borghesia

  1. Definizione e interpretazioni
  2. Sviluppo storico della borghesia
1. Definizione e interpretazioni

La nozione di borghesia ha assunto nel tempo molteplici significati. La difficoltà di arrivare a una definizione univoca deriva principalmente dalla storia ormai millenaria del suo referente empirico, che ha mutato nel tempo tanto la sua articolazione interna quanto la sua collocazione entro i sistemi di stratificazione sociale che si sono storicamente succeduti. In generale si possono distinguere due usi prevalenti del termine. Il primo, che fa riferimento alle epoche in cui la nobiltà e il clero erano titolari di specifici privilegi che li costituivano in “ordini” o “ceti”, designa una classe sociale intermedia tra la nobiltà e il clero da un lato e la massa dei contadini, dei servi, dei lavoratori salariati dall’altro. Il secondo, entrato in uso nell’Ottocento in seguito alla diffusione del processo di industrializzazione e per l’influenza determinante del pensiero di Karl Marx, indica una delle due classi fondamentali che caratterizzano il modo di produzione capitalistico, vale a dire la classe che detiene, o controlla, i mezzi di produzione e si contrappone al proletariato, escluso dal possesso e dal controllo di tali mezzi e costretto, per riprodursi, a vendere la propria forza lavoro. Usata come categoria interpretativa dalla storiografia e dalla sociologia, soprattutto di ispirazione marxista, per comprendere i grandi mutamenti intervenuti nel mondo occidentale nel corso del processo di modernizzazione, la nozione di borghesia, intesa come soggetto collettivo capace, sotto determinate condizioni, di azione unitaria si rivela inadeguata di fronte alla crescente diversificazione e complessità dei sistemi di stratificazione sociale delle società industriali avanzate. Tra i tentativi recenti più significativi di dare una definizione operativa del concetto di borghesia si può menzionare quello compiuto dall’economista Paolo Sylos Labini (1974). Utilizzando quale criterio di individuazione la natura del reddito percepito (rendita, profitto, stipendi e redditi misti in contrapposizione al salario, che costituisce la fonte di reddito della classe operaia), egli distingue tra: borghesia, composta dai grandi proprietari di fondi agricoli e urbani, dagli imprenditori e dagli alti dirigenti, dai professionisti; piccola borghesia impiegatizia, formata dagli impiegati pubblici e privati; piccola borghesia relativamente autonoma, formata da coltivatori diretti, artigiani e commercianti; piccola borghesia, categorie particolari, come i militari, i religiosi e altre consimili. Merita, infine, ricordare, accanto alla nozione “realistica” di borghesia, quella “simbolica” (L. Cafagna). In quest’ultima accezione – che non esclude necessariamente la prima – la borghesia si caratterizza non solo, o non tanto, come gruppo sociale che ha una specifica collocazione all’interno del processo produttivo quanto piuttosto come portatore di una “mentalità”, uno “spirito”, un’“etica”, uno “stile di vita” variamente intesi e valutati. Così, Max Weber e Werner Sombart, pur con non trascurabili differenze interpretative, ne sottolinearono la portata innovativa, affermando che il capitalismo aveva tratto il suo impulso fondamentale dall’individualismo borghese, caratterizzato per un verso da un atteggiamento fortemente acquisitivo, necessaria premessa dell’accumulazione, per l’altro dal calcolo razionale nella condotta d’impresa. Altri, (da Constant a Tocqueville, Comte, Spencer fino a Schumpeter) parlarono di uno “spirito delle classi medie”, variamente contrassegnato dall’inclinazione al pacifismo, dal conformismo, dalla quotidianità, dalla concretezza. Altri ancora (si pensi a Nietzsche, ma anche a movimenti culturali come il futurismo o politici come il fascismo) videro nella “mentalità borghese” la manifestazione di un egoismo gretto e antieroico.

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2. Sviluppo storico della borghesia

Il termine burgensis fece la sua comparsa nel latino dell’XI secolo per indicare, in contrapposizione all’abitante del contado, chi viveva nel burgus, nella città e, in quanto tale, godeva di una condizione giuridica particolare, non soggetta ai vincoli di dipendenza propri del sistema feudale. Da esso derivarono il francese bourgeois, il tedesco Bürger e l’italiano borghese. La borghesia – che come fenomeno storico nasce e si sviluppa in relazione alla rinascita del fenomeno cittadino e alla ripresa dei traffici e dell’economia monetaria – andò originariamente caratterizzandosi come un aggregato sociale assai composito, formato tanto da piccoli artigiani, bottegai, lavoratori salariati urbani quanto dai mercanti delle potenti “arti maggiori” e dai professionisti (notai, medici, farmacisti, scrivani): un aggregato distinto, per le attività che svolgeva, per il luogo di residenza e per lo status giuridico di cui godeva, sia dagli ordini privilegiati della nobiltà e del clero sia dai lavoratori delle campagne. Tra il XIII e il XVI secolo, agli albori dell’età moderna, andarono mano a mano emergendo le figure dei banchieri, degli armatori, dei commercianti impegnati nei mercati regionali e internazionali. Nel Cinquecento, si consolidò un ceto imprenditoriale industriale di una notevole consistenza. Le imprese restavano per lo più di piccole dimensioni; ma in settori legati all’attività mineraria, alla cantieristica, all’edilizia, alla fabbricazione delle armi, all’editoria e all’industria tessile esse raggiunsero in molti casi dimensioni notevoli, localizzandosi anche nelle zone non urbane. L’industria tessile, in particolare, si avvaleva tanto di opifici cittadini, con manodopera salariata, quanto del lavoro subappaltato a contadini, i cui prodotti venivano ritirati e commercializzati. La formazione dello stato moderno comportò inoltre la formazione di nuovi strati di funzionari. Questo processo andò intensificandosi nei secoli XVII e XVIII, con il sempre maggior sviluppo di imprese fondate sull’accentramento dei mezzi di produzione e sul lavoro salariato. La borghesia, nella varietà delle sue componenti, non si caratterizzava allora per una propria identità o coscienza di classe. È in proposito significativo che gli strati superiori cercassero molto sovente, in riconoscimento del loro status acquisito, la nobilitazione da parte dei monarchi. L’emergere della borghesia come classe sociale autonoma, come soggetto politico portatore di specifici interessi, distinti e in conflitto con gli interessi di altre classi sociali, fu il risultato di due grandi processi concomitanti: la lotta contro l’assolutismo monarchico e la rivoluzione industriale. Il primo vide impegnati in uno sforzo congiunto la borghesia e i settori liberali dell’aristocrazia; il secondo consentì alla borghesia di qualificarsi come nuovo soggetto candidato a dirigere i settori più innovativi e moderni del sistema economico. La lotta contro l’assolutismo monarchico ebbe le sue origini nell’Inghilterra del Seicento, e portò all’affermazione del sistema politico liberale, senza che la borghesia assumesse un carattere pregiudizialmente antiaristocratico. Diverse furono le modalità di affermazione del liberalismo in altri paesi del mondo occidentale. Negli Stati Uniti esso si connotò fin dagli inizi come una ideologia esplicitamente antiaristocratica (con il divieto di ogni titolo nobiliare) ed ebbe quale esito la proclamazione della piena eguaglianza politica e giuridica di tutti i cittadini (fatta eccezione per i neri). In Francia la lotta contro l’antico regime monarchico e aristocratico prese un corso apertamente e violentemente rivoluzionario. Se non che a condurre l’attacco risolutivo al vecchio sistema di potere non furono in primo luogo gli strati superiori della borghesia bensì i contadini, gli intellettuali repubblicani, gli operai e il sottoproletariato urbano. La borghesia, intesa come classe dei proprietari in contrapposizione da un lato all’aristocrazia e dall’altro a coloro che minacciavano la proprietà, stabilì la sua egemonia sociale a partire dal 1794 con la caduta della dittatura giacobina e l’avvento della reazione termidoriana. La storiografia di orientamento marxista ha definito globalmente la Rivoluzione francese come “borghese”, in quanto essa ebbe l’effetto di liberare il modo di produzione capitalistico da tutti i vincoli di natura politica e giuridica che facevano ostacolo al suo sviluppo. Lo storico inglese E.J. Hobsbawm, in particolare, ha esteso tale definizione all’epoca che va dal 1789 al 1848 da lui chiamata, appunto, l’“età delle rivoluzioni borghesi”: di quelle rivoluzioni, cioè, che avevano avuto come esito l’avvento della “società borghese”, caratterizzata, marxianamente, dalla presenza di due classi fondamentali, la borghesia e il proletariato, in conflitto irriducibile; da un ordinamento giuridico in tutto funzionale alle esigenze dello sviluppo capitalistico; da uno stato strumento nella mani della borghesia, divenuta la classe politicamente e socialmente dominante nel quadro di una tendenza storicamente necessaria alla concentrazione dei mezzi di produzione nelle mani di una ristretta oligarchia e alla proletarizzazione dei ceti intermedi. La concezione marxista della borghesia – che pure ha esercitato una enorme influenza politica e culturale nell’età contemporanea – messa a confronto con lo sviluppo storico si è rivelata inadeguata per molti aspetti importanti. L’unico paese in cui la borghesia ha esercitato una incondizionata funzione dirigente tanto sul piano economico quanto sul piano politico sono gli Stati Uniti. Nel paese europeo che ha conosciuto la più rapida e imponente industrializzazione a cavallo tra Otto e Novecento, vale a dire la Germania, il liberalismo venne sconfitto, la lotta tra borghesia e proletariato divenne acuta, ma lo stato restò fino al nazismo sotto il controllo di un insieme composito di forze in cui un ruolo essenziale ebbero la grande nobiltà agraria, l’alta burocrazia e la casta militare. In Inghilterra, in Francia e in Italia, al di là della diversità delle condizioni sociali e politiche, le classi dirigenti furono il prodotto di un amalgama tra borghesia e aristocrazia, che resero quanto meno parziale e molto spuria l’egemonia borghese. Inoltre – e questo è forse l’aspetto più rilevante – in tutti gli stati occidentali la diffusione e l’intensificazione dell’industrializzazione portarono non già a una semplificazione e polarizzazione della struttura di classe, ma alla sua crescente diversificazione, destituendo di fondamento la tesi marxiana della progressiva proletarizzazione dei ceti medi. Lungi dal ridursi a una ristretta oligarchia di magnati dell’industria e della finanza, la borghesia, in quanto classe sociale distinta dal proletariato, ha conosciuto uno straordinario sviluppo, per effetto non soltanto della mancata scomparsa degli strati intermedi tradizionali ma anche della formazione di nuovi strati sociali, i cosiddetti “nuovi ceti medi”, frutto dell’incessante creazione di nuovi ruoli professionali nei più diversi settori dell’economia. Di fronte alla complessità dei sistemi di stratificazione delle società industriali avanzate tanto la categoria di borghesia quanto quella di proletariato, elaborate dal linguaggio storico-politico classico, paiono dunque aver perso gran parte della loro capacità descrittiva ed esplicativa. [Edda Saccomani]

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