Svezia

Stato attuale dell’Europa settentrionale.

  1. Dalle origini al regno di Gustavo Vasa
  2. L’ascesa e il ridimensionamento della potenza svedese (XVI-XVII secolo)
  3. Dall’assolutismo illuminato al Novecento
  4. La Svezia contemporanea
1. Dalle origini al regno di Gustavo Vasa

Abitata sin dal mesolitico, la Svezia rimase a lungo isolata rispetto alle grandi civiltà occidentali per le caratteristiche della sua collocazione geografica e del suo territorio. Le prime notizie sulla sua popolazione risalgono a Tacito, che parla di gauti (in svedese gotar) stanziati nel Goetaland, la regione più meridionale, e di suiones (in svedese svear) nello Svealand (intorno all’attuale Stoccolma). I lapponi invece, giunti fra il V e il II millennio a.C. dall’est e insediati nell’estremo nord del paese, rimasero ancora ai margini delle vicende dell’occidente. Nel corso del I millennio d.C. gli svear estesero progressivamente la loro egemonia su tutta la Svezia centro-meridionale: Uppsala divenne allora il principale centro politico-religioso e Birka il più importante mercato in territorio svedese. Fra l’VIII e il IX secolo d.C. la Svezia, come tutta l’area scandinava, fu teatro di un grande moto di espansione che ebbe carattere prevalentemente commerciale: molti mercanti e avventurieri, detti varingi o vareghi si spinsero allora verso il Baltico orientale. Penetrarono poi in territorio russo (dove fondarono i principati di Novgorod e di Kiev) e vennero in contatto, a partire dall’800, con Bisanzio. Dalla metà dell’XI secolo, dopo la morte del sovrano danese Canuto II il Grande e la fine del suo progetto di egemonia sui paesi nordici, la monarchia svedese iniziò a consolidarsi all’interno e a espandersi all’esterno. Nello stesso periodo si affermò il cristianesimo, già introdotto nella prima metà del IX secolo, rafforzato dalla conversione del re Olaf (1000-1024) e definitivamente consolidato sotto il regno di Erik IX il Santo (1150-60). Questi impose la nuova religione anche in Finlandia, che da allora fu oggetto delle mire di conquista della monarchia svedese fino al suo completo assoggettamento, avvenuto un secolo dopo per opera di Birger Jarl e definitivamente confermato nel 1323 con la pace di Pähkinäsåri. Nel 1319 anche la Norvegia, estintasi la casa regnante degli Inglingi, passò sotto il controllo della monarchia svedese. A fronte di questo notevole consolidamento territoriale, durante la seconda metà del XIII e per tutto il XIV secolo si registrò tuttavia un forte ridimensionamento del reale potere della Corona, dovuto alle rivendicazioni della nobiltà e del clero e allo sviluppo della classe borghese: ne furono espressione la progressiva affermazione del Riksrad, una sorta di consiglio della Corona, e della figura dello jarl, che da comandante della flotta assunse di fatto la funzione di capo del governo. La lunga lotta fra la monarchia e l’aristocrazia si concluse con la deposizione di Alberto di Meclemburgo e con l’ascesa al trono svedese di Margherita I (1389), già regina di Danimarca e Norvegia. Nel 1397 la Svezia entrò quindi nell’Unione di Kalmar, che per volontà della regina comportava l’unione sotto un unico sovrano dei tre grandi regni scandinavi (Danimarca, Svezia e Norvegia). L’unificazione del nord così realizzata ebbe però vita breve, per le pretese egemoniche della Danimarca nell’ambito dell’Unione e per le reazioni che essa suscitò soprattutto da parte della borghesia svedese. Il XV secolo fu quindi costellato da numerose rivolte antidanesi accomunate dall’obiettivo di ottenere l’uscita della Svezia dall’Unione (la più rilevante provocò la temporanea cacciata del sovrano Erik XIII di Pomerania, nel 1439). La lotta per quella che ormai si profilava come una vera e propria indipendenza nazionale culminò nel 1520-23, quando la sanguinosa repressione condotta da Cristiano II di Danimarca a Stoccolma (1520) provocò la sollevazione decisiva che, sotto la guida di Gustavo Vasa, si concluse con la conquista di Stoccolma e l’elezione dello stesso Gustavo a re di Svezia (1523). Iniziava così il lungo regno dei Vasa, con i quali il paese raggiunse il massimo sviluppo divenendo, fra il XVI e il XVII secolo, la principale potenza del nord.

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2. L’ascesa e il ridimensionamento della potenza svedese (XVI-XVII secolo)

Con Gustavo Vasa, salito al trono con il nome di Gustavo I (1523-60) e rivelatosi uno dei maggiori sovrani della storia svedese, iniziò un processo di rafforzamento del potere monarchico che proseguì per tutto il XVI e il XVII secolo. Fu particolarmente importante, in questo quadro, la proclamazione del luteranesimo come religione di stato, che consentì la confisca dei beni ecclesiastici a vantaggio della corona e il drastico ridimensionamento dell’importanza politica del clero. A ciò si aggiunse il ridimensionamento del patrimonio dell’aristocrazia (già notevolmente indebolita dalla lotta contro i danesi) e il riconoscimento dell’ereditarietà della corona per linea maschile, con diritto di primogenitura. Una riprova del consolidamento interno del paese fu, poco dopo la metà del XVI secolo, l’inserimento della Svezia nella lotta per il predominio sul Baltico. Nel 1558 la Svezia entrò nella guerra di Livonia, occupando l’Estonia (1559). Erik XIV (1560-68) e Giovanni III (1568-92) proseguirono l’opera di rafforzamento delle strutture centrali e continuarono il moto di espansione verso est, concretizzatosi nel riconoscimento della sovranità svedese sull’Estonia, sull’importante città portuale di Narva, sull’Ingria e sulla Carelia (1582). Falliti, per l’opposizione interna, due tentativi di restaurazione del cattolicesimo attuati da Giovanni III e dal figlio Sigismondo III, la corona passò a Carlo IX (1604-1611), che ricompattò intorno alla monarchia e al luteranesimo le forze nazionali e riprese le ostilità con la Russia, la Polonia e la Danimarca. Gli anni di regno di Gustavo II Adolfo (1611-32) e poi della figlia Cristina (1632-54) rivelarono allora non solo l’assoluta preminenza assunta dalla Svezia nel nord Europa, ma anche le sue ambizioni a livello continentale. Fondamento di tali ambizioni erano un esercito animato da forte spirito nazionale in cui spiccavano l’artiglieria e la cavalleria, una notevole disponibilità di materie prime, un’efficiente burocrazia e la presenza di uno statista di primo piano come Oxenstierna. Conclusi quindi i conflitti con la Danimarca (1613) e con la Russia (1617), Gustavo Adolfo ottenne il riconoscimento della sovranità svedese su Finlandia, Carelia, Ingria ed Estonia. Con la pace di Altmark (1629) sottrasse infine alla Polonia la Livonia e parte della Prussia. Il successivo intervento nella guerra dei Trent’anni (la cosiddetta “fase svedese”) con le grandi vittorie di Lipsia e Breitenfeld (1631) e poi di Luetzen (1632), consentì alla Svezia di ottenere, con i trattati di Vestfalia (1648), la Pomerania occidentale, parte del Meclemburgo, i vescovati secolarizzati di Brema e Verden e un’importante presenza nella Dieta imperiale. Intorno alla metà del XVII secolo, dopo l’uscita di minorità della regina Cristina (1644), si iniziò a registrare un orientamento verso l’assolutismo monarchico, che divenne ancora più evidente nella seconda metà del secolo. Durante il regno di Carlo X (1654-60) furono imposti nuovi gravami fiscali alla grande nobiltà, che fu inoltre costretta a restituire almeno in parte le terre demaniali di cui si era impadronita durante la minorità della regina. In quegli stessi anni (1655-60) la Svezia si oppose, nella prima guerra del Nord, alla Polonia (sul cui trono regnava il ramo polacco dei Vasa), ottenendo così la Livonia e ponendo fine alle pretese polacche sul trono svedese (pace di Oliva, 1660). Sempre nel 1660 la pace di Copenaghen concluse temporaneamente la lotta contro la Danimarca (iniziata nel 1657), riconoscendo alla Svezia il possesso della Scania. Con il lungo regno di Carlo XI (1660-97) trionfò infine l’assolutismo monarchico, di cui è documento esemplare la Dichiarazione di sovranità del 1693. Fu allora ulteriormente ridotto il potere politico della grande nobiltà, furono riorganizzate le finanze e potenziati l’esercito e la flotta. Con queste premesse la Svezia riprese, durante il regno di Carlo XII (1697-1718), i suoi disegni egemonici sull’Europa settentrionale, impegnandosi nella seconda guerra del Nord (1700-21). In un primo tempo gli eserciti svedesi rivelarono la loro netta superiorità rispetto alle forze messe in campo dalla coalizione composta da Danimarca, Polonia e Russia, inducendo immediatamente la Danimarca a ritirarsi dalla lotta (1700) e riuscendo a porre Stanislao Leszczynski sul trono polacco (1704). Nei confronti della Russia tuttavia, dopo alcuni successi iniziali (battaglia di Narva, 1700), il sovrano svedese compì un grave errore tattico, decidendo l’attacco frontale nell’inverno 1707. Le forze di Pietro il Grande sconfissero allora definitivamente gli svedesi nella battaglia della Poltava (1709). La pace di Stoccolma (1720) costrinse la Svezia a cedere territori importanti sulla riva meridionale del Baltico (i ducati di Brema e di Verden all’Hannover; le isole Usedom e Wollin alla Prussia; l’isola di Rugen e il controllo dello stretto di Sund alla Danimarca). La pace di Nystad (1721) con la Russia determinò la perdita di Estonia, Livonia, Ingria, parte della Carelia e della Finlandia. La Svezia fu così definitivamente sconfitta nelle sue ambizioni di grande potenza e fu ridotta al rango di paese di secondo piano. La Russia di Pietro il Grande divenne invece la potenza egemone dell’Europa settentrionale.

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3. Dall’assolutismo illuminato al Novecento

Durante il regno di Federico I (1720-51) e di Adolfo Federico (1751-71) l’autorità monarchica fu limitata a vantaggio del Riksdag e si registrò una notevole fioritura culturale con la diffusione delle idee illuministiche. L’instaurazione del regime parlamentare si accompagnò tuttavia a violente lotte tra la fazione aristocratico-conservatrice filofrancese e quella borghese-liberale filorussa. Negli anni Quaranta prevalsero i primi, che tentarono una rivincita militare contro la Russia, provocando una nuova sconfitta svedese e la temporanea perdita di tutta la Finlandia (pace di Abo, 1743). Il clima di instabilità interna indusse il nuovo sovrano Gustavo III (1771-92) ad esautorare il Riksdag e a ristabilire l’assolutismo nella forma del dispotismo illuminato. In questi anni, grazie alla riforma della giustizia, alla razionalizzazione dell’amministrazione e dell’esercito, alla libertà di stampa e al clima di tolleranza religiosa ispirati dal sovrano, si registrò un notevole miglioramento delle condizioni del paese, che però ancora una volta non riuscì a capovolgere le pesanti condizioni della pace di Nystad. La pace di Varela (1790) confermò infatti che Carelia e Finlandia rimanevano ai russi. Nel periodo napoleonico la Svezia di Gustavo IV Adolfo (1792-1809) si schierò a fianco dell’Inghilterra contro Napoleone, subendo pesanti sconfitte che portarono alla deposizione del sovrano e alla sua sostituzione con Carlo XIII (1809-1818). Questi, non avendo eredi diretti, già nel 1810 designò come successore il maresciallo francese J.B. Bernadotte, parente di Napoleone (che divenne re nel 1818 col nome di Carlo XIV). Attento alla salvaguardia degli interessi svedesi, Bernadotte non esitò, dopo la sua designazione, a combattere Napoleone, ottenendo così al congresso di Vienna (1814-15) condizioni relativamente favorevoli per la Svezia (il possesso della Norvegia, in cambio della rinuncia agli ultimi possedimenti in Finlandia e Pomerania). In politica interna invece si dimostrò erede delle conquiste fondamentali della Rivoluzione francese e del periodo napoleonico, garantendo al paese, che dopo la Restaurazione si mantenne su posizioni neutrali, un periodo di sviluppo economico. Gli succedette al trono il figlio Oscar I (1844-59), cui seguirono i regni di Carlo XV (1859-72) e di Oscar II (1872-1909). Durante il regno di Carlo XV fu dato notevole impulso all’ammodernamento istituzionale e legislativo: in particolare, l’antica costituzione basata sulla rappresentanza per ordini fu sostituita dall’introduzione di due camere elettive (1866). Fra la fine degli anni Ottanta e il primo decennio del Novecento il paese, superata la crisi agricola che provocò una forte emigrazione, avviò una politica di riforme sociali e politiche, in cui ebbero un ruolo importante anche i socialdemocratici. Nel 1905 la Svezia dovette accettare il formale distacco della Norvegia (peraltro già dotata di un governo separato) consentendole di acquisire la piena indipendenza.

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4. La Svezia contemporanea

Sotto il lungo regno di Gustavo V (1907-1950) la Svezia conobbe una notevole crescita grazie alla decisione del sovrano di mantenere il paese neutrale nei due conflitti mondiali e all’ampliamento della rappresentanza politica all’interno degli organismi parlamentari. Nel primo dopoguerra il paese aderì alla Società delle Nazioni (1920) e avviò una vasta opera di riforma promossa soprattutto dai socialdemocratici (al potere, nell’ambito di varie alleanze, fra il 1920 e il 1926 e poi, dopo una breve parentesi di governo conservatore, dal 1932 all’inizio della seconda guerra mondiale). Fra il 1939 e il 1945 la neutralità garantì il paese dall’invasione e dalle distruzioni che avrebbe comportato un coinvolgimento diretto nelle operazioni militari, nonostante i ripetuti attacchi subìti e il suo forzato consenso al transito degli eserciti tedeschi. Nel secondo dopoguerra i socialdemocratici mantennero la guida del governo sino al 1976, continuando con risolutezza l’opera riformistica volta a ottenere la piena occupazione e un efficiente sistema di servizi e di assicurazioni sociali. In campo internazionale la Svezia conservò una posizione di stretta neutralità fra i due blocchi e si impegnò a promuovere la cooperazione fra gli stati scandinavi. Si venne così a delineare un “modello svedese”, caratterizzato dal pluralismo e dal rispetto delle regole democratiche sul piano politico, da una certa tendenza all’egualitarismo e all’equilibrio nella distribuzione della ricchezza sul piano economico-sociale, e infine dalla garanzia, da parte dello stato, di tutti i servizi volti ad assicurare il benessere dei cittadini. Questo sistema, che si propose come alternativo rispetto al modello puramente capitalistico e a quello del socialismo reale, nonostante la severità del regime fiscale su cui era imperniato, assicurò alla Svezia oltre mezzo secolo di pace sociale e di sviluppo economico, solo temporaneamente turbato nel 1970 dai primi “scioperi selvaggi” dei lavoratori delle miniere e delle acciaierie. Nel 1969 l’energico Tage Erlander, che aveva guidato il partito e i vari governi di coalizione dalla fine della seconda guerra mondiale, fu sostituito da Olof Palme, anch’egli statista di primo piano, che si impegnò attivamente a fronteggiare la crisi economica del 1973 (attraverso il ricorso all’energia nucleare e la riduzione della spesa pubblica) e a ridefinire il programma e il ruolo della socialdemocrazia e della stessa Svezia come paese neutrale. Nel 1975 entrò in vigore una nuova costituzione: la forma monarchica dello stato venne confermata, ma al sovrano (Carlo XVI Gustavo, succeduto nel 1973 al nonno Gustavo VI Adolfo, 1950-1973) rimase un ruolo esclusivamente di rappresentanza (non presiedeva più il consiglio dei ministri, non era più capo delle forze armate né nominava il capo del governo). La crescente insofferenza per il pesante fiscalismo e per la burocrazia, il successo dei movimenti ecologisti ostili al nucleare e la forte ostilità delle organizzazioni padronali a realizzare il progetto di una partecipazione dei lavoratori al capitale dell’impresa furono i principali fattori che determinarono, nel 1976, la vittoria dei partiti borghesi alle elezioni politiche. La guida del governo – formato da una eterogenea coalizione di liberali, conservatori, centristi – fu affidata allora al centrista Thorbjorn Falldin, che non riuscì però a realizzare il programma di riforma fiscale promessa agli elettori né a bloccare lo sviluppo del nucleare, per le prevedibili ripercussioni che queste misure avrebbero avuto sull’economia e sulla stabilità sociale. Falldin si dimise nel 1978 e la guida del governo passò al liberale Ola Ullsten. Le elezioni del 1979 furono vinte ancora, ma di stretta misura, dai tre partiti borghesi coalizzati. Negli anni Ottanta la concreta prospettiva della recessione determinò però la vittoria dei socialdemocratici (1982) e il loro ritorno al potere. Olof Palme fu eletto primo ministro e formò un governo monocolore, appoggiato dai comunisti. In campo economico vennero prese energiche misure per fronteggiare la crisi: la forte svalutazione della corona permise una ripresa del commercio estero e il contenimento dell’inflazione. Le elezioni del 1985 ridiedero la maggioranza ai socialdemocratici. Palme rimase tuttavia vittima di un attentato (1986). La guida dell’esecutivo fu allora assunta dal vice primo ministro Ingvar Carlsson. La situazione economica continuò a migliorare, il deficit pubblico fu riportato entro limiti più accettabili e la disoccupazione ridotta. Nelle elezioni del 1988 i socialdemocratici confermarono la loro posizione di partito di maggioranza e, con l’appoggio del partito comunista, continuarono a governare, impegnandosi soprattutto nella realizzazione della riforma fiscale pur senza intaccare le conquiste del welfare state. Nel 1990 le difficoltà economiche spinsero il governo a introdurre una serie di provvedimenti di austerità, fra cui il blocco dei prezzi e dei salari e la sospensione del diritto di sciopero per un biennio. Soprattutto quest’ultima misura provocò reazioni molto negative fra le forze sociali e costrinse il governo alle dimissioni. Carlsson ottenne nuovamente la fiducia solo dopo aver deciso l’attenuazione delle misure precedentemente adottate. Nel 1991 la Svezia chiese di aderire alla CEE, Le elezioni politiche del 1991 segnarono una sconfitta dei partiti di sinistra a favore soprattutto della Nuova Democrazia, di ispirazione populista, guidata da Ian Wachtermeister. I socialdemocratici lasciarono così il potere dopo 53 anni. Si formò un governo di coalizione conservatore deciso a ridurre le tasse e a ridimensionare il sistema del welfare. La sua inefficiente politica economica riportò però al potere nel 1994 Carlsson e i socialdemocratici, che diedero vita con il Partito liberale a un governo con il quale nel 1995 la Svezia fece il suo ingresso nell’Unione Europea. Nel 1996, in seguito alle dimissione di Carlsson, diventò primo ministro Göran Persson, il quale restò al governo dopo le elezioni nel 1998, vinte dai socialdemocratici con l’impegno di rilanciare il sistema del welfare. Nel 1998 la Svezia decise di non entrare nell’Unione monetaria europea. Nel 2000 entrò in funzione il ponte di 10 miglia che unisce Copenhagen con Malmö. Le elezioni politiche del 2002 riconfermarono ampiamente la maggioranza socialdemocratica sotto la guida di Persson. La questione del mantenimento del costoso stato sociale e, più in generale, della competitività dell’economia svedese fu al centro delle elezioni politiche del 2006, che portarono al successo della coalizione di centrodestra guidata dal Partito moderato unitario (MS) di Frederik Reinfeldt, che divenne il nuovo primo ministro. Nelle successive elezioni del settembre 2010, l’MS si riconfermò alla guida del paese, ma per via dell’inattesa affermazione del partito di estrema destra dei Democratici di Svezia, che superò la soglia di sbarramento, non riuscì a conseguire la maggioranza assoluta in parlamento.

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