Breznev, Leonid Il’ijc

(Dneprodzerzinsk, Ucraina, 1906, † Mosca 1982). Uomo politico sovietico. Segretario del Partito comunista sovietico dal 1966 al 1982. Nel 1952 entrò nel comitato centrale del Partito comunista, nel quale militava sin dal 1931. Dal 1954 al 1960 rivestì la carica di segretario del Comitato centrale del Partito e nel 1960 divenne presidente del Presidium del Soviet Supremo, carica equivalente a quella di capo dello stato. Nel 1964, con la caduta di Kruscëv, assunse la guida del Partito, del quale divenne segretario generale nel 1966. Fu un teorico della “sovranità limitata” dei paesi del blocco comunista, cioè del diritto dell’URSS di condizionarne la politica interna, come quando, nel 1968, decise di stroncare la cosiddetta “primavera di Praga” invadendo la Cecoslovacchia. In politica estera dovette affrontare un periodo di crisi nei rapporti con la Cina comunista, con la quale ci furono nel 1969 scontri armati sul fiume Ussuri e sulla frontiera del Sinkiang. Nei confronti dell’Occidente, nonostante l’accettazione di principio della “coesistenza pacifica”, l’era Breznev fu segnata da una sfida politica di portata planetaria che implicò una corsa sfrenata agli armamenti convenzionali e nucleari che finì per gettare la debole economia russa in una crisi irreversibile. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan (1979) i rapporti con l’Occidente peggiorarono ulteriormente, anche a causa del duro confronto sul problema degli schieramenti missilistici in Europa. All’interno, chiuso il capitolo della “destalinizzazione”, scelse la via della repressione della dissidenza intellettuale e politica. L’epoca brezneviana fu in generale un periodo di immobilismo, durante il quale emerse in modo evidente la contraddizione insanabile tra la velleità sovietica di ribadire e rilanciare il proprio ruolo di superpotenza mondiale e lo stato disastroso delle strutture economiche e sociali del paese. Non a caso, dopo che nel 1985 salì al potere Gorbacëv, quel periodo è stato definito “della stagnazione”.