bronzo, età del

È intorno alla metà del secolo scorso che il lavoro di classificazione intrapreso da Christian Jürgensen Thomsen presso il Museo Nazionale Danese si concretizza nella Guida dell’Archeologia dell’Europa Settentrionale in cui viene esposto per la prima volta quello che egli chiamò il “sistema delle tre età”: un sistema di comparazione dei materiali archeologici delle collezioni del Museo Nazionale che permetteva l’attribuzione di questi o quei reperti, a seconda delle loro caratteristiche peculiari, a un periodo ben definito della preistoria; più precisamente all’età della pietra, all’età del bronzo, all’età del ferro. La ricchezza della collezioni e il lavoro accurato e sensibile dello studioso favorivano quindi l’attribuzione di determinati oggetti a un’età del bronzo, che veniva così definita per la prima volta. Sin dagli albori della ricerca, le discipline dell’archeologia preistorica hanno visto fiorire, nei paesi scandinavi, una quantità di studiosi. Fra questi, Oscar Montelius definì una cronologia dell’età del bronzo, e, basandosi sul metodo comparativo e sulle associazioni di oggetti, stabilì dei legami fra l’Europa occidentale e l’Egitto, attraverso la Grecia, cinquant’anni prima della scoperta del metodo radiocarbonico. Con l’età del bronzo, questo materiale diviene la lega più impiegata nella confezione di armi e oggetti di metallo di uso quotidiano. Il vantaggio della nuova lega, rispetto al rame sino allora impiegato, fu tale da spingere determinate popolazioni a organizzare il commercio dello stagno, metallo raro, ma indispensabile. L’importanza dei cambiamenti apportati alla società umana dall’invenzione del bronzo furono ampiamente sottolineati da Gordon Childe il quale ha formulato, accanto al concetto di rivoluzione neolitica, quello di rivoluzione urbana. L’origine delle società complesse, prodotte dall’accumulo di beni a cui conseguiva una stratificazione sociale all’interno della comunità ora organizzata in ranghi ben definiti, attirò in modo particolare l’attenzione dello studioso australiano che inoltre notò come tali civiltà, caratterizzate dall’edificazione di città vere e proprie, poterono svilupparsi solo ed esclusivamente là dove si presentavano le condizioni ecologiche essenziali perché tali processi potessero venire sviluppati, in particolare nelle grandi piane alluvionali dove scorrevano i maggiori corsi d’acqua del mondo antico: il Tigri e l’Eufrate, il Nilo e l’Indo. Le espressioni più antiche dell’età del bronzo in Europa centrale sembrano ancora risentire in parte degli ultimi aspetti della precedente cultura del vaso campaniforme. Con l’inizio del II millennio si assiste a una certa frammentazione territoriale delle culture dell’antica età del bronzo. Fra queste assumono maggiore rilievo quelle di Straubing in Baviera, di Sinigen in Germania sud-occidentale e di Aunjetitz in Austria, Germania centrale, Boemia e Moravia. Nello stesso periodo l’Italia del nord vede fiorire gli insediamenti palafitticoli, con strutture abitative su impalcato ligneo, distribuiti sulle sponde dei maggiori laghi pedealpini, all’interno dei bacinetti inframorenici degli invasi più grandi e lungo i margini dei bacinetti alpini anche a quote piuttosto elevate rispetto alla sottostante pianura. A questo fenomeno appartiene lo sviluppo e la distribuzione della cultura di Polada, dal nome di una località sita in un piccolo bacino nei pressi di Lonato, in provincia di Brescia, dove l’estrazione della torba, verso la fine del secolo scorso, mise in luce le tracce di un villaggio palafitticolo. Sono tipiche di questa cultura le ceramiche di impasto di non buona fattura, di colore nerastro o bruno, fra cui spicca un boccale caratteristico: il cosiddetto “poculo di Polada”. Esemplari in legno, sia di poculi che di altri recipienti caratteristici, provengono da alcuni siti scavati recentemente, quali Lavagnone, in provincia di Brescia e Fiavé in Trentino. Gli abitati palafitticoli sembrano protrarsi nel tempo anche durante la media età del bronzo, nella regione in esame; mentre, in quest’ultimo periodo si sviluppano, in Pianura Padana, le terramare, vasti centri abitati che attualmente si presentano come monticoli prodotti dalla continuità di abitazione e dall’accumulo dei rifiuti sovrappostisi. Esistono terramare di grandezza notevole, distribuite su un territorio di circa 20 ettari e altre ben più limitate, la cui estensione non supera l’ettaro. I complessi cimiteriali di quest’età hanno restituito scheletri di inumati, dal cui corredo (spade, ornamenti d’ambra ecc.) è stato possibile interpretare il rango sociale dell’inumato. Di poco posteriore, e in alcune necropoli pressoché coevo, si presenta il rito dell’inumazione, con il corpo combusto deposto, unitamente al suo corredo, all’interno di un’urna cineraria, spesso consistente in un recipiente ovoidale di ceramica domestica. Nello stesso periodo fanno la loro comparsa in Italia meridionale sepolture monumentali, spesso ubicate in zone costiere, come i complessi dolmenici. In questo momento culturale sembrano impostarsi i primi contatti con il mondo egeo, documentati dalla presenza di oggetti di importazione, principalmente prodotti vascolari dipinti. [Paolo Biagi]