fascismo

  1. Definizione del termine
  2. I presupposti sociali e politici del fascismo
  3. Elementi costitutivi del fascismo
  4. Il fascismo in Italia e in Germania
  5. Il fascismo in Europa
1. Definizione del termine

Il termine deriva dalla parola latina fasces (fasci), che nell’antica Roma indicava il simbolo del potere dei più alti magistrati (un fascio di verghe con una scure). In età moderna il termine “fascio” fu impiegato nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento in riferimento a movimenti socialisti o repubblicani di matrice extraparlamentare e rivoluzionaria. La parola “fascismo” è comunque entrata a far parte del lessico politico contemporaneo dopo che il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il movimento dei “fasci di combattimento”. Con essa, dunque, si indica il movimento di Mussolini e il regime che questi instaurò in Italia tra il 1922 e il 1943-45 (Italia, 7). La qualifica di “fascista”, peraltro, si applica anche a movimenti analoghi sorti in altri paesi. Nel periodo tra le due guerre mondiali tali movimenti – caratterizzati da una struttura autoritaria e gerarchica, da un acceso nazionalismo e da un’ideologia antidemocratica e antisocialista (e spesso antisemita) – mirarono all’instaurazione di regimi autoritari o totalitari (totalitarismo). Malgrado differenze spesso rilevanti tra i singoli casi nazionali, la maggioranza degli storici concorda circa l’esistenza di caratteristiche comuni, definite da una lunga e variegata tradizione di teorie del fascismo, marxiste e non.

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2. I presupposti sociali e politici del fascismo

In quasi tutti i paesi interessati, i movimenti fascisti sorsero in conseguenza della prima guerra mondiale, innestandosi su problemi strutturali preesistenti. I loro primi membri furono in gran parte esponenti di gruppi sociali particolarmente colpiti dai gravi problemi di inserimento economico e sociale in società profondamente trasformate dal conflitto, come i reduci e gli studenti; al disorientamento sociale si aggiunse il cemento ideologico fornito dalle tensioni nazionalistiche originate dalla sconfitta militare (Germania, Austria, Ungheria), o da una vittoria percepita come “mutilata” (Italia). Ma il fascismo trovò presto un più vasto seguito di massa in quegli strati che maggiormente subivano il peso dei grandi processi di trasformazione in atto dalla svolta del secolo nelle società industriali (o in via di industrializzazione), e rafforzati dalla crisi del primo dopoguerra: i ceti medi, la piccola e media borghesia urbana costituita sia da artigiani e commercianti ostili alle grandi concentrazioni capitalistiche, sia da impiegati che temevano la crescente proletarizzazione. Movimenti fascisti di rilievo si svilupparono anche in società ancora prevalentemente agrarie, dove ripresero, spesso esasperandoli, motivi nazionalistici e religiosi tipici del conservatorismo tradizionale, grazie ai quali poterono fare proseliti in strati in difficoltà economiche come piccoli e medi contadini e artigiani. La base di massa dei movimenti e partiti fascisti si ampliò ulteriormente dopo la crisi del 1929, i cui effetti ebbero un ruolo decisivo nel rafforzamento del fascismo in tutta l’Europa. Data la sua base sociale (peraltro molto diversificata da paese a paese) il fascismo, almeno nella sua fase iniziale, si dichiarò ostile sia al capitalismo che al socialismo. Ma sul piano della politica pratica questa duplice contrapposizione fu presto lasciata cadere: in situazioni diverse a seconda dei paesi, i movimenti fascisti stabilirono alleanze con le forze conservatrici, con i partiti di destra, con i militari e la chiesa, con gli industriali e gli agrari, sempre in funzione antisocialista, allo scopo di indebolire tanto il movimento operaio quanto la democrazia parlamentare. L’ascesa del fascismo va tuttavia considerata più un’espressione che una causa della crisi del parlamentarismo, una generale reazione ai processi di politicizzazione di massa prodottisi già prima o subito dopo il conflitto mondiale.

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3. Elementi costitutivi del fascismo

In tutti i movimenti e regimi fascisti si riscontrano tratti comuni, che rafforzano la tesi del fascismo come fenomeno internazionale ed epocale, originato da una comune cultura politica a sua volta espressione della crisi della democrazia in Europa tra il 1918 e il 1945. Tra essi: a) il principio del capo, che presuppone l’obbedienza incondizionata al capo carismatico da parte della massa dei seguaci, legata al primo da un rapporto diretto, senza mediazioni; b) l’operato, soprattutto nella prima fase “movimentista”, di reparti armati paramilitari (squadrismo); c) l’adozione di uno stile politico specifico, fondato su una nuova visibilità pubblica (uniformi, parate, bandiere, cerimonie, ecc.) che assunse spesso i tratti di una religione secolarizzata, e sull’uso della violenza nei confronti degli avversari politici e di minoranze di vario genere, al fine del loro indebolimento se non annientamento fisico; d) la dichiarata volontà di distruggere le istituzioni dello stato liberale-democratico per sostituirle con uno stato di tipo nuovo, basato sul controllo totale dell’apparato e della burocrazia statali da parte del partito unico (un obiettivo, questo, che non fu in realtà mai raggiunto in nessun caso, neppure dal nazismo in Germania); e) il proposito di porre fine alla lotta di classe e ai contrasti sociali in genere, tramite un nuovo ordinamento economico-sociale basato sull’armonia tra i produttori riuniti in corporazioni (corporativismo), che avrebbe costituito il superamento sia del capitalismo che del socialismo (in realtà i regimi fascisti mantennero come base dell’economia il sistema capitalistico fondato sull’iniziativa e sulla proprietà private, nonostante le tendenze all’interventismo e al dirigismo statale); f) la presenza, in proporzioni variabili nei diversi casi, di un’ideologia comune, composta di elementi ambivalenti e contraddittori: anticapitalisti e antisocialisti, modernisti e antimodernisti, nazionalisti e transnazionali. Questo dualismo ebbe a volte scopi di propaganda o di opportunità politica, ma in fondo costituì una tensione irrisolta dell’ideologia del fascismo. Di qui nasce anche il suo presunto carattere “rivoluzionario”, che lo portò a scontrarsi non solo con i governi democratici ma in alcuni casi anche con i regimi autoritari poggianti sulle forze conservatrici tradizionali. Elementi ideologici razzisti e/o antisemiti non si riscontrano invece in ogni fascismo nazionale, anche se furono pressoché generalizzati nell’Europa orientale, dove costituirono una delle componenti centrali dell’ideologia fascista.

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4. Il fascismo in Italia e in Germania

Solo in Italia e in Germania il fascismo attraversò, seppure con tempi e modi diversi, le varie fasi di passaggio da movimento a regime: a) lotta per il potere, con mezzi sia parlamentari che extraparlamentari; b) trasformazione istituzionale, tramite alleanze con altre forze politiche nell’ambito di un limitato pluralismo; c) consolidamento di un regime a partito unico fondato sulla mobilitazione di massa. In Italia il fascismo (che nel novembre 1921 divenne Partito Nazionale Fascista grazie alla fusione con i nazionalisti) giunse al potere disponendo di un consenso e di una base elettorale ridotti e impiegò poi diversi anni, dal 1922 al 1925, per porre le basi del regime. Tuttavia, il dualismo di potere con la monarchia nel campo costituzionale, la coesistenza tra gli apparati del partito e dello stato, e il compromesso con la chiesa cattolica nella gestione del consenso posero rilevanti limiti al progetto fascista di organizzazione totalitaria dello stato e della società. Ciò non significa, peraltro, che non si debba parlare di una rottura di continuità rispetto al vecchio stato liberale. Molto più efficace e profondo fu l’operato del nazionalsocialismo tedesco, che va considerato come la forma più estrema e radicale di fascismo.

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5. Il fascismo in Europa

Oltre ai due casi maggiori, la diffusa presenza in Europa, nei decenni tra le due guerre mondiali, di partiti e movimenti fascisti, nonché di regimi autoritari con tratti o tendenze fasciste, è un indizio significativo sia del generale clima politico-istituzionale e sociale dell’epoca, sia della forza di irradiazione dell’originario fascismo italiano, che funse da modello per la grande maggioranza degli altri casi, anche se negli anni Trenta fu in parte soppiantato dall’esempio tedesco. Tipico è il caso dell’Austria, dove agirono, e si scontrarono, il fascismo “normale” della Heimwehr, la “milizia patriottica” appoggiata da Mussolini, il fascismo “radicale” dei nazisti austriaci strettamente legati alla NSDAP tedesca, e il regime autoritario dei cancellieri Dollfuss e Schuschnigg, che mutuò alcuni tratti dal fascismo italiano e tedesco (tanto da far parlare di “austrofascismo”), si appoggiò alla Heimwehr ma fu combattuto dai nazisti. Anche in Ungheria il regime autoritario di Horthy, benché non fascista in senso stretto, fu sempre più permeato da correnti filofasciste. Un fascismo di massa si ebbe però solo con il Partito della Volontà Nazionale (Croci frecciate) fondato da Ferenc Szálasi nel 1935, che unì vari gruppi fascisti e in breve ottenne un vasto seguito interclassista, ma fu duramente osteggiato da Horthy. Una simile dinamica conflittuale tra fascismo e governo autoritario si riscontra in Polonia (specie dopo la morte di Pilsudski), Estonia, Lituania; e in Romania, dove nel 1927 Corneliu Codreanu fondò la Legione dell’Arcangelo Michele (Guardia di Ferro), un movimento fascista a forte connotazione religiosa, violentemente nazionalista e antisemita, che ebbe sanguinosi scontri prima con il re Carol II, poi con il generale Antonescu, insieme al quale fu al governo nel 1940-41. Lo stesso estremismo etnico-religioso si ritrova negli ustascia croati. In Francia il fascismo si intrecciò profondamente con le tradizioni reazionarie e antisemite del paese, ma senza consolidarsi come fattore politico autonomo. Malgrado la formazione, negli anni Venti e Trenta, di gruppi di destra fascisteggianti (con scarso seguito di massa), un fascismo francese si delineò nettamente solo con il regime collaborazionista del maresciallo Pétain, che, pur non essendo fascista in senso stretto, alimentò le tendenze più radicalmente filofasciste e filonaziste, facendo emergere personaggi come Jacques Doriot (fondatore nel 1936 del Parti Populaire Français) e Marcel Déat (fondatore nel 1941 del Rassemblement National Populaire). Anche in Spagna il fascismo (la Falange Española de las JONS [Juntas de Ofensiva Nacional-Sindicalista], nata nel 1934 dalla fusione di tre gruppuscoli rappresentanti nazionalsindacalismo, tradizionalismo cattolico e le idee di rinascita nazionale del fondatore José Antonio Primo de Rivera, ammiratore di Mussolini) non fu che una delle componenti di una complessa dinamica politica il cui sbocco autoritario, la guerra civile spagnola (1936-39), da un lato ne decretò il successo, ma dall’altro ne sancì la posizione subordinata all’esercito e alla chiesa. La proclamazione della Falange a partito unico a opera di Franco, nel 1937, avviò lo svuotamento delle sue tendenze più radicali, anche se il regime spagnolo conservò tratti tipicamente fascisti, come il partito unico, l’ordinamento corporativo, il controllo sociale, la violenza contro gli avversari politici. Tratti analoghi (compreso il ruolo secondario di un movimento fascista vero e proprio) si riscontrano in Portogallo, nel regime istituito da Salazar a partire dal 1932, più connotato in senso burocratico e tecnocratico. Movimenti e partiti fascisti si formarono inoltre in Inghilterra (1924 e 1932), Belgio (1931 e 1935), Olanda (1931) e Finlandia (1929); gruppi più piccoli anche in Svizzera, Danimarca, Svezia e Norvegia, dove la quasi insignificante Nasjonal Samling di Quisling, dichiarata nel settembre 1940 partito unico dagli occupanti nazisti, assurse a simbolo del collaborazionismo. L’invasione nazista portò al potere il fascismo anche in Ungheria, Croazia e Olanda. [Lorenzo Riberi]

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