata dal Pakistan e dagli Stati Uniti, intenta a stabilire nel paese uno stato teocratico islamico. I taliban estesero il loro controllo sul territorio occupando nel 1996 Kabul. Dopo il fallimento di un piano di pace avanzato dall’ONU nel 1995, nel marzo del 1999 un nuovo piano ONU ottenne l’accordo per la formazione di un governo di unità nazionale, ma di fatto la guerriglia, che nelle sue varie componenti vedeva intrecciarsi i diversi interessi di Pakistan, Iran, Russia e Stati Uniti, non cessò, mentre i taliban ottenevano nuovi successi. Nel 1999 e poi nel 2001 l’ONU approvò una serie di sanzioni contro il regime dei taliban. Ritenuto complice degli attentati del 2001 negli USA, in quanto protettore della rete terroristica al-Qaida e del suo leader Osama bin Laden, quest'ultimo fu quindi attaccato da una coalizione guidata dagli USA: l’operazione militare (Enduring Freedom) ebbe l’appoggio dei guerriglieri anti-taliban dell’Alleanza del Nord. Nel dicembre 2001 fu insediato un governo di transizione guidato da Hamid Karzai e nel 2004 si svolsero le prime elezioni democratiche cui poterono partecipare anche le donne. Hamid Karzai fu eletto presidente, ma il paese rimase comunque in una situazione di grave conflittualità interna, nella quale la stabilità dipese in gran parte dalla presenza di contingenti militari stranieri e dagli aiuti internazionali. Nel 2006 il comando delle operazioni militari fu assunto dalla NATO e nel 2009, a fronte di un netto inasprimento degli scontri con la guerriglia dei taliban, il presidente americano Barack Obama annunciò il rafforzamento del contingente americano, che l’anno successivo raggiunse il picco massimo di centocinquantamila unità. Sul piano strategico i risultati delle operazioni militari furono solo parzialmente positivi, perché se da un lato riportarono sotto il controllo del governo di Kabul vaste aree controllate dalle milizie talebane, dall’altro non fermarono le violenze e gli attentati sia contro i militari sia contro i civili. Nel 2009, in un clima di crescenti tensioni, Karzai fu rieletto per un secondo mandato. A fronte di un sensibile calo del consenso da parte dell’opinione pubblica americana ed europea, nel 2010 la NATO decise un graduale disimpegno militare, da portare a termine entro il 2014. Anche all’indomani delle elezioni parlamentari del 2010, che registrarono un netto calo della partecipazione, la diffusa impopolarità del governo di Karzai, la continua presenza di gruppi armati in lotta tra loro e la corruzione endemica continuarono a rendere precaria la situazione politica interna del paese.

  1. Antichità
1. Antichità

Stato attuale dell’Asia centrale. Situato fra Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, l’altopiano afghano – naturale proseguimento di quello iraniano – occupa una zona di transizione tra il subcontinente indiano e l’area di influenza della Russia. Luogo di incontro e di passaggio di molteplici popoli asiatici, all’inizio del II millennio a.C. fu percorso dalle tribù indoeuropee provenienti dalle gole dell’Hindu Kush e dirette verso il Punjab. I territori che oggi costituiscono l’Afghanistan furono compresi all’interno dei confini dell’impero persiano (Iran) a partire dal VI secolo a.C., in seguito alla politica espansionistica di Dario I, e assunsero il nome di Drangiana, Battria, Aria e Aracosia, abitata quest’ultima dagli afghani o pachti.

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