Sudan

Stato attuale dell’Africa nordorientale.

  1. Dalle origini al regno di Kush
  2. Il regno di Kush-Napata
  3. La conquista araba
  4. Il Sudan indipendente
1. Dalle origini al regno di Kush

Fin dal III millennio a.C. le vicende del territorio corrispondente all’attuale Sudan (dal III secolo a.C. noto con il nome di Nubia) furono intrecciate con la storia dell’Egitto. Intorno al 2000 a.C. si costituì, tra la seconda e la quarta cateratta del Nilo, il regno di Kush, che i faraoni Sesostri I e Sesostri III raggiunsero e quindi annetterono all’Egitto verso il 1870 a.C. Nel periodo compreso tra la XII e la XVIII dinastia, il regno fu completamente soggiogato all’Egitto ma si rese poi indipendente in seguito all’invasione degli hyksos e trasferì la capitale da Kerma a Buhen, tra la prima e la seconda cateratta. Nuovamente conquistato dai primi tre sovrani della XVIII dinastia, esso fu retto da una classe dirigente egiziana costituita da un membro della famiglia dei faraoni – che assumeva il titolo di “figlio del faraone in Kush” – e da un gruppo di funzionari e sacerdoti.

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2. Il regno di Kush-Napata

Misteriosamente scomparso dopo il 1085 a.C., il regno di Kush venne sostituito da quello di Napata o Kush-Napata – le cui prime notizie risalgono all’800 a.C. – che fu retto da una dinastia definita con termine greco “etiopica” (ovvero dal viso bruciato). Questa estese ben presto la sua influenza su un ampio territorio (dalla seconda alla sesta cateratta) e i suoi sovrani, resisi dapprima indipendenti dalla tutela egiziana, intervennero poi direttamente nella lotta per il potere in Egitto, giungendo ad affermare la propria autorità anche su quel paese. Shabaka (716-702 a.C.), assunse per primo il titolo di “re di Kush e di Misr”, mentre il fratello Piankhi (747-716 a.C.) fondò la XXV dinastia faraonica (definita kushita, nubiana o etiopica), che avrebbe regnato fino al 656 a.C., quando si impose con Psammetico I (664-610 a.C.) la XXVI dinastia saitica (664-525 a.C.). Da allora il regno di Kush-Napata, che dopo il trasferimento della capitale (intorno al 591 a.C.) divenne più noto col nome di regno di Meroe, conobbe una notevole espansione economica fino alla metà del IV secolo d.C., quando Meroe fu distrutta da Ezana I, re di Aksum (Etiopia). Su quello che era stato il territorio del regno di Meroe, all’epoca dell’imperatore Giustiniano (527-65) si formarono tre regni cristiani: quello di Nobazia, quello di Alodia (o Alwa) e quello di Dongola.

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3. La conquista araba

Dopo la conquista dell’Egitto da parte degli arabi i regni cristiani sopravvissero fino al XIV secolo (il regno di Dongola) e alla fine del XV secolo (quello di Alwa). Allora i Mamelucchi stabilirono un effimero dominio sul regno di Dongola, mentre i funj (popolazione negroide forse originaria del Bornu) conquistarono, intorno al 1503-1504, il regno di Alwa, costituendo un regno islamico indipendente. Nel XVII secolo la regione del Darfur vide sorgere una nuova organizzazione statale sotto la dinastia Kaira. Il regno dei funj (che dalla propria capitale assunse anche il nome di regno di Sennar), incentrato sulla tratta degli schiavi, perse l’egemonia sul territorio sudanese dapprima per il ridimensionamento subìto, nel XVIII secolo, a opera dei sovrani del Darfur e poi per l’intervento egiziano, che portò alla caduta del regno nel 1820-21. L’egemonia egiziana sul territorio sudanese si impose nella prima metà del XIX secolo sia attraverso la conquista militare, sia attraverso l’alleanza con i mercanti di schiavi della zona meridionale: fu allora fondata Khartum, la nuova capitale del paese per la prima volta unificato. Con l’occupazione inglese dell’Egitto (1882) si registrarono nel Sudan numerose rivolte antiegiziane e antibritanniche: particolarmente grave fu quella guidata dal mahdi Muhammed Ahmed ibn Abd Allah, che sconvolse la regione dal 1881 al 1898. Dopo la definitiva sconfitta inflitta da H. Kitchener al movimento mahdista nella battaglia di Omdurman (2 settembre 1898), la convenzione anglo-egiziana del 1899 stabilì un compromesso fra i due paesi in base al quale il Sudan sarebbe stato affidato a un governatore generale inglese, ma sarebbe stato unito sul piano economico all’Egitto. I francesi frattanto vennero esclusi dalla zona sudanese, secondo quanto stabilito dalla dichiarazione franco-britannica del 21 marzo 1899. Il movimento nazionalista si sviluppò fin dagli anni Venti del XX secolo, ma nel secondo dopoguerra dovette fronteggiare, oltre al governo coloniale inglese, le nuove mire egemoniche dell’Egitto, concretizzatesi con l’autoproclamazione, nell’ottobre 1951, del sovrano d’Egitto Faruk a re del Sudan. Il disegno espansionistico egiziano spinse l’Inghilterra ad accelerare il processo verso l’indipendenza del paese, venendo così incontro alle aspettative della maggioranza dei nazionalisti sudanesi.

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4. Il Sudan indipendente

Il 1° gennaio 1956 fu proclamata la repubblica del Sudan, dopo che la rivoluzione egiziana del 1952 aveva segnato l’inizio di una nuova politica del governo del Cairo nei confronti dello stato vicino, riconoscendone il diritto all’autodeterminazione. Presidente della repubblica divenne allora Adbullah Khalil, esponente del partito Umma di ispirazione mahdista. Il periodo postcoloniale fu però difficile per il Sudan, travagliato da profondi conflitti di natura etnica e religiosa che ne compromisero la stabilità politica e ne preclusero lo sviluppo economico. Fra le popolazioni della zona settentrionale, musulmane e di lingua araba, si formò infatti una classe dirigente che cercò di imporre la propria egemonia sulle etnie nere animiste e cristiane del sud del paese, provocando fin dal 1958 la sollevazione di queste ultime. Ebbe così inizio una vera e propria guerra civile che si sarebbe protratta fino all’inizio degli anni Settanta, per riaccendersi poi nel corso degli Ottanta, a seguito dell’imposizione della sharia, la legge islamica. Conflittuali furono del resto i rapporti fra gli stessi musulmani del nord, in particolare fra la setta mahdista e quella khatmia, con ripercussioni anche sul piano politico. Nel novembre 1958 un colpo di stato militare portò al potere il generale Ibrahim Abbud, a sua volta deposto dalla rivoluzione dell’ottobre 1964. Si susseguirono poi una serie di vani tentativi di costituire governi civili in una situazione interna sempre più precaria fino a quando il 25 maggio 1969 si impose, attraverso un nuovo colpo di stato, il generale Djáfar al-Nimeiry. Fu allora istituito un regime a partito unico, l’Unione socialista sudanese (USS), sul modello di quello nasseriano. Proprio grazie all’appoggio egiziano, nel luglio 1971 fu sventato un tentativo di destituire il presidente, che comportò una dura reazione contro le frange militari ribelli e contro i comunisti accusati di avere ispirato il golpe. A seguito di questi avvenimenti il regime si orientò, in politica estera, in senso più moderato, allontanandosi progressivamente dall’Unione Sovietica e dalla Libia e avviando una più stretta collaborazione con l’Arabia Saudita, l’Etiopia e soprattutto l’Egitto di Sadat. In ambito interno, nel 1972 si giunse (anche grazie alla mediazione del regime di Addis Abeba) a un accordo con il movimento di liberazione del Sudan meridionale: ebbe così temporaneamente fine la guerra civile, con la creazione di una struttura federale in cui le province ottennero ampia autonomia, sancita poi nella costituzione del 1973. Nuovi tentativi di colpi di stato nel 1975-76 rafforzarono gli orientamenti del governo sudanese in campo internazionale. Al tempo stesso Nimeiry, rieletto presidente nell’aprile 1977, accentuò il carattere autoritario del suo governo, che dal 1983 assecondò l’integralismo islamico con l’imposizione della sharia. In una situazione di gravissima crisi economica, di malcontento sociale e di ripresa delle spinte separatistiche – gran parte della zona meridionale passò sotto il controllo dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan (SPLA) costituitosi nel 1984 – maturò quindi il colpo di stato del 6 aprile 1985, che rovesciò Nimeiry. Le elezioni dell’Assemblea nazionale del 12 aprile 1986, vinte dal partito Umma, segnarono il ritorno a un governo civile con a capo il primo ministro Sadek el Mahdi. Presidente della repubblica divenne Ahmed Alì el Mirghani. Nonostante gli accordi del dicembre 1988 con l’SPLA non si riuscì a giungere a una sospensione delle operazioni militari nella zona meridionale e a una pacificazione del paese. Il 30 giugno 1989 un nuovo colpo di stato militare, ispirato dal Fronte nazionale islamico, portò al potere il generale Omar Hassan Ahmed el Behir, in un clima di perdurante guerra civile. Fra il luglio e il settembre del 1990, nel quadro della ricerca di un’unità araba, il governo sudanese attuò un forte avvicinamento alla Libia. Il nuovo governo mise in atto una dittatura che impose l’islamizzazione dello stato, sciolse i partiti di opposizione e i sindacati e pose sotto controllo i mezzi di informazione. L’appoggio dato dal Sudan all’Iraq durante la guerra del Golfo indusse nel 1990 gli USA a sospendere gli aiuti al paese affamato; e nel 1991 l’ONU fece altrettanto. Nel 1993 gli americani accusarono il Sudan di dare appoggio al terrorismo internazionale e nel 1995 l’ONU lo condannò per il sostegno fornito ai fondamentalisti islamici egiziani, decisi a rovesciare e assassinare Mubarak in Egitto. Mentre la situazione interna restava segnata dalle lotte intestine e anzitutto dalla lotta condotta dall’Esercito di liberazione del popolo sudanese e l’incubo della fame gravava su molta parte della popolazione, nel 1998, come rappresaglia per gli attentati dinamitardi attuati contro le ambasciate americane del Kenya e della Tanzania, gli USA colpirono con missili Khartum, anche al fine di distruggere impianti finalizzati alla produzione di armi chimiche. Nel 1998-99 Omar el Bashir avviò trattative per raggiungere una tregua nella guerra civile. Alle elezioni del 2000 quest’ultimo fu riconfermato e, poco dopo, cercando anzitutto di intavolare trattative con la guerriglia, avviò una politica di progressiva distensione tesa a liberare il paese dall’isolamento. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli USA, il governo condannò il terrorismo ottenendo la riapertura dei rapporti internazionali. Nel 2005 fu firmato un accordo tra governo e ribelli che pose fine alla pluridecennale guerra civile. Rimase invece insoluta la questione del Darfur, dove la popolazione di fede cristiana entrò, dal 2003, in aperto conflitto con il governo centrale, il quale mise in atto, attraverso le milizie Janjaweed, una violenta repressione che costò centinaia di migliaia di vittime e oltre due milioni di profughi. Per porre fine alle violenze, nel 2007 l’Unione Africana e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU autorizzarono una missione di pace (UNAMID) e due anni dopo la Corte Penale Internazionale accusò Bashir di crimini contro l’umanità, richiedendone l’arresto. Nel 2010, in occasione delle prime elezioni multipartitiche da oltre vent’anni, Bashir fu riconfermato.
Nel 2011, secondo i termini dell’accordo siglato nel 2005, si svolse un referendum, che, nel contesto di una situazione segnata da profonde incertezze e da latenti conflitti per il controllo di alcune aree di frontiera (Abyei e Kordofan meridionale), decretò a larga maggioranza l’indipendenza della regione meridionale. All’indomani della perdita del Sudan del Sud, avvenuta nel luglio dello stesso anno, Bashir promise l’avvio di riforme politiche e l’introduzione di una nuova costituzione. Nello stesso arco di tempo fu siglato un accordo di pace con alcuni gruppi ribelli del Darfur e messa in circolazione una nuova moneta, il pound sudanese.

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