Austria

Stato attuale dell’Europa centrale.

  1. Preistoria e antichità
  2. La Marca Orientale e la dinastia dei Babenberg (VIII-XIII secolo)
  3. L’ascesa degli Asburgo (XIII-XV secolo)
  4. L’impero asburgico e il problema della centralizzazione (XVI secolo)
  5. Riforma e Controriforma (XVI-XVII secolo)
  6. La riorganizzazione dell’impero asburgico (1658-1740)
  7. L’assolutismo riformatore (1740-92)
  8. L’età della Rivoluzione e della Restaurazione (1792-1848)
  9. I nazionalismi contro l’impero asburgico (1848-66)
  10. La monarchia austro-ungarica e la fine dell’impero asburgico (1867-1918)
  11. La Prima Repubblica e l’annessione alla Germania nazista (1918-45)
  12. La Seconda Repubblica: dal dopoguerra ai giorni nostri
1. Preistoria e antichità

L’attuale territorio dell’Austria fu abitato sin dal paleolitico inferiore, come testimoniano i reperti della caverna di Gudenus nello Hartenstein e della stazione di Willendorf (facies aurignaciana) nella Bassa Austria. Esso conserva tracce importanti delle successive culture del neolitico: la danubiana, la nordica e l’europea occidentale. Notevoli sono anche i ritrovamenti che attestano la presenza dell’uomo nell’età del bronzo (cultura dei “campi di urne”, fase di Hallstatt) e in quella del ferro (aspetto di La Tène). In età storica, la regione austriaca fu popolata da genti di stirpe illirica, con elementi celtici e danubiani (400 a.C.). Conquistata dai romani al tempo di Augusto (16-15 a.C.), fu divisa nelle province della Rezia a Occidente e del Norico a Oriente. A partire dalla fine del IV secolo d.C. fu soggetta a quel vasto movimento migratorio di popoli di stirpe germanica, che provocò la dissoluzione dell’impero romano. La Rezia fu invasa dagli alamanni e da altre genti germaniche (IV-V secolo); il Norico fu occupato dai goti (fine V secolo), dai franchi (535) e dai longobardi (568), cui subentrarono poi avari e slavi.

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2. La Marca Orientale e la dinastia dei Babenberg (VIII-XIII secolo)

Alla fine dell’VIII secolo gli avari furono sconfitti da Carlo Magno, che in quei territori disomogenei sul piano etnico, estesi dalla regione danubiana sino ai confini della Baviera, creò il primo organismo statale unitario, la Ostmark – la Marca Orientale – allo scopo di proteggere l’impero franco dai popoli provenienti da Oriente. Sotto la minaccia di ungari e boemi, all’inizio del X secolo la Marca diventò la roccaforte del cristianesimo nelle regioni orientali del Sacro Romano Impero. Ricostituita da Ottone I dopo la vittoria di Augusta (955), fu assegnata intorno al 976 dal figlio Ottone II a Leopoldo I di Babenberg, il primo di dodici margravi che ressero l’Austria fino al 1246. Investiti nel 1156 del Privilegium minus, titolo ducale che li creava vassalli dell’impero, i Babenberg diedero un forte impulso all’unità politica dell’Austria e ne fecero un baluardo della cristianità, favorendo il sorgere di abbazie benedettine. La capitale del ducato fu trasferita da Pöchlarn a Vienna nel 1156 da Enrico II, mentre i possedimenti della dinastia si estesero alla Stiria, ereditata da Leopoldo II nel 1192, alla Pusteria e alla contea d’Istria. Dopo la morte dell’ultimo duca dei Babenberg, Federico II, nella battaglia della Leitha (1246), i loro domini furono contesi fra Bela IV d’Ungheria e Ottocaro II di Boemia, fratello di Margherita, moglie di Federico.

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3. L’ascesa degli Asburgo (XIII-XV secolo)

Fu l’elezione di Rodolfo d’Asburgo (1273-91) a re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero a far crollare il progetto di Ottocaro II. Dopo la battaglia di Dürnkrut (1278), in cui Ottocaro perse la vita, l’Austria diventò possesso di Rodolfo d’Asburgo. Nel 1282 egli diede in feudo i territori dell’Austria, della Stiria e della Carniola ai suoi figli Alberto I, poi re di Germania e imperatore (1298-1308), e Rodolfo II duca d’Austria, ponendo le premesse del secolare dominio degli Asburgo sulla regione (fino al 1918). Nel XIV secolo, la cessione del diritto alla corona imperiale prima alla casa di Lussemburgo, poi a quella bavarese dei Wittelsbach, ridusse gli Asburgo a duchi d’Austria e li costrinse a perseguire una politica di consolidamento dei loro domini. Acquisirono il possesso della Carinzia nel 1335 con Alberto II, della contea del Tirolo nel 1363 con Rodolfo IV, di Trieste nel 1382 con Alberto III. Questo sviluppo fu in parte interrotto dalla divisione della casa asburgica nel 1365, alla morte di Rodolfo IV. Sancita nel 1379 dal trattato di Neuberg, essa diede vita alla linea albertina, da Alberto III (morto nel 1395), cui fu riconosciuto il possesso dell’Austria, e alla linea leopoldina o stiriana, da Leopoldo III (morto nel 1386), che ottenne la Stiria, la Carinzia, la Carniola e il Tirolo. Tale divisione comportò un notevole indebolimento dell’autorità dei duchi, soprattutto di fronte alla nobiltà riunita negli Stände (Stati) regionali. Fu soltanto con Federico V (III come imperatore, 1452-93) che si ricostituì l’unità della casa, essendosi estinta nel 1457 la linea albertina con la morte di Ladislao, figlio postumo di Alberto V (II come imperatore, 1438-39). Con quest’ultimo la casa asburgica aveva riottenuto la corona imperiale, avendo egli sposato Elisabetta, figlia dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo. Nello stesso tempo, gli Asburgo persero definitivamente il potere sui Cantoni svizzeri, resisi indipendenti con la pace perpetua del 1474. Fu così fissato il carattere austriaco e orientale della casa, i cui membri ricevettero dal 1453 il titolo di arciduchi d’Austria. Nel 1485 Mattia Corvino, re d’Ungheria, giunse a occupare Vienna e soltanto con la sua morte (1490) Federico III recuperò i territori perduti.

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4. L’impero asburgico e il problema della centralizzazione (XVI secolo)

Federico poté dunque trasmettere al figlio Massimiliano I (1493-1519) uno stato solido sul piano territoriale. Con Massimiliano I iniziò l’ascesa e la fortuna europea della monarchia asburgica, che fece dell’Austria il centro del Sacro Romano Impero, grazie anche a un’accorta politica matrimoniale. Egli assicurò agli Asburgo la sovranità sui territori borgognoni delle Fiandre e dei Paesi Bassi sposando Maria di Borgogna, figlia ed erede di Carlo il Temerario; sul regno di Spagna e sui suoi possedimenti in Italia (Napoli, Sicilia, Sardegna, Milano, Stato dei Presidi), in Africa e in America, facendo sposare (1493) il figlio Filippo il Bello con Giovanna la Pazza d’Aragona e di Castiglia; sul regno di Boemia e d’Ungheria, concludendo i matrimoni dei nipoti, Ferdinando e Maria, con i figli di Ladislao re di Boemia e d’Ungheria, Anna e Luigi. Massimiliano riorganizzò anche la struttura interna dell’impero, affinché i domini ereditari della sua famiglia assumessero quella coesione dinastica e nazionale da cui traevano forza le monarchie di Francia, Spagna e Inghilterra. Formò un apparato di giuristi e di funzionari stipendiati, che lo coadiuvassero nel tentativo di dare una burocrazia centralizzata ai suoi stati secondo il modello borgognone. Creò una Camera e un Consiglio aulici e due cancellerie, della Corte e dell’impero, e istituì due amministrazioni distinte, a Innsbruck per il Tirolo e a Graz per la Stiria, che nel corso del Seicento acquisirono una grande autonomia. Nel 1518, nella dieta generale di Innsbruck, costrinse tutti gli Stände delle province a riconoscere l’unità dinastica del paese. Riuniti dal nipote Carlo V – imperatore (1519-56) e re di Spagna (1516-56) – in un vasto impero comprendente Austria, Germania, Paesi Bassi, Spagna con le colonie in America, parte dell’Italia, i domini ereditari degli Asburgo furono poi da lui affidati con la corona imperiale al fratello Ferdinando I (1556-64), e distinti dai possedimenti occidentali, concessi invece al figlio Filippo II, re di Spagna (1556-98). Alla morte di Luigi, re di Boemia e di Ungheria, nella battaglia della Mohács (1526) contro i turchi, soltanto la Boemia passò a Ferdinando, che aveva sposato la figlia del re Ladislao. L’Ungheria, invece, rese omaggio al sultano Solimano e proclamò re Giovanni Zápolyai. Nel corso della guerra che ne seguì, Vienna fu minacciata dai turchi nel 1529 e nel 1532, finché con la pace di Nagyvárad (Gran Varadino) del 1538 Ferdinando riconobbe re d’Ungheria Giovanni Zápolyai. Con Ferdinando I e i suoi successori quel progetto di centralizzazione del potere imperiale, e quell’idea di uno stato unitario austriaco, baluardo della cristianità, che avevano ispirato la politica di Massimiliano I e di Carlo V, parvero destinati a fallire. Gli stessi domini della casa asburgica furono divisi tra i figli di Ferdinando: Massimiliano II (1564-76), succeduto al padre nell’impero, ottenne l’Austria, la Boemia e il diritto di successione al trono in Ungheria; Ferdinando acquisì il Tirolo; Carlo, la Stiria, la Carinzia e la Carniola. I domini furono nuovamente uniti nel 1619 sotto l’imperatore Ferdinando II (1619-37), figlio di Carlo di Stiria, a esclusione del Tirolo, che rimase separato fino al 1665.

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5. Riforma e Controriforma (XVI-XVII secolo)

Con la diffusione della Riforma nei territori dell’impero asburgico, l’Austria ritrovò la sua funzione di custode dell’ortodossia cattolica e, con essa, la possibilità di realizzare l’idea dello stato unitario. Se, infatti, sostanzialmente tollerante fu la politica religiosa di Ferdinando I e del figlio Massimiliano II, interessati a mantenere l’unità dell’impero di fronte alla minaccia turca, quella di Rodolfo II (1576-1612) e del fratello Mattia (1612-19) fu apertamente intransigente. L’intolleranza verso i protestanti, che in Boemia avevano precedentemente abbracciato il pensiero riformato di Johann Hus, si tradusse nella repressione dello spirito nazionale di cechi e boemi: la capitale fu trasferita per lunghi periodi da Vienna a Praga e il cattolicesimo fu imposto in tutti i domini ereditari degli Asburgo (insediamento di signori feudali tedeschi, irradiazione di gesuiti e cappuccini nella Boemia). Tale politica portò a una frattura definitiva fra cattolici e protestanti, e all’opposizione boema contro gli Asburgo. L’atto di ribellione dei protestanti boemi, noto come la “defenestrazione di Praga” (1618), trasformò la rivolta religiosa e nazionale delle minoranze etniche dell’impero asburgico in una guerra internazionale, cui parteciparono i maggiori stati europei (guerra dei Trent’anni). L’Austria ne risultò vincitrice sul piano della coesione interna, poiché con Ferdinando II (1619-37) riuscì a sconfiggere nella battaglia della Montagna Bianca (1620) i boemi insorti, e a restaurare il cattolicesimo con una politica rigidamente ispirata ai principi della Controriforma. Sul piano internazionale, invece, l’esito della guerra fu negativo. Il trionfo della potenza francese determinò la rinuncia dell’Austria al suo progetto egemonico nell’Europa centro-occidentale. E la pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla guerra, pur assicurando a Ferdinando III (1637-57) la sovranità sulla Boemia, fece definitivamente crollare, con la frammentazione della Germania in una miriade di staterelli esposti all’influenza francese, il piano di trasformazione del Sacro Romano Impero in un organismo unitario posto sotto l’egida di Vienna. Da allora in poi il centro della politica asburgica si spostò dal mondo germanico alla regione danubiana, da un lato per contenere l’offensiva turca, dall’altro per consolidare il dominio in Ungheria.

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6. La riorganizzazione dell’impero asburgico (1658-1740)

Tale sviluppo si compì nella seconda metà del XVII secolo con Leopoldo I (1657-1705). Sotto il suo regno l’Austria tentò di trasformarsi in un forte stato unitario, in cui le minoranze etniche fossero duramente sottomesse all’elemento tedesco e cattolico, e di ritrovare la coesione nazionale nella ripresa della lotta contro l’impero ottomano. Dopo il primo conflitto con l’Austria (1663-64), i turchi ottennero il pagamento di un tributo annuo dall’Ungheria e assediarono nuovamente Vienna nel 1683. Liberata la capitale dal pericolo turco grazie all’intervento del re polacco Giovanni III Sobieski (1683), l’Austria riuscì ad annettere l’Ungheria con la vittoria decisiva della Mohács (1687) ad opera del grande condottiero Eugenio di Savoia al servizio degli Asburgo. Questi sconfisse definitivamente i turchi nella battaglia di Zenta in Ungheria (1697), cui seguì la pace di Carlowitz del 1699, che sancì l’allontanamento dei turchi dalla Morea e da una parte della Bosnia e della Dalmazia. La dominazione austriaca in Ungheria si consolidò con la dieta di Presburgo (attuale Bratislava) del 1687, in cui la nobiltà ungherese riconobbe agli Asburgo il diritto di successione alla corona di Santo Stefano (che univa l’Ungheria, la Transilvania, la Croazia). Il governo austriaco fu poi messo gravemente in crisi dalla rivolta nobiliare e contadina guidata dal principe transilvano Ferenc Rákóczy, che culminò nella proclamazione dell’indipendenza nel 1707. La rivolta perdurò durante tutto il regno del successore di Leopoldo, Giuseppe I (1705-11), e fu domata soltanto a Szátmar nel 1711 poco dopo la morte di quest’ultimo e l’avvento al trono del fratello Carlo VI (1711-40). Sotto il regno di Carlo VI gli Asburgo furono costretti a rinunciare alla corona di Spagna in seguito alla guerra di Successione spagnola, mentre si videro riconoscere, con i trattati di Utrecht e Rastadt del 1713-14, il possesso di Milano, di Napoli, della Sardegna (sostituita nel 1720 con la Sicilia) e dei Paesi Bassi spagnoli. Nel 1716 l’impero si ampliò sul fronte balcanico: la vittoria riportata dal principe Eugenio di Savoia sui turchi, che avevano nuovamente tentato di occupare la Morea, e la pace di Passarowitz (1718) diedero all’Austria di Carlo VI il banato di Temesvár, la Piccola Valacchia, la Serbia settentrionale, la Bosnia. Con la guerra di Successione polacca (1733-38) Carlo VI dovette cedere alla Francia la Lorena, di cui era duca il genero Francesco Stefano di Lorena, che ricevette come compenso il granducato di Toscana, e restituire alla Spagna il regno di Napoli e la Sicilia in cambio del ducato di Parma e di Piacenza. Un nuovo conflitto con i turchi (1736-39), intrapreso a fianco della Russia, si concluse in modo fallimentare: furono infatti fissati nuovi confini fra Austria e impero ottomano che cancellarono le conquiste acquisite con la pace di Passarowitz. Con la Prammatica Sanzione del 1713, Carlo VI cercò poi di assicurare l’indivisibilità dei domini asburgici e di legittimare la successione della corona imperiale alla figlia Maria Teresa in caso di mancanza di eredi maschi. Alla sua morte (1740), però, l’Elettore di Sassonia, quello di Baviera, che aspirava alla corona imperiale, e la Francia negarono il riconoscimento alla successione di Maria Teresa. Fu l’inizio della guerra di Successione austriaca (1740-48), che per un verso assicurò il trono imperiale a Maria Teresa e per un altro verso provocò la perdita della Slesia e dei ducati di Parma e Piacenza a favore rispettivamente della Prussia e dei Borbone di Spagna.

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7. L’assolutismo riformatore (1740-92)

Il regno di Maria Teresa (1740-80) e quello del figlio Giuseppe II (1780-90) furono decisivi per la modernizzazione istituzionale dell’impero (dispotismo illuminato). Nell’opera di riforma e di rafforzamento dell’unità dello stato, l’imperatrice si fece coadiuvare dal principe Wilhelm von Haugwitz (1702-65), nel corso degli anni Quaranta, e dal conte Wenzel Anton von Kaunitz (1711-94), dal 1753 fino alla sua morte, riuscendo a trasformare l’Austria in un moderno stato burocratico centralizzato. Maria Teresa attuò innanzitutto una politica volta a esautorare gli Stati (Stände) e a limitare le spinte centrifughe della nobiltà, introducendo in Austria e in Boemia il Directorium in publicis et cameralibus (1749), un organismo cui furono assegnate la politica interna e quella fiscale, con la separazione dei compiti giudiziari demandati alla Corte suprema di giustizia. Migliorò l’amministrazione della giustizia emanando il Codex Theresianus (1758). Nel 1761 creò il Consiglio di stato, diretto a coordinare l’attività dei vari ministeri, dopo aver centralizzato la conduzione della politica estera in una Cancelleria di Stato e averla affidata, insieme con la politica interna, al controllo di Kaunitz. Intraprese anche una energica politica fiscale. Alle riforme amministrative accompagnò quelle in campo militare, riorganizzando l’esercito con l’introduzione della coscrizione obbligatoria (1749) e la fondazione di un’accademia militare per la preparazione degli ufficiali (1752). Decisiva fu poi la riforma dell’istruzione universitaria, volta a ridurre la censura e l’influenza dei gesuiti, così da favorire l’apertura dell’Austria alla cultura europea e alla circolazione delle nuove idee diffuse dall’Illuminismo. Nel 1774 decretò l’obbligo scolastico per tutti i ceti e creò la scuola popolare. Pur fervente cattolica, intollerante verso protestanti ed ebrei, Maria esercitò un forte controllo sul clero cattolico. Nei confronti dei gesuiti, senza schierarsi a favore della soppressione dell’ordine, ne accettò lo scioglimento nel 1773 ad opera di Clemente XIV. Se la politica ecclesiastica dell’imperatrice non ebbe alcun carattere ideologico, ma fu più che altro motivata da pressanti problemi finanziari, fu con l’avvento al trono del figlio Giuseppe II (1780-90) che il riformismo assunse un forte significato laicista. Il confronto dello stato con la chiesa si spostò dal piano economico a quello sociale, e portò a una ridefinizione del ruolo spirituale e civile della religione nell’impero. Giuseppe II attribuì allo stato il potere dell’elezione di vescovi e abati, istituì seminari di stato per l’istruzione obbligatoria dei chierici, soppresse tutti i monasteri che non avessero una diretta funzione sociale (cura dei malati e degli indigenti, educazione), laicizzò l’istruzione pubblica e, con un editto di tolleranza del 1781, concesse la libertà di culto a protestanti e ortodossi. Compì passi decisivi anche per l’emancipazione degli ebrei, che si videro riconosciuti i diritti civili e la libertà di accesso alle università. Impregnato di cultura illuministica, concesse una maggiore libertà di stampa e accelerò il processo riformatore, sforzandosi di combattere i poteri locali tradizionali e di limitare l’influenza politica della nobiltà. Egli divise l’Austria e la Boemia in distretti, la Lombardia e i Paesi Bassi in circoscrizioni, ponendoli sotto il controllo di funzionari statali. Istituì come lingua ufficiale il tedesco al posto del latino. Nel 1787 varò un nuovo codice penale, che vietò l’uso della tortura. Per sanare il disordine fiscale ed eliminare i privilegi tradizionali, creò il catasto, estese a tutti i ceti l’imposta fondiaria con la riforma fiscale del 1789, soppresse la corvée e il pagamento della decima al clero da parte dei contadini. Fra il 1781 e il 1785 portò a compimento l’abolizione della servitù della gleba. Questa politica finì però per suscitare numerose opposizioni, sia da parte della chiesa cattolica sia da parte delle minoranze non tedesche dello stato, in particolare in Ungheria e nei Paesi Bassi (proclamatisi indipendenti il 13 dicembre 1789), che videro nell’annullamento delle autonomie locali e nel tentativo di imporre la lingua tedesca una minaccia alla loro integrità etnica e culturale. Toccò al fratello di Giuseppe, Leopoldo II (1790-92), raccogliere la pesante eredità dell’impero. Per sedare l’opposizione nobiliare ungherese, egli abrogò la riforma fiscale del 1789, reintroducendo le corvées (1790) e riconoscendo il diritto di opposizione degli Stati contro il sovrano. In Boemia ripristinò l’uso della lingua ceca accanto a quella tedesca e, fra il 1790 e il 1791, represse la rivolta nei Paesi Bassi.

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8. L’età della Rivoluzione e della Restaurazione (1792-1848)

Nel periodo della Rivoluzione francese la monarchia asburgica smarrì quella funzione innovatrice che aveva avuto all’epoca delle riforme teresiane e giuseppine. Il nuovo imperatore Francesco II (1792-1806) coinvolse l’Austria nelle guerre contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica e le fece assumere il ruolo di paladina della conservazione. Nel 1806, dopo la dissoluzione del Sacro Romano Impero voluta da Napoleone e la formazione della Confederazione del Reno, Francesco II fu costretto ad abbandonare l’antica dignità imperiale per assumere il titolo ereditario di “imperatore d’Austria”, diventando così Francesco I d’Austria (1806-35). Abbandonato nel 1792 da Kaunitz, egli attuò una politica rigidamente conservatrice all’interno dell’impero, ponendo lo stato sotto il controllo della polizia. La perdita dei Paesi Bassi e della Lombardia con il trattato di Campoformio (1797), del Veneto, della Dalmazia e dell’Istria con la pace di Presburgo (1805), misero a nudo l’arretratezza dell’Austria. L’esigenza della ripresa di un corso riformatore, che permettesse di fronteggiare meglio la Francia, fu realizzata soltanto in parte dal conte Johann Philipp von Stadion e dall’arciduca Carlo, fratello di Francesco I. La sconfitta di Wagram del 1809 e la pace di Vienna imposero all’Austria, oltre a gravi perdite territoriali (la valle dell’Inn e le province illiriche), un mutamento radicale di politica. Ne fu il principale interprete Clemens von Metternich (1773-1859), che, nominato successore dello Stadion nel 1809, fu cancelliere di stato e ministro degli Esteri. Fautore del principio dell’equilibrio europeo, egli permise il matrimonio fra Napoleone e Maria Luisa, figlia di Francesco I (1810), e la partecipazione delle truppe austriache alla campagna di Russia. La sconfitta subita da Napoleone in Russia ridiede all’Austria la propria autonomia. Dichiarata guerra a Napoleone nel 1813, l’Austria di Metternich uscì vincitrice dal conflitto con la Francia. Al congresso di Vienna (1814-15) l’impero fu ristabilito nei suoi antichi confini (Lombardia, Toscana, Parma e Piacenza, Galizia, province illiriche, Tirolo, Salisburgo). Ottenne inoltre il Veneto e la Dalmazia, ma dovette rinunciare al Belgio. Fu assicurata la supremazia dell’Austria in Italia e in Germania, grazie alla presidenza della Dieta della Confederazione germanica. Collegata alla Russia e alla Prussia attraverso la Santa Alleanza, l’Austria difese nell’Europa centrale, nei Balcani e in Italia il principio di legittimità. La politica di Metternich fu infatti tesa a garantire la Restaurazione dell’ordine europeo stabilito a Vienna. Egli fu l’assertore di una rigida politica di repressione dello spirito nazionale, vedendo nelle società segrete le responsabili dell’inquietudine rivoluzionaria delle nazionalità oppresse. Si fece promotore dei congressi di Carlsbad (1819), di Lubiana (1821), di Verona (1822), appoggiando al congresso di Troppau del 1820 l’intervento armato contro i moti liberali di Napoli (1820) e del Piemonte (1821). In politica interna, fu il sostenitore di un pesante regime poliziesco, dell’efficienza amministrativa, di una politica economica intraprendente (che portò lo sviluppo imprenditoriale in Boemia e in Lombardia) e del risanamento finanziario per assicurare la stabilità dell’impero. Tutti i poteri furono centralizzati a Vienna e affidati a funzionari esclusivamente di lingua tedesca. Lo sviluppo delle letterature nazionali durante l’età della Restaurazione rappresentò la protesta più evidente contro l’accentramento austriaco di Francesco I e del figlio Ferdinando I (1835-48).

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9. I nazionalismi contro l’impero asburgico (1848-66)

Scosso dopo il 1822 questo sistema dal delinearsi della questione d’Oriente, che poneva di fronte l’Austria e la Russia, la politica di Metternich non riuscì più a comporre i dissidi nazionali interni alla monarchia asburgica. Essi esplosero nella primavera del 1848, dopo la rivoluzione di Parigi del febbraio. Le insurrezioni scoppiarono prima a Vienna (13 marzo) con un carattere liberale e costituzionale, portando alle dimissioni di Metternich (25 aprile). Poi dilagarono nel resto dell’impero: a Venezia, a Milano, a Praga, in Boemia, in Ungheria, con una forte accentuazione nazionale antiaustriaca. Il decennio che seguì, con la salita al trono di Francesco Giuseppe (1848-1916), vide l’affermarsi della repressione politica dei moti liberali e nazionali. Ne furono fautori il principe Felix von Schwarzenberg, che aveva salvato l’impero dal disfacimento territoriale, il suo successore Alexander von Bach (1852-59), ministro degli Interni, e il ministro degli Esteri Karl von Buol. Essi scelsero la via del centralismo, servendosi dell’apparato burocratico come elemento unificatore e del regime poliziesco. Ne risultò un sistema politico reazionario, nei cui confronti l’Italia e l’Ungheria costituivano i maggiori centri di dissenso. Il concordato con la Santa Sede del 1855, che conferì al clero cattolico il controllo dell’istruzione e della censura, assicurò l’appoggio della chiesa. Gli insuccessi della politica estera del Buol (neutralità dell’Austria nella guerra di Crimea, fallimento della sua posizione alla conferenza di Parigi del 1856) furono seguiti dai rovesci militari inferti dalla Francia e dal Piemonte nel 1859, che significarono la perdita della Lombardia, la scomparsa del granducato di Toscana e dei ducati di Modena e di Parma e la creazione del regno d’Italia. Tale situazione costrinse Francesco Giuseppe a intraprendere la ristrutturazione dell’impero. Non rappresentarono, però, alcun miglioramento la formazione di Diete nazionali (20 ottobre 1860), organi consultivi sotto il controllo aristocratico, e la Patente del 26 aprile 1861, che trasformava il Reichsrat (Consiglio dell’impero) in un parlamento eletto dalle Diete, con poteri limitati. L’opposizione della nobiltà ungherese fu ancora fortissima. A peggiorare la situazione interna contribuirono poi nuovi conflitti militari: quello contro la Danimarca, a fianco della Prussia, per i ducati dello Schleswig e dello Holstein (1864), e quello del 1866 contro la Prussia, cui si era alleato il regno d’Italia, in seguito ai quali l’Austria perse ogni influenza nell’area germanica e cedette il Veneto all’Italia.

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10. La monarchia austro-ungarica e la fine dell’impero asburgico (1867-1918)

Si giunse così al “compromesso” (Ausgleich) del 1867, che fondò la “duplice monarchia”. Furono creati due stati distinti, l’impero d’Austria (Cisleitania) e il regno d’Ungheria (Transleitania), con un parlamento e un governo autonomi, ma uniti dal vincolo dinastico e dai ministeri dell’Esercito, degli Esteri, delle Finanze. L’impero si trasformò in “monarchia austro-ungarica” e Francesco Giuseppe assunse la doppia funzione di imperatore d’Austria e di re d’Ungheria. Un meccanismo elettorale censitario assicurò al ceppo tedesco della Cisleitania il 67% dei seggi del parlamento, a quello magiaro della Transleitania il 90%. In tal modo la monarchia si resse su una costituzione dualistica, fondata sull’accordo fra le due nazionalità dominanti, l’austriaca e l’ungherese, a scapito delle altre. Fra le nazionalità soggette all’Austria furono i cechi della Boemia e della Moravia a reagire per primi, rivendicando uno status giuridico simile a quello ungherese. La legge elettorale del 1873 disattese completamente le loro aspirazioni, garantendo la maggioranza all’elemento tedesco e favorendo i sostenitori del centralismo. Intanto, in campo internazionale, il nuovo stato austriaco, sotto l’impulso del ministro degli Esteri Gyula Andrássy (1871-79), abbandonò i piani di rivincita sulla Prussia, entrando nel sistema di alleanze creato da Bismarck. Grazie all’opera di mediazione del cancelliere tedesco, l’Austria si vide riconoscere dalla Russia, con il trattato di Berlino del 1878, il diritto di occupazione della Bosnia-Erzegovina, rimasta nominalmente sotto l’impero ottomano. Stipulò un trattato segreto di alleanza con la Germania (1879). Partecipò all’Alleanza dei Tre Imperatori (1881) e concluse nel 1882, con la Germania e l’Italia, la Triplice Alleanza. All’interno, il dualismo austroungarico fu radicalizzato dalla nascita del movimento pangermanico, che non permise ai ministeri succedutisi nell’ultimo ventennio del secolo di trovare una soluzione definitiva alla questione delle nazionalità. Il governo del conte Eduard F. J. Taaffe (1879-93) ampliò il diritto di voto, restringendo la maggioranza del ceppo tedesco, mentre il ministero Badeni (1895-97) concesse la parità linguistica in Boemia e Moravia alle lingue nazionali. Le proteste dei nazionalisti tedeschi portarono però all’abrogazione di tali concessioni. La riforma elettorale del 1907, che introduceva il suffragio universale, e soprattutto la prospettiva di un sistema trialistico fondato su una federazione dei tre maggiori gruppi nazionali dell’impero (l’austriaco, l’ungherese, lo slavo), esasperarono il nazionalismo dei serbi, che aspiravano alla creazione di un grande stato slavo sotto la loro guida. Ad aggravare il risentimento antiaustriaco contribuirono poi l’annessione della Bosnia-Erzegovina nel 1908 e le guerre balcaniche del 1912-13. L’assassinio a Sarajevo dell’erede al trono arciduca Francesco Ferdinando e della moglie (28 giugno 1914), a opera dei nazionalisti serbi, portò al culmine le tensioni interne e internazionali. L’ultimatum dell’Austria alla Serbia (23 luglio 1914) provocò lo scoppio della prima guerra mondiale, da cui l’impero uscì completamente frantumato sul piano politico e territoriale. La debolezza interna della monarchia asburgica emerse drammaticamente nel corso del conflitto e l’imperatore Carlo I, subentrato a Francesco Giuseppe nel 1916, fu infine costretto a liquidare l’eredità asburgica. Dopo che i cecoslovacchi, i serbi-croati-sloveni e i polacchi ebbero proclamato la propria indipendenza tra l’ottobre e il novembre del 1918, l’11 novembre egli abbandonò il potere. Nei giorni successivi – rispettivamente il 12 e il 16 novembre – furono create la repubblica austriaca e la repubblica ungherese.

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11. La Prima Repubblica e l’annessione alla Germania nazista (1918-45)

Fu il trattato di pace di Saint-Germain (10 settembre 1919) a sancire la dissoluzione dell’impero: si decretò l’indipendenza dell’Ungheria, della Cecoslovacchia, della Iugoslavia, la cessione del Tirolo meridionale all’Italia, della Galizia e di parte della Slesia alla Polonia, della Bucovina alla Romania. L’Austria fu ridotta a uno stato esclusivamente tedesco, senza sbocco sul mare. Fra le condizioni del trattato di pace vi fu quella che vietava all’Austria di unirsi con la Germania. Tra il 1918 e il 1939 il nuovo stato ripiegò sulla politica interna per risolvere la gravissima crisi finanziaria e i contrasti politici fra le correnti favorevoli all’indipendenza e alla ricostruzione nazionale, sostenuta dal Partito cristiano-sociale, e l’idea dell’unione con la Germania (Anschluss), voluta dal Partito socialista del socialdemocratico Karl Renner e dal teorico marxista Otto Bauer. Le elezioni per l’Assemblea costituente del 1919 diedero la maggioranza ai socialdemocratici, che decretarono l’espulsione dell’imperatore Carlo I e di tutti gli Asburgo dal territorio della repubblica. Fu votata una costituzione democratica, che fece dell’Austria una repubblica federale, con un’ampia autonomia dei nove Länder (stati regionali), con un presidente e due camere: il Consiglio nazionale (Nationalrat) e il Consiglio federale (Bundesrat). L’inflazione e la crisi del 1922 segnarono il passaggio del potere ai cristiano-sociali. Il governo di Ignaz Seipel (1922-24), riuscì a sanare la crisi monetaria grazie all’intervento della Società delle Nazioni, la quale fino al 1926 stabilì il proprio controllo sul paese. Dopo il gabinetto di coalizione di Rudolf Ramek (1924-26), il successivo governo Seipel (1926-29) dovette fronteggiare una nuova crisi finanziaria e un’estesa lotta sociale, culminata nella rivolta di Vienna del luglio 1927. Il moto acuì il dissidio fra la capitale, roccaforte dei socialdemocratici, e le province, dove erano già forti i gruppi nazionalisti. A Seipel succedette il gabinetto di Johann Schober (1929-32), esponente dei nazionalisti, che varò una riforma costituzionale in senso autoritario e accentratore, limitando la preponderanza di Vienna e dei socialisti nella politica interna. Convinto pangermanista, egli stipulò nel 1931 un accordo con Berlino per l’unione doganale, suscitando le proteste della diplomazia internazionale. All’inizio degli anni Trenta, la questione dell’Anschluss tornò dunque in primo piano, favorita dall’avvento in Germania del nazionalsocialismo. Si inasprirono i contrasti politici fra la sinistra operaia e socialista e la destra, che diede vita a un partito nazionalsocialista austriaco. In questa situazione assunse il potere il cattolico Engelbert Dollfuss (1932-34), che sciolse le organizzazioni di partito. Il 4 marzo 1933 egli proclamò la fine del governo parlamentare, istituendo un regime autoritario, avverso sia al socialismo sia alla destra nazionalsocialista. Al socialismo oppose il corporativismo cattolico, che mise alla base della nuova costituzione del 1934, causando le insurrezioni operaie di Vienna nel febbraio dello stesso anno. Prese anche i primi accordi con il governo italiano, siglando i protocolli di Roma del marzo 1934. Il 25 luglio 1934 un gruppo di nazionalsocialisti assalì il palazzo della cancelleria assassinando Dollfuss. Il putsch nazista incontrò la ferma ostilità della diplomazia internazionale, che riaffermò la necessità dell’indipendenza dell’Austria nella conferenza di Stresa dell’aprile 1935. La guida del governo passò al cristiano-sociale Kurt von Schuschnigg (1934-38), che riprese il programma politico di Dollfuss, sconfisse i rivoltosi ma firmò con la Germania nazista un nuovo accordo (11 luglio 1936), convinto della necessità di un avvicinamento fra i due stati. Nel febbraio del 1938 fu inserito nel governo il nazionalsocialista Arthur Seyss-Inquart, imposto da Hitler come ministro degli Interni, che portò alle dimissioni di Schuschnigg (11 marzo 1938). Diventato cancelliere, Seyss-Inquart permise all’esercito tedesco di procedere con la forza all’Anschluss (12 marzo 1938). Il 14 marzo Hitler entrò a Vienna, mentre il giorno precedente una legge costituzionale austriaca aveva proclamato l’annessione dell’Austria al Reich tedesco. Il plebiscito del 10 aprile legittimò con la quasi totalità dei voti l’annessione. La storia dell’Austria fino al 1945 fu così legata a quella della Germania nazista, che negò ogni forma di autonomia a Vienna. Profondo fu il malcontento della popolazione, ostile alle misure prese contro la chiesa cattolica, all’assegnazione di tutte le funzioni dirigenti a persone estranee al paese e, in generale, al carattere di occupazione militare che aveva assunto l’Anschluss. Lo scoppio della seconda guerra mondiale non fece che peggiorare la situazione, portando alla nascita di un movimento clandestino di resistenza. Liberata dalle truppe alleate fra l’aprile e il maggio del 1945, l’Austria tornò indipendente con la dichiarazione di Potsdam dell’8 agosto 1945. Il suo territorio, riportato alle frontiere del 1937, fu sottoposto a un regime di occupazione da parte di Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Russia.

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12. La Seconda Repubblica: dal dopoguerra ai giorni nostri

L’Austria uscì dalla seconda guerra mondiale con enormi devastazioni. La stessa città di Vienna fu sottoposta a un’amministrazione quadripartita. Il regime di occupazione durò per circa un decennio, bloccando la ricostruzione e sottoponendo i governi austriaci al controllo costante del Consiglio alleato, soltanto in parte mitigato da un nuovo accordo di Potsdam del 26 giugno 1946. In questo decennio, segnato a livello internazionale dall’inizio della guerra fredda, dopo il primo governo provvisorio dell’aprile 1945, guidato dal socialdemocratico Karl Renner, le elezioni parlamentari del novembre 1945 diedero la maggioranza al nuovo Partito popolare cattolico, che succedeva a quello cristiano-sociale. Nacque così il primo governo della Seconda Repubblica, formato da una coalizione con il Partito socialista, con Renner presidente e il cattolico-popolare Leopold Figl cancelliere. La firma del trattato di pace con gli Alleati il 15 maggio 1955 abolì ogni forma di controllo e di limitazione da parte delle forze alleate. Tra le clausole fondamentali vi fu quella della neutralità sul piano internazionale. Tema di rilievo della politica estera austriaca fu l’attrito diplomatico con l’Italia per la questione altoatesina, inizialmente risolta con la concessione di forme di autonomia ai cittadini di lingua tedesca (settembre 1946). Riaperta la disputa nel 1960 all’ONU dall’allora ministro degli Esteri Bruno Kreisky, e approvato un primo “pacchetto altoatesino” nel 1969 con l’intesa Moro-Waldheim, la vertenza si concluse soltanto nel giugno 1992 con il riconoscimento austriaco dell’adempimento da parte italiana dello statuto di autonomia per l’Alto Adige. In politica interna, il decennio fra il 1955 e il 1965 fu contrassegnato dalla formula del governo di coalizione. Alle elezioni del 1966 la Volkspartei ottenne la maggioranza assoluta e governò da sola per quattro anni con il cancelliere Josef Klaus (1966-70). Nel 1970, però, il Partito socialista raggiunse la maggioranza al Nationalrat e poté formare un governo monocolore capeggiato da Bruno Kreisky (1970-83). Negli anni Settanta il predominio saldo e stabile dei socialisti e la loro scelta di un indirizzo riformista-moderato portarono a notevoli successi sul piano economico e sociale, permettendo l’espansione produttiva e il contenimento dell’inflazione e della disoccupazione. Divennero presidenti della repubblica i socialisti Franz Jonas (1965-74), già borgomastro della città di Vienna, e Rudolf Kirchschläger (1974-86). Un parziale indebolimento dei socialisti fu evidente agli inizi degli anni Ottanta, quando, dopo le elezioni del 1983, essi poterono conservare il potere grazie all’appoggio dei liberali. Le elezioni presidenziali del maggio 1986 portarono in carica il cattolico-popolare Kurt Waldheim, già segretario generale dell’ONU dal 1971 al 1981, nonostante le accuse sul suo passato di tenente della Wehrmacht hitleriana e di complicità negli eccidi nazisti nei Balcani. Le proteste dell’opinione pubblica internazionale causarono una profonda crisi politica interna. Le elezioni parlamentari del novembre 1986 segnarono la sconfitta dei due partiti maggiori, che riuscirono a formare ugualmente una coalizione governativa, guidata dal socialista Franz Vranitzky. Questi realizzò una politica economica liberista e, in politica estera, cercò l’avvicinamento alla CEE, presentando una domanda di ammissione all’organizzazione nel 1989. La lunga serie di scandali che coinvolsero fra il 1988 e il 1989 esponenti di primo piano dei partiti di governo sembrò esaurire il senso della coalizione di socialisti e popolari, che fu invece inaspettatamente riconfermata dalle elezioni dell’ottobre 1990. Le elezioni dell’aprile 1992 decretarono la fine della presidenza di Waldheim e l’elezione a presidente della repubblica del popolare Thomas Klestil. Il governo di coalizione di socialisti e popolari attuò una moderata politica di privatizzazioni. Una svolta importante per l’Austria fu segnata dall’adesione nel gennaio del 1995 all’Unione Europea. Una situazione difficile venne a crearsi in seguito al convergere di diversi fattori come l’aumento della disoccupazione, la crescente immigrazione sia dai paesi dell’Est europeo sia da paesi asiatici e africani, che il governo affrontò rendendo più rigida la legislazione sull’immigrazione, e una riduzione della spesa sociale al fine di rispondere ai criteri finanziari stabiliti dall’Unione Europea. Il che provocò come reazione un crescente consenso al Partito della Libertà, un partito di destra di orientamento xenofobo guidato da Jörg Haider. Nelle elezioni del 1996 per il Parlamento europeo, nelle quali il Partito socialdemocratico e il Partito popolare ebbero rispettivamente il 29,1% e il 29,6%, il Partito della Libertà ottenne oltre il 27,6%. Nel gennaio del 1997 il cancelliere Vranitzky si dimise e fu sostituito dal compagno di partito Viktor Klima. Ma nell’ottobre del 1999 il successo conseguito alle elezioni da Haider portò alla formazione di un governo di coalizione tra il partito di quest’ultimo (FPÖ) e il partito popolare, che suscitò reazioni fortemente negative da parte dell’Unione Europea, così da provocare l’isolamento politico dell’Austria. Nelle successive elezioni anticipate del novembre 2002, il partito popolare divenne la prima forza politica del paese, senza tuttavia ottenere la maggioranza assoluta. Per tale ragione, nel 2003, dopo lunghe trattative, formò un nuovo governo di coalizione con l’FPÖ. Nel 2006 i socialdemocratici ottennero un’attesa vittoria elettorale, battendo di margine i popolari. Nel gennaio del 2007 formarono con quest’ultimi un governo di coalizione presieduto dal cancelliere socialdemocratico Alfred Gusenbauer. In seguito al ritiro dalla coalizione dei popolari e alla conseguente caduta del governo, nel settembre del 2008 anno furono indette nuove elezioni anticipate, che registrarono un altro successo di margine dei socialdemocratici e il significativo incremento dei consensi dell’FPÖ, che, insieme all’Alleanza per il Futuro dell’Austria (BZÖ) – il partito fondato nel 2005 da Haider – divenne la seconda forza politica del paese. Due mesi dopo, col proposito di escludere la destra, socialdemocratici e popolari trovarono un accordo per formare un nuovo governo di coalizione sotto la guida di Werner Faymann.

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