dispotismo illuminato

La storiografia ottocentesca (per primo il tedesco Wilhelm Georg Friedrich Roscher nel 1847) formulò questa categoria con la denominazione di “assolutismo illuminato” per indicare l’attività di governo di alcuni sovrani europei che nel corso del XVIII secolo – e soprattutto nella seconda metà del secolo – si ispirarono o dichiararono di ispirarsi a una parte del pensiero illuminista per riformare, dall’alto e senza mediazioni, la vita dei loro stati. Dalla metà dell’Ottocento il concetto di dispotismo illuminato è entrato nella discussione storiografica acquistando grande rilevanza, in particolare in seguito a un’ampia indagine comparativistica coordinata dalla Commissione Internazionale delle Scienze Storiche negli anni Trenta. In senso stretto teorici di una forma consapevole ed esplicita di dispotismo illuminato furono gli esponenti della fisiocrazia. Convinti che il mondo fosse regolato dalle leggi oggettive della natura, che si devono conoscere e rispettare, i fisiocratici attribuirono ai sovrani il compito di avvicinare la legislazione positiva alle leggi naturali rivelate dalla ragione. Il sovrano deve quindi esercitare le proprie prerogative nella loro pienezza, senza tollerare separazioni di potere che indebolirebbero l’incisività di un’attività riformatrice tesa a promuovere il benessere dei membri della società nel suo complesso. Nell’opera L’ordine naturale ed essenziale delle società politiche (1767), il fisiocratico Le Mercier de La Rivière teorizzò la distinzione tra dispotismo arbitrario, basato sull’opinione e quindi negativo e riprovevole, e “dispotismo legale di un ordine essenziale”, che è la più ampia e compiuta forma di governo immaginabile. Analogamente Dupont de Nemours in Dell’origine e dei progressi di una nuova scienza (1768) rifiutò democrazia, aristocrazia e monarchia elettiva esaltando la monarchia ereditaria, l’unica forma di governo “semplice e naturale”, in cui il sovrano può essere despota nel senso positivo del termine. La Cina rappresentò per i fisiocratici il modello di stato retto secondo i princìpi del dispotismo legale. Nella cultura dell’Illuminismo le critiche al concetto di dispotismo legale furono decise e ne limitarono la fortuna e l’influenza. P.-H. d’Holbach, ad esempio, scrisse nel Sistema sociale (1773) che il dispotismo legale è una contraddizione in termini. Nessun sovrano illuminato europeo nel corso del Settecento si avvicinò al modello del “despota legale” cinese. Come fenomeno storico il dispotismo illuminato rappresentò il tentativo dei sovrani europei di modernizzare e razionalizzare l’apparato statale coinvolgendo il sostegno attivo di un’opinione pubblica favorevole all’Illuminismo. Comune alle politiche del dispotismo illuminato fu il tentativo di rafforzare lo stato nei confronti sia della chiesa cattolica sia dei poteri tradizionali dei ceti, concentrando l’autorità nelle mani del sovrano e dei suoi funzionari e commissari e aumentando la capacità di prelievo fiscale a favore dell’amministrazione statale. Le politiche dei sovrani illuminati differirono assai nello specifico, così come i loro rapporti con le idee e gli uomini dell’Illuminismo. Per Maria Teresa d’Asburgo le riforme giurisdizionaliste e amministrative furono disgiunte da un riferimento teorico al pensiero illuminista, rifiutato come miscredente. Federico II di Prussia rappresenta il caso opposto: intrattenne cordialissimi rapporti con i massimi philosophes, Voltaire e d’Alembert innanzitutto, scrisse egli stesso di philosophie, riformò con successo l’esercito e l’apparato fiscale, esibì tolleranza religiosa e spirito laico, ma non toccò il problema delicato della servitù contadina, favorì la nobiltà a danno degli altri strati sociali e irrigidì la struttura di governo. Caterina II di Russia ebbe a lungo l’appoggio degli illuministi europei più prestigiosi e li sostenne. Convocò una commissione che rappresentava l’impero per elaborare un nuovo codice: il Nakaz (Istruzione, 1767), che conteneva le proposte di riforma, si presentava come una sintesi delle idee politiche illuministe. Caterina II non diede concretezza ai suoi propositi e anzi le condizioni dei servi della gleba peggiorarono sotto il suo regno. Un altro sovrano illuminato, l’imperatore Giuseppe II d’Asburgo, finì per vedere il suo “grande progetto” di riforma radicale sconfitto dalle resistenze degli organi cetuali e della nobiltà: in particolare l’emancipazione dei servi della gleba, l’equiparazione di tutte le terre di fronte al fisco, l’abolizione delle decime ecclesiastiche e della corvée contadina provocarono accanite resistenze. Per ragioni diverse quindi il dispotismo illuminato ebbe esiti in generale difformi rispetto alle idee originarie e alle speranze che l’avevano accompagnato. Nei piccoli stati europei gli esperimenti di dispotismo illuminato raggiunsero risultati migliori. Nel Granducato di Toscana Pietro Leopoldo introdusse riforme graduali nel senso del liberalismo, della promozione dell’agricoltura, del miglioramento delle condizioni dei contadini, dell’umanizzazione della giustizia, fino a un progetto di costituzione elaborato tra 1779 e 1782, che, se adottato, avrebbe dato alla Toscana una rappresentanza di tipo parlamentare. Breve ma significativo fu il tentativo di dispotismo illuminato realizzato in Danimarca sotto il ministro J.F. von Struensee tra 1770 e 1772. In Portogallo il ministro S.J. Pombal avviò nel 1750 una stagione di riforme che coinvolsero tutti gli aspetti della vita del paese, e in particolare la politica culturale ed ecclesiastica, segnata dalla cacciata dei gesuiti nel 1759. La Germania vide nel Baden l’esperimento più innovativo di applicazione delle teorie economiche fisiocratiche con il tentativo da parte del margravio Carlo Federico d’introdurre l’imposta unica nel 1770. In generale gli stati di piccole dimensioni, ai margini della grande politica internazionale, risultarono più adatti alle riforme del dispotismo illuminato e più in grado di assorbire il loro impatto. [Edoardo Tortarolo]