campi di concentramento

Luoghi di deportazione al fine dell’internamento carcerario, dello sfruttamento lavorativo o dello sterminio. Vi fecero ricorso i regimi autoritari e totalitari per reprimere le opposizioni interne e le persone considerate pericolose o asociali, e i paesi in guerra per trattenere i nemici catturati e i civili dei territori occupati. Utilizzati per la prima volta dagli spagnoli nei confronti degli insorti cubani nel 1868, furono impiegati massicciamente dagli inglesi durante la guerra anglo-boera (1899-1902). Durante la prima guerra mondiale (1914-18), l’impero austroungarico se ne servì per liquidare l’opposizione interna, mentre i tedeschi internavano civili nei territori occupati in Belgio e in Francia, per sfruttarne la forza-lavoro. Durante il fascismo, l’Italia ne fece abbondante uso in Libia (circa 80.000 detenuti), al fine di stroncare la resistenza locale. In Russia, i campi di concentramento, già noti ai tempi dello zarismo, furono riconvertiti dopo la rivoluzione comunista (1917) in campi di rieducazione, inizialmente con un relativo rispetto della dignità dei detenuti. Stalin fece successivamente riorganizzare i gulag dalla GPU (la polizia politica), utilizzando il lavoro degli internati nel contesto del piano di industrializzazione forzata del paese. Il nazismo costruì centinaia di Lager, fin dai primi anni del regime, ma soprattutto durante la seconda guerra mondiale (1939-45), per reprimere sistematicamente delinquenti comuni, cittadini sgraditi, oppositori politici e, poi, i prigionieri di guerra e, soprattutto, per sterminare la razza ebraica. Negli anni Sessanta gli statunitensi crearono campi di concentramento in Vietnam, per reprimere la guerriglia partigiana locale. Ancora negli anni Novanta, nei territori della ex Iugoslavia in guerra si fece ricorso all’internamento nei campi di concentramento destinati alla “pulizia etnica”. Nella storia contemporanea ebbero particolare rilievo, per le dimensioni della tragedia che in essi si consumò, i campi di concentramento nazisti. Fin dall’avvento del nazionalsocialismo in Germania (1933), Hitler creò dei Lager (= campi) di custodia protettiva, in cui fece rinchiudere oppositori politici e intellettuali avversi al regime. Dal 1936 il controllo dei campi fu affidato, per decisione di Himmler, a squadre speciali delle SS. Progressivamente, oltre agli oppositori politici (soprattutto comunisti e socialdemocratici, contrassegnati da un triangolo rosso cucito sulla casacca), furono internati obiettori di coscienza (triangolo viola), omosessuali (triangolo rosa), “asociali” (triangolo nero), criminali comuni (triangolo verde), fuoriusciti (triangolo blu) ed ebrei (stella di Davide gialla). Le deportazioni aumentarono quando la Germania iniziò l’occupazione di paesi stranieri, a partire dal 1938 (invasione dell’Austria e dei Sudeti). Durante la seconda guerra mondiale furono deportati in massa nei campi i prigionieri di guerra, soprattutto sovietici, i membri dei movimenti di resistenza e gli zingari. La destinazione più tragica dei Lager fu comunque lo sterminio degli ebrei, inteso da Hitler come “soluzione finale” della questione ebraica. Milioni di ebrei, nel corso della guerra, furono internati, spesso insieme agli altri detenuti civili e militari, in circa novecento campi disseminati in tutto l’impero nazista. Tra essi si devono almeno ricordare i campi di Bergen-Belsen, Buchenwald (che raggiunse una capienza superiore ai centomila prigionieri), Dachau, Flossenburg, Ravensbrück (campo femminile), Sachsenhausen, in Germania; di Auschwitz-Birkenau, Belzec, Chelmno, Majdanek, Stutthof, Treblinka, in Polonia; Terezin, in Boemia; Mauthausen, in Austria; Natzwailer, in Alsazia. In Italia i più importanti furono quelli di Fossoli (Modena), Gries (Bolzano), Risiera di San Sabba (Trieste). I campi comprendevano il piazzale delle adunate, delle punizioni e delle esecuzioni pubbliche, alcuni edifici di servizio e le grandi baracche di legno dove i prigionieri vivevano in condizioni disumane. Le SS esercitavano uno spietato controllo che stroncava sul nascere ogni tentativo di ribellione. Nell’attività repressiva, le SS si facevano aiutare da gruppi di prigionieri la cui complicità era compensata con alcuni privilegi (vitto migliore, divertimenti) prima della loro eliminazione. Tra gli internati erano scelti il “decano”, responsabile di tutti i prigionieri del Lager; i “capiblocco”, responsabili ognuno di una baracca; i “kapo”, comandanti delle squadre di lavoro, scelti spesso tra i criminali comuni più crudeli. Lo sfruttamento lavorativo prima dell’eliminazione fisica era caratteristica di numerosi campi. Gli internati, generalmente quelli di sesso maschile e in età da lavoro, erano costretti a lavorare a ritmi pressoché insostenibili per aziende tedesche, che pagavano tale manodopera a prezzi molto inferiori a quelli di mercato. Gli introiti erano incamerati dalle SS, che, inoltre, si appropriavano di tutti i beni che gli internati erano obbligati a lasciare al proprio ingresso nel Lager. Nei campi di lavoro, i deportati considerati inabili al lavoro per età o condizioni di salute e spesso tutte le donne, venivano immediatamente soppressi perché inutili e costosi. Nel famigerato campo di Auschwitz, gestito da Rudolf Höss, questo potere di vita e di morte spettava al dottor Mengele, che visitava gli internati al loro ingresso. Lo sterminio degli ebrei avvenne in diverse forme, dirette e indirette: molti morirono per il superlavoro, per la denutrizione, per le sevizie; gli altri furono uccisi con fucilazioni, impiccagioni, iniezioni mortali. Per poter liquidare in massa gli ebrei detenuti, fu ideato il “trattamento speciale” (Sonderbehandlung) delle camere a gas, dove con il terribile Cyclon-B venivano sterminate migliaia di persone alla volta. I cadaveri, derubati ancora dei capelli (utili per la produzione di calzature di feltro) e dei denti d’oro, venivano annientati nei forni crematori. La gestione di queste orrende operazioni era affidata a squadre speciali (Sonderkommando) composte da internati, che dopo quattro mesi di trattamento privilegiato venivano uccisi e sostituiti. Sui prigionieri venivano compiuti anche esperimenti pseudoscientifici mortali o dolorosissimi, come la sterilizzazione mediante radiazioni o castrazione, inoculazione di malattie, innesti ossei, vivisezioni, prove di resistenza al freddo o alle basse pressioni (destinate alle ricerche della Luftwaffe), dolorosi esperimenti sulle ovaie delle donne. La morte era attesa da molti detenuti come la liberazione dall’atrocità delle torture. Il numero complessivo degli internati nel corso della guerra è stato calcolato intorno ai diciotto milioni. Secondo i dati emersi nel corso dei processi di Norimberga, nello sterminio furono uccise dieci milioni di persone, di cui cinque-sei milioni di ebrei (soprattutto polacchi).