Siria

Stato attuale dell’Asia minore.

Fondata nel 1946, l’odierna repubblica araba di Siria – confinante a sud con la Giordania e Israele, a est con l’Iraq, a nord con la Turchia e a ovest col Libano e il Mediterraneo – corrisponde solo parzialmente alla “Siria storica”, che nell’antichità inglobava tutta la regione occidentale della “Mezzaluna fertile” e andava dalla parte mediana del bacino dell’Eufrate, da Karkemish a Mari, fino al Mediterraneo, comprendendo così tutta la fascia costiera da Antiochia a Beirut fino a Gerusalemme. Il fondamento dell’attuale ripartizione risale, oltre che alle millenarie differenziazioni etnico-culturali e religiose, soprattutto agli sconvolgimenti politico-territoriali provocati in Medio Oriente dalla caduta dell’impero ottomano e dall’affermazione dell’imperialismo europeo.

  1. Dall’antichità all’Ottocento
  2. La Siria dalla dominazione ottomana a quella coloniale
  3. La Siria dall'indipendenza all'acuirsi del fondamentalismo
  4. La Siria del nuovo millennio
1. Dall’antichità all’Ottocento

Le regioni della “Siria storica” furono abitate a partire dal paleolitico inferiore. Sono stati ritrovati resti di numerose culture che si susseguirono nel corso delle civiltà preistoriche del neolitico (nel VII millennio cultura del villaggio a Ugarit e Tell Ramad a sud di Damasco, nel V a Tell Halaf vicino al confine con l’attuale Turchia). Nel terzo millennio comparvero i primi rilevanti centri urbani – Ugarit, Hama, Mari, Ebla – e s’instaurò fra essi una lotta per il predominio regionale, che vide il prevalere della città di Ebla. Tale situazione di competizione fra le varie città stato ebbe termine verso la fine del III millennio con la caduta della Siria sotto l’egemonia degli imperi mesopotamici dei re accadi Sargon e Naram-Sin (a partire dal 2300 a.C.). Nei due millenni che separano tale data dalla conquista di Alessandro Magno (332 a.C.), la Siria conobbe regressi della civilizzazione urbana inframmezzati a un continuo alternarsi tra fasi di semindipendenza – durante le quali riprendeva la lotta tra i suoi maggiori centri (specie nel corso del II millennio) – e l’assoggettamento al dominio dei potenti imperi circostanti. Fu il caso dell’Egitto (a più riprese a partire dal 1800 a.C.), seguito dall’Assiria e, soprattutto, dagli hittiti (dal XVII secolo al XIV), che si spartirono più volte i territori siriani nel corso di un conflitto plurisecolare che ebbe sostanzialmente fine con la sconfitta egiziana di Qadesh nel 1300. Dopo un breve periodo di preminenza della città di Karkemish sotto il protettorato ittita (XIII sec.), la scomparsa di tale impero e le ulteriori invasioni dei popoli del mare (fenici, antichi greci) riaprirono una fase di anarchia e guerra tra le varie città, che si chiuse con l’incorporamento di tutta la Siria nel vasto impero assiro-babilonese (VIII sec.), e quindi in quello persiano, che ne fece una ricca satrapia (VI sec.). Dopo la morte di Alessandro Magno prevalse tra i diadochi Seleuco I, che trasformò la Siria nel pilastro centrale di un impero che comprendeva gran parte dell’Asia Minore. Nel periodo ellenistico, sotto la dinastia dei Seleucidi, la Siria ebbe grande sviluppo politico, sociale ed economico, testimoniato anche dalla fondazione di nuove città, da Antiochia a Laodicea alla stessa capitale Seleucia di Pieria. Una nuova svolta fu data dalla conquista romana e dall’elevazione della Siria a provincia effettuata da Pompeo nel 64 a.C. Nell’assetto provinciale, che già la differenziava dalla Fenicia e dalla Palestina a sud-ovest, la Siria visse una nuova fase della sua storia, e fu contesa strenuamente tra romani, persiani e parti a causa della sua posizione strategica lungo le rotte carovaniere tra l’Occidente e l’Oriente indiano e cinese. Dal V secolo d.C. si fece forte la pressione delle tribù arabe nomadi del deserto, contro le quali l’impero romano d’Oriente creò in Siria lo stato cristiano di Ghassan. Dopo un’ultima fugace conquista persiana (614) e la riconquista da parte di Bisanzio (627), la Siria fu occupata definitivamente dagli arabi islamici del califfo Omar: nel 635 cadde Damasco e nel 638 Gerusalemme. Seguì il trasferimento a Damasco della capitale del califfato arabo omayyade (661-750), che portò alla Siria un inusitato splendore e un particolare radicamento dell’elemento etnico-culturale arabo. Tale periodo fu troncato dall’imporsi della nuova dinastia abbaside (750-1258), che spostò il baricentro del califfato nella mesopotamica Baghdad. Con il disfacimento del califfato e le invasioni turche a partire dall’XI secolo, la Siria ritornò a essere contesa tra i diversi poli egemonici dell’islamismo (i Fatimidi dell’Egitto, i turchi selgiuchidi), ai quali si aggiunsero nel XII secolo gli eserciti crociati europei che impiantarono nelle regioni costiere siro-palestinesi domini e regni che durarono fino alla caduta dell’ultimo avamposto, S. Giovanni d’Acri, nel 1291. Sottomessa dai mamelucchi egiziani (1250-1517), via via sottoposta alle incursioni mongole nel Quattrocento, nel 1516 la Siria divenne infine parte dell’impero ottomano e dall’interno di tale compagine politico-amministrativa si trovò a dover affrontare, nell’Ottocento, l’erompere delle contrastanti forze imperialiste europee e nazionaliste arabe.

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2. La Siria dalla dominazione ottomana a quella coloniale

Il carattere mercantile e intellettualmente più aperto delle città siriane e l’esistenza di un relativo pluriculturalismo, esaltato dalla presenza di forti nuclei cristiani dislocati specialmente nelle terre libanesi, favorirono il risveglio del nazionalismo arabo nella seconda metà dell’Ottocento, sulla scorta degli impulsi provenienti dall’Occidente europeo. Tale tendenza, che confliggeva con la dominazione ottomana, si sposò con gli interessi delle potenze europee, in particolare di Gran Bretagna e Francia, intenzionate a soppiantare i turchi nel quadrante mediorientale e quindi a proteggere le lotte indipendentiste arabe. Tuttavia, le promesse britanniche di futura indipendenza della nazione araba, fatte all’inizio della prima guerra mondiale allo sceriffo della Mecca Hussein – grazie alle quali si poté sviluppare l’impresa di Lawrence d’Arabia – furono in parte frustrati dall’accordo Sykes-Picot (1916), a seguito del quale la Francia ottenne nel 1919 il mandato d’occupazione militare della zona siriana. Il tentativo di proclamare nel 1920 il regno indipendente della “Grande Siria” da parte del figlio di Hussein, Feysal, fu represso militarmente dalla Francia, mentre la Palestina passava sotto mandato britannico e il Libano acquistava un’amministrazione autonoma sotto la Francia, che si vide riconosciuto effettivamente nel 1922 il mandato sulla Siria da parte della Società delle Nazioni e lo mantenne, nonostante sommosse e scontri con le forze nazionaliste, fino al 1946. Nonostante l’atteggiamento marcatamente imperialista, la Francia procurò che in Siria continuasse a svilupparsi un ceto borghese autoctono, attivo soprattutto nella cultura, nei traffici mercantili e nell’amministrazione. Fu questo, rappresentato poi politicamente nel partito Baath, che assunse su di sé l’onere della direzione della lotta di liberazione dal dominio francese.


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3. La Siria dall'indipendenza all'acuirsi del fondamentalismo

Conseguita la piena indipendenza sotto la presidenza del leader nazionalista Shukri al-Quwwatli nel 1946, la repubblica araba di Siria s’inserì attivamente nella Lega araba e nel conflitto arabo-israeliano, il cui esito negativo comportò una destabilizzazione interna risolta dalla dittatura di Adib al-Shishakli (1951-54). Negli anni Cinquanta la Siria cercò a più riprese di creare rapporti stretti e duraturi con l’Egitto, che nel frattempo aveva portato a termine la rivoluzione nasseriana. Si arrivò così nel 1958 alla realizzazione della federazione tra Siria, Egitto e Yemen del Nord (Repubblica Araba Unita, RAU). Per l’opposizione dei settori moderati antinasseriani e per l’oggettiva subordinazione nella quale si trovò rispetto all’Egitto, il regime siriano baathista decise di abbandonare la federazione nel 1961 e questa fu la premessa per l’instaurazione di una nuova dittatura militare conservatrice sotto il generale Amin al-Hafiz (1963-66). Dopo la nuova sconfitta contro gli israeliani nella guerra dei Sei giorni (1967) e la perdita del Golan, prevalse nel Baath la corrente radicale che patrocinò l’avvicinamento all’Unione Sovietica (furono firmati vari patti di collaborazione, tra cui, l’ultimo, il trattato ventennale di amicizia del 1980) e l’avvento al potere prima del generale al-Atasi, poi del collega Hafiz al-Assad (1970), capo dello stato siriano fino al giugno 2000, in un contesto politico rigidamente dirigistico. Nel 1973 la guerra vittoriosa contro Israele, combattuta a fianco dell’Egitto, permise alla Siria la riassunzione di un ruolo egemone sia nella questione palestinese, sia in quella libanese. Dopo la stipulazione dei patti di Camp David (1978) e la normalizzazione dei rapporti tra Egitto e Israele, Assad assunse, con la Libia e l’Iraq, l’alto patrocinio della causa palestinese emblematizzata nel “Fronte del rifiuto”. Tuttavia, negli anni Ottanta, con l’acuirsi del rischio rappresentato per la stabilità interna dal fondamentalismo islamico esaltato dalla creazione del regime khomeinista in Iran e dal conflitto tra quest’ultimo e l’Iraq (1980-88), la Siria, pur mantenendo una posizione intransigente sulla Palestina (nel 1983 Arafat fu espulso da Damasco) e di “grande protettore” del Libano, preferì spostarsi su posizioni complessivamente meno radicali. Tale tendenza fu corroborata dalla trasformazione interna e poi dalla caduta del regime sovietico. Nel 1990 la Siria aderì alla coalizione di forze ostili al colpo di mano del dittatore iracheno Saddam Hussein in Kuwait e, dopo la sconfitta irachena del febbraio 1991, contribuì, almeno relativamente, alla distensione arabo-israeliana. Trattative con Israele furono avviate nel 1994 in vista di una normalizzazione delle relazioni, con la richiesta della restituzione da parte israeliana delle Alture di Golan, ma esse vennero interrotte nel 1995 dopo la ripresa delle attività militari a opera dei gruppi islamici di Hamas. Un miglioramento dei rapporti con la Turchia, che erano peggiorati per l’aiuto fornito dai siriani ai curdi, fu conseguito nel 1998. Le elezioni di quell’anno videro la netta prevalenza del Fronte progressista nazionale di Assad, rieletto presidente agli inizi del 1999.

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4. La Siria del nuovo millennio

Un successo per la Siria e per gli Hezbollah da lei protetti fu il ritiro dal Libano meridionale delle forze israeliane. L’ingerenza siriana in Libano divenne tuttavia oggetto di aspre critiche soprattutto all’indomani dell’assassinio dell’ex primo ministro Rafiq al-Hariri (2005). Sul piano interno, alla morte di Hafiz al Assad nel giugno 2000, il potere passò nelle mani del figlio Bashar, la cui nomina fu sancita da un referendum nel luglio dello stesso anno. Nonostante le forti aspettative inizialmente suscitate, il cambio al vertice non determinò l’inizio di una nuova stagione politica per il paese. Nelle elezioni del 2007, boicottate dalle opposizioni, Bashar al Assad ottenne quasi il 100% dei consensi e fu quindi riconfermato al potere.
Nel marzo 2011, nel quadro delle grandi manifestazioni di massa che scossero l’intera regione nordafricana e mediorientale, il regime di Assad fu oggetto di crescenti critiche. Nonostante la dura risposta delle forze di polizia, che causò centinaia di vittime, le proteste continuarono e portarono alle dimissioni del gabinetto. Denunciando le proteste quale risultato di un complotto straniero, Assad respinse ogni ipotesi di riforma e, a dispetto delle condanne dell’opinione pubblica internazionale, scatenò una violenta repressione cui si accompagnarono alcune moderate concessioni alla minoranza curda e agli islamisti conservatori. Reagendo alle crescenti pressioni internazionali, Assad nominò un nuovo gabinetto e sospese lo stato d’emergenza, ma continuarono le violenze nei confronti degli oppositori del regime. In risposta Stati Uniti e Unione europea imposero l’embargo e la Turchia condannò ufficialmente, per voce del premier Erdogan, il regime siriano, accrescendone ulteriormente l’isolamento internazionale. Dopo il veto opposto da Cina e Russia all’ipotesi di un intervento militare, nel novembre 2011 il governo di Damasco accettò un progetto di pace avanzato dalla Lega Araba, che tuttavia rimase lettera morta. Nel frattempo, a fronte di un’ulteriore recrudescenza degli scontri ormai degenerati in una vera e propria guerra civile, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU incaricò l’ex segretario generale Kofi Annan di preparare un nuovo progetto di pace, destinato tuttavia anche questo a fallire. Sul finire del 2012 i leader dell’opposizione annunciarono la formazione di una nuova coalizione, la Coalizione nazionale delle forze siriane rivoluzionarie, che ricevette ben presto riconoscimento internazionale.

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