Tanzania

Stato attuale dell’Africa centro-orientale. Fanno parte della Tanzania anche un certo numero di isole, fra le quali assunsero notevole rilievo Zanzibar e Pemba. In epoca precoloniale la storia della zona interna, quella dell’area costiera e delle isole principali ebbe un corso differente e conobbe fasi di sviluppo diverse. L’interno fu popolato inizialmente dai boscimani cui si sovrapposero, intorno all’XI secolo, gruppi di camiti e di niloti che si stanziarono nella zona settentrionale e influenzarono notevolmente le strutture organizzative dei popoli bantu con cui entrarono in contatto. Questi ultimi, dediti all’agricoltura e all’allevamento, giunsero nel paese a partire dal XV-XVI secolo: non crearono vere e proprie organizzazioni statali, ma espressero la massima forma di raggruppamento politico-territoriale attraverso i clan, per lo più legati da vincoli parentali. Il gruppo bantu più consistente e organizzato fu quello dei nyamwezi, stabilitisi nella Tanzania occidentale, che diedero vita a un gran numero di signorie locali e si dedicarono, oltre alle tradizionali attività agricole, al commercio nella regione compresa fra i laghi Vittoria, Rukwa e Tanganica. La zona costiera, popolata da gruppi zendj affini a quelli del Kenya, ebbe fin dall’età medievale rapporti con i paesi asiatici che si affacciano sull’Oceano Indiano e soprattutto con gli arabi, che vi installarono scali commerciali (divenuti presto nuclei urbani) attratti dalla possibilità di ottenere avorio e schiavi dal continente nero. Le isole di Pemba e quella di Zanzibar conobbero i primi stanziamenti arabi a partire dal 730 e divennero il centro di irraggiamento di questa civiltà lungo le coste dell’Africa orientale fino all’attuale Mozambico. Dal contatto fra arabi e bantu ebbe origine la cultura swahili, che risentì anche di influenze persiane e indiane. Il primo a imporsi fu il regno di Kilwa, costituitosi verso il XIII secolo, che assunse grande importanza sotto la dinastia Mahdali soprattutto grazie al commercio dell’oro con l’entroterra (la zona dell’attuale Zimbabwe). Nel XV secolo, con l’arrivo dei portoghesi, iniziò una fase di declino che terminò quando questi ultimi furono cacciati dagli arabi. I sultani di Mascate e Oman infatti, sostituitisi dalla fine del XVII secolo ai portoghesi (che si erano comunque limitati a controllare, tra molte difficoltà, la zona costiera), diedero grande impulso allo sviluppo delle isole di Pemba e soprattutto di Zanzibar, che nel 1840 Seyyid Said scelse come sede della propria capitale, oltre che delle città costiere, fra le quali assunsero particolare importanza Mombasa e Kilwa. Dalla costa i mercanti arabi raggiunsero l’entroterra e istituirono insediamenti in punti chiave del paese dei nyamwezi. Nel corso del XIX secolo, a seguito della crescente domanda di avorio e schiavi, Zanzibar divenne il principale porto dell’Africa orientale. Da qui partirono anche gli esploratori inglesi che si addentrarono nell’interno del continente nero, verso la regione dei Grandi Laghi, alla ricerca delle sorgenti del Nilo. Fra il 1857 e il 1871 John H. Speke, Richard Burton, David Livingstone, Henry M. Stanley raggiunsero l’entroterra del paese, nello stesso periodo in cui gli nguni, spinti dagli zulu, si insediavano nella parte sudoccidentale della Tanzania, intorno al lago Niassa, divenendo le aristocrazie dominanti di quella regione. In epoca coloniale i tedeschi assunsero il controllo della zona continentale del paese attraverso trattati istituiti nel 1884-85 con i capi indigeni del Tanga e la creazione, nello stesso 1885, della Deutsch-Ostafrikanische Gesellschaft. Qui avviarono poi la costruzione di importanti infrastrutture. Nel 1890 essi ottennero dal sultano di Zanzibar il controllo della zona costiera. Sulle isole fu posto invece il protettorato britannico. L’accordo del novembre 1886 fra la Deutsch-Ostafrikanische Gesellschaft e la British East Afrika Company aveva infatti già stabilito le rispettive zone di influenza, riconoscendo ai tedeschi l’attuale Tanzania (eccetto le isole) e agli inglesi il Kenya. Nel 1891 fu instaurato il protettorato sull’Africa orientale tedesca. Il paese insorse più volte contro la nuova dominazione straniera (dalla rivolta degli swahili nel 1889-90 alla rivolta dei maji-maji nel 1903-1905), ma ogni tentativo di ribellione fu stroncato nel sangue. Dopo la prima guerra mondiale, nonostante la resistenza delle truppe del generale Paul von Lettow-Vorbeck fino al 1918, la Germania perse il controllo di tutta l’area africana. Nel 1920 la Società delle Nazioni diede quindi alla Gran Bretagna il mandato sulla regione, che prese allora il nome di Tanganica. Fino al dicembre 1946, quando fu posto sotto la tutela delle Nazioni Unite, il Tanganica rimase affidato alla Gran Bretagna. Nel frattempo, sotto l’impulso di un forte nazionalismo, si svilupparono le strutture necessarie a sostenere la piena indipendenza. Nell’ambito dell’Associazione africana del Tanganica (TAA), creata dagli inglesi, si formò un’élite africana colta che avrebbe in seguito guidato le sorti del paese. Al suo interno si distinse presto la figura di Julius Nyerere che, dopo aver assunto nel 1953 la presidenza della TAA, la trasformò radicalmente creando, nel settembre 1954, l’Unione nazionale africana del Tanganica (TANU), uno dei pochi partiti di massa organizzati in modo efficiente e presenti su tutto il territorio. Grazie all’azione della TANU e del suo leader Nyerere, il Tanganica divenne tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta un modello positivo nell’ambito del processo di decolonizzazione. Nyerere in politica estera fu tra i principali esponenti del panafricanismo e all’interno si sforzò soprattutto di superare la struttura tribale in cui era ancora divisa la popolazione. Si adoperò anche per la formazione di un governo della maggioranza africana, ma aperto al contributo di tutte le forze disposte a collaborarvi. Le elezioni del 1958 furono emblematiche: tutti i seggi furono conquistati da esponenti neri della TANU o dai non africani che ne condividevano l’orientamento. Da quella data si stabilì anche un rapporto di collaborazione fra Nyerere e il nuovo governatore inglese Richard Turnbull, che consentì al paese di uscire in tempi brevi e senza traumi dal periodo coloniale. La piena indipendenza fu conseguita il 9 dicembre 1961 e un anno dopo fu proclamata la repubblica (con a capo lo stesso Nyerere) nell’ambito del Commonwealth britannico. Nel 1964 fu creata la repubblica federale di Tanzania formata dall’unione di Tanganica e Zanzibar (dove il processo di decolonizzazione fu più lento e drammatico, essendo stata concessa l’indipendenza soltanto nel dicembre 1963, seguita da una rivoluzione di ispirazione comunista). Nyerere divenne allora presidente della repubblica e il paese si avviò verso la costruzione di un modello di socialismo africano (teorizzato nella dichiarazione di Arusha del gennaio 1967). Alla nazionalizzazione dei settori del commercio e dell’industria seguì la collettivizzazione della terra. In politica estera la Tanzania, pur senza rinunciare ai rapporti di amicizia con i paesi occidentali, si orientò verso una collaborazione più stretta con l’area socialista e, nell’Africa meridionale, divenne un punto di riferimento per i movimenti di liberazione. Dalla metà degli anni Settanta tuttavia la situazione peggiorò rapidamente sia in campo economico sia sul piano politico. Nel 1977 fu instaurato un regime monopartitico guidato da Nyerere e fondato sul Partito della rivoluzione, sorto allora dall’unificazione della TANU e del partito unico di Zanzibar. L’esperimento socialista rivelò presto i suoi limiti e le difficoltà economiche furono aggravate dalla crisi petrolifera e dai costi dell’intervento militare in Uganda contro il regime di Amin Dada. Sull’orlo del collasso la Tanzania fu costretta a chiedere aiuti finanziari all’Occidente e a rivedere il modello del socialismo africano. Nel 1985 Nyerere abbandonò la presidenza dello stato (rimanendo tuttavia alla guida del partito) e fu sostituito da Alì Hassan Mwinyi. Questi introdusse una parziale liberalizzazione nel sistema economico, avviando nel contempo una riorganizzazione amministrativa e una politica di buoni rapporti con la Gran Bretagna. Nel 1990 la capitale fu trasferita da Dar es Salaam a Dodoma. Nel 1992 – anno a partire dal quale un movimento secessionista islamico prese ad agire a Zanzibar, al fine di ottenerne l’indipendenza – fu introdotto un sistema politico pluripartitico, ma le elezioni del 1995 e del 2000 mantennero al potere il Partito della rivoluzione: nel 1995 Mwinyi lasciò la presidenza al compagno di partito Benjamin Mkapa, che proseguì sulla via delle riforme economiche avviate da Mwinyi. Un enorme afflusso di profughi provenienti dal Burundi e dal Ruanda nel 1994-95 indusse il governo a chiudere le frontiere con il Burundi e a richiedere l’intervento internazionale. Nel 1998 l’ambasciata americana a Dar es Salaam fu oggetto di un attacco terroristico da parte di al-Qaida. Nonostante le crescenti tensioni e il rafforzamento delle organizzazioni militanti islamiche, Mkapa fu rieletto nel 2000. Nel 2005 il Partito della rivoluzione si riconfermò a larga maggioranza alla guida del paese e l’ex ministro degli esteri Jakaya Mrisho Kikwete fu eletto presidente. Fu riconfermato nelle successive elezioni presidenziali del 2010. In vista del rilancio economico della regione, nel 2005 e nel 2009 la Tanzania sottoscrisse importanti accordi commerciali con gli stati confinanti.