barbari

“Barbare” per i greci, così come in seguito per i romani, erano quelle genti che non condividevano la loro lingua e i loro costumi. Con l’espressione “invasioni” o “calate barbariche” – espressione ancora in uso nella storiografia più tradizionale – si intendono i tumultuosi spostamenti che, a partire dalla fine dell’evo antico, volsero consistenti nuclei di tribù, nomadi o seminomadi, situate a nord del limes danubiano, verso le prospere popolazioni sedentarie gravitanti sul Mediterraneo e politicamente organizzate dall’impero romano.

  1. Le popolazioni barbariche
  2. Le migrazioni
  3. I regni latino-germanici
1. Le popolazioni barbariche

Vi sono età contraddistinte da ampi movimenti migratori di popoli in tumultuosa ricerca di nuove e più confortevoli sedi. Tali periodi sono generalmente considerati momenti di transitorio disordine tra fasi relativamente stabili, nei quali le genti barbariche – “straniere” nella coscienza dei popoli sedentari – si configurano come impulso decisivo, e al contempo positivo, verso grandi mutamenti. Durante i secoli II-VI d.C., sotto l’incalzare di altri gruppi tribali, i germani, alternando scorrerie momentanee a reali ondate migratorie, raggiunsero i confini dell’impero romano all’altezza delle frontiere renane e danubiane, dove furono momentaneamente contenuti dalle strutture difensive dell’antico limes. In base a un criterio puramente geografico si è usi, nella ricerca storiografica più tradizionale, suddividerli in germani orientali (goti, burgundi, vandali e rugi) e in germani occidentali (franchi, bavari, alamanni nonché angli e sassoni). Vero è che sin dai secoli I-IV d.C. altre popolazioni nomadi non indoeuropee – unni e avari originari delle steppe inospitali comprese tra i Carpazi e l’Amur – erano a loro volta migrate verso Occidente così da unirsi ai germani orientali o anche da sottometterli. Sovrappostesi le une alle altre – e costituendo talvolta vere dominazioni territoriali rese instabili da combattimenti continui e da confini incerti e fluttuanti – queste genti nel corso del tempo modificarono gli equilibri politici, economici e sociali del civile e prospero mondo mediterraneo erede dell’età classica. L’inarrestabile movimento di tali popolazioni e in particolare la Völkerwanderung dei germani – la grande ondata migratoria che scosse allora l’Europa – produssero esiti di vaste proporzioni. In primo luogo contribuirono a disgregare l’impero romano d’Occidente, alterandone strutture etniche e linguistiche. Si trattò quasi di un’anticipazione dei successivi spostamenti degli slavi, così come delle incursioni dei popoli scandinavi dal nord durante i secoli VIII-X, i vichinghi, nonché dell’irruzione degli arabi nel Mediterraneo. La penetrazione di tali genti fu favorita dalla debolezza politica ed economica dell’impero romano dilaniato, specie nel secolo III d.C., da una profonda crisi sociale, militare e dinastica. I romani cercarono di opporsi agli invasori – sospinti ora da semplici intenti di razzia, ora da autentici propositi di conquista – con ogni mezzo e con alterne fortune, soprattutto cercando di contenerne il flusso migratorio tramite il loro inserimento negli ordinamenti dell’impero. I germani furono così accolti sia nell’esercito – arruolati in qualità di mercenari o come “federati” – sia nelle campagne con la concessione di terre attribuite loro appunto in diverse forme e a vario titolo. Il fenomeno della barbarizzazione dell’esercito imperiale, largamente diffusosi in Occidente, contribuì così a modificare le strutture militari, e in parte anche quelle civili, di un mondo antico che nei secoli IV e V appariva ormai più prossimo all’età altomedioevale che a quella classica.

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2. Le migrazioni

Gli unni, bellicoso popolo di cavalieri nomadi stanziatisi lungo il Danubio e nella Russia meridionale, dopo aver sottomesso alcune popolazioni di stirpe germanica e forse slava, fondarono tra i secoli IV e V un vasto ma effimero impero modellato con ogni verosimiglianza su quello sasanide. Di conseguenza parte dei germani fu costretta a migrare verso il territorio imperiale. Sotto la guida di Attila (395-453 circa) gli unni devastarono gran parte dell’Europa sino a imporre la propria supremazia su ostrogoti, gepidi, rugi, eruli, sciri. Solo la morte del re pose fine al dominio unno su tali genti, che si dimostrarono allora pronte e determinate nel ricuperare la propria autonomia. I visigoti, spostatisi sulla riva destra del Danubio per sfuggire alla minaccia degli unni, inizialmente cercarono e ottennero dall’impero un’alleanza che tuttavia non era destinata a durare nel tempo. Essi riuscirono inizialmente a sconfiggere nel 378 ad Adrianopoli l’imperatore Valente, ma dovettero poi subire la violenta reazione dei senatori di Costantinopoli sicché, cacciati dall’Oriente, dilagarono in Illiria penetrando in seguito in Italia. Qui guidati da Alarico I (360-410 circa), saccheggiarono Roma: episodio poco significativo sul piano politico, dato che la capitale era stata trasferita a Ravenna, ma di alto valore simbolico. Quasi contemporaneamente vandali, suebi e alani, oltrepassato il Reno e invasa la Gallia nel 409, in qualità di federati e alleati di Roma si stanziarono nella penisola iberica, dove i visigoti circa un decennio dopo, impadronitisi dell’Alvernia e della Provenza, fondarono il primo regno latino-germanico dell’Occidente romano. A loro volta i vandali, guidati da Genserico (390-477 circa) si trasferirono dalla Spagna in Mauritania e in Numidia da dove nel 455 e nel 472 saccheggiarono nuovamente Roma, benché fin dal 435 avessero ufficialmente ottenuto il riconoscimento della propria sovranità sull’Africa settentrionale da parte di Valentiniano III, imperatore d’Occidente. I burgundi infine tra il 457 e il 458 diedero origine lungo la Saona a un terzo regno federato a quell’impero che, privato del sostegno dei sovrani romani orientali, fu anche costretto proprio allora a fronteggiare nei territori della Loira e della Somme movimenti separatistici guidati da alcuni generali gallo-romani. Vero è che in Gallia si trovavano anche i franchi, da tempo insediatisi nella zona renana. Questi, già fedeli alleati dell’impero, distrutto nel 486 il regno gallo-romano di Siagrio, diedero vita anch’essi a una nuova dominazione germanica. In Italia un gruppo di eruli, di rugi e di sciri si impadronì del potere sotto la guida di Odoacre (433-93 circa) che, eliminati Oreste e Romolo Augustolo (ultimo imperatore romano d’Occidente deposto nel 476), non esitò a inviare all’imperatore d’Oriente Zenone le insegne regie ricostituendo così – seppur solo formalmente – la tradizionale unità imperiale. Odoacre resse l’Italia per circa un ventennio sino a che il re degli ostrogoti Teodorico (455-526 circa), inviato in Occidente dallo stesso Zenone, riuscì a sua volta a sottomettere la penisola. Soprattutto dopo Teodosio I (379-95) anche l’impero romano d’Oriente subì gli attacchi degli unni e dei germani, ma grazie alle sue fortificazioni, ai tributi pagati alle genti barbare, alle terre concesse loro in base al diritto di hospitalitas, affrontandoli direttamente in campo aperto, era riuscito a contenere gli invasori così da dirottarli, seppure senza un piano predeterminato, verso la parte occidentale. Nel secolo VI, erano dunque quattro nella pars Occidentis i regni barbarici, ciascuno con strutture proprie e peculiari capacità politiche: in Gallia, dove i franchi avevano sottomesso i burgundi; in Spagna, dove prosperavano i visigoti; in Italia, dove maturava la straordinaria esperienza del regno ostrogoto teodoriciano; infine sulle coste meridionali del Mediterraneo, dove i vandali contendevano ai berberi l’egemonia sull’antica Africa proconsolare. In altre aree i barbari, pur avendo occupato territori anche consistenti, non furono in grado di costituire una vera compagine statale. A queste prime grandi ondate migratorie altre ne seguirono tra i secoli VI e VIII, destinate tutte a mutare l’instabile panorama europeo. Furono fondamentali quelle degli avari e dei longobardi. Quest’ultima, soprattutto, fu decisiva per l’evoluzione della penisola italica che da poco, grazie all’imperatore Giustiniano, era stata ricondotta nell’alveo del dominio bizantino.

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3. I regni latino-germanici

Malgrado tutto, le migrazioni germaniche nei territori dell’impero di Roma mutarono la situazione politico-sociale dell’Occidente meno di quanto comunemente affermato. In effetti è piuttosto nella storia del secolo III d.C. che occorre ricercare cause e origini di quei successivi sviluppi. Le ragioni del declino dell’impero devono sì essere attribuite a fenomeni esterni quali le invasioni barbariche ma ancor più esse vanno individuate in una molteplicità di fattori interni: declino delle città, affievolirsi dei commerci, sfaldamento e corruzione delle istituzioni, scarsa vitalità demografica. Sicché fu relativamente facile per le genti barbare, pur minoritarie rispetto alle popolazioni dell’impero, insediarsi nella parte occidentale della Romània – economicamente più fragile e distante dalla nuova capitale imperiale, Costantinopoli – e organizzarsi in compagini statali autonome e funzionanti. I regni latino-germanici nacquero dalla simbiosi tra la romanità cristiano-cattolica e le forze militari germaniche cristiano-ariane. Un caso di particolare interesse è rappresentato dall’Italia dove Odoacre resse la penisola formalmente a nome dell’impero ma di fatto in modo autonomo. Al pari di quei re che altrove reggevano le genti barbare federate all’impero, egli fu un rex gentium, e non un rex Italiae; fu cioè capo delle eterogenee milizie germaniche e, in qualità di patricius, signore di un governo che non mirava certo a sovvertire la struttura sociale e politico-amministrativa della penisola. Quando poi con l’approvazione imperiale, e insignito dalla dignità romana di magister militum, Teodorico giunse in Italia, non diversamente dallo sconfitto Odoacre, fu acclamato re dalle sue genti, ma il riconoscimento della dignità regia venne concepito a Bisanzio come una sorta di delega dei poteri imperiali corrispondente alla prefettura del pretorio d’Italia. Il regno di Teodorico, lungi dal rappresentare una sovversione del tradizionale assetto antico, si propose piuttosto come un suo prolungamento; un regno cioè in cui aristocrazia di ascendenza romana ed episcopato cattolico convivevano con le milizie germaniche ariane sotto l’eminente guida di quel re che, nella propria capitale ravennate, più di ogni altro barbaro si mostrò incline a ricercare la cooperazione di quel ceto senatorio i cui esponenti di prestigio sembravano gli uomini meglio adatti per ricostituire un funzionante ordinamento statale. Il dominio degli ostrogoti poté così distinguersi dai regni dei franchi e più ancora da quello dei vandali o dei burgundi dove la signoria territoriale germanica, costituzionalmente informe, appariva soprattutto contraddistinta da un elementare dinamismo, oltre che dal naturale desiderio di rinsaldare la propria sopravvivenza. L’insediamento dei germani nel territorio imperiale avvenne dunque in tempi e secondo modalità diverse da regione a regione, pur se occorre rilevarne alcuni elementi comuni. Gran parte di questi popoli – che già da tempo avevano intrattenuto regolari contatti con la romanità, in specie con quella occidentale – sotto l’influenza dei goti cristianizzati da Ulfila (311-383 circa), a cui si deve il primo alfabeto gotico, si erano convertiti all’arianesimo, ciascuno con una propria chiesa nazionale, fortemente caratterizzata in senso etnico e dottrinale, e con una elementare organizzazione ecclesiastica. Solo i franchi, unitamente ad alcune genti a loro sottomesse, optarono per il cattolicesimo. Se era pur vero che la legge imperiale in genere vietava i matrimoni tra romani e barbari, e se la Chiesa impediva inoltre quelli tra eretici e ortodossi, nondimeno la convivenza etnica, a seconda delle regioni, conobbe tutte le sfumature possibili, dalla separazione alla fusione. Analogamente le forme politiche non furono meno varie poiché là dove preesisteva il foedus si cercò di instaurare una dualità amministrativo-istituzionale che permettesse a barbari e romani di convivere pacificamente sebbene sottoposti a gerarchie differenti. Altrove, come nel caso dei vandali, si ebbe invece una sorta di governo dispotico dei vincitori sull’antico ceto romano senatorio, ciò che in prospettiva contribuì a minare la solidità del regno. Se in conseguenza delle epidemie e delle guerre e soprattutto della crisi che investì le aristocrazie classiche, le città – malgrado il rispetto loro mostrato dai conquistatori – cominciarono a declinare, la situazione delle campagne conobbe un relativo miglioramento. Le genti barbare infatti, divenute sedentarie e spinte dalla necessità di reperire viveri e vettovaglie, almeno in un primo momento rivitalizzarono e svilupparono gli insediamenti rurali. Al declino dell’urbanesimo non fece tuttavia riscontro un’immediata decadenza culturale: i barbari non distrussero monumenti e opere d’arte, se non per caso o per necessità. In alcuni casi anzi, come avvenne per Teodorico a Ravenna, si preoccuparono di ripristinarle e al contempo si impegnarono a favorire le attività intellettuali. Fu la Chiesa l’artefice di una sia pur lenta opera di acculturamento degli elementi germanici; in effetti i vescovi sin dall’inizio delle migrazioni, mentre l’autorità e i funzionari romani venivano progressivamente meno, rimasero al loro posto assicurando la continuità con il passato. Una potenza dunque, quella ecclesiastica, non solo spirituale ma anche temporale, esercitata da uomini d’estrazione senatoria che nella carriera episcopale videro un positivo sostituto di quella civile in via di rapida dissoluzione. Nei regni latino-germanici scuole e centri di cultura sopravvissero ancora per un certo tempo, conservando della cultura classica tradizione filosofica e linguaggio elegante, come mostrano con chiarezza l’esempio di Boezio (480-524 circa) o di Cassiodoro (485-580 circa). Solo agli albori del secolo VII, malgrado la presenza di dotti come Gregorio di Tours (538-594 circa) o di Isidoro di Siviglia (562-636 circa) – autore di una Storia dei Goti, degli Svevi, dei Vandali – si accentuò il processo di decadimento della tradizione intellettuale. Anche i regni latino-germanici entrarono in crisi tra il secolo VII e l’VIII, una crisi segnata sia dalla riconquista bizantina voluta dall’imperatore Giustiniano sia dalle conquiste degli arabi attivi tra il 711 e il 768. [Walter Haberstumpf]

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