Serbia

Stato attuale dell’Europa meridionale, confinante con Albania, Macedonia, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e dal 2008 con il Kosovo

  1. Dalle origini al dominio ottomano
  2. Dalla ricostituzione del regno alla formazione della Iugoslavia
  3. La nuova Federazione iugoslava e la nascita della Serbia indipendente
1. Dalle origini al dominio ottomano

La Serbia si è formata nei secoli VI e VII, in seguito all’insediamento nella penisola balcanica di popolazioni serbe, le quali nel IX secolo si convertirono al cristianesimo. Nominalmente i serbi riconoscevano la sovranità bizantina. Di fatto, costituitisi in un’organizzazione statale detta Raska, si autogovernavano, in una situazione di frequenti scontri con i greci, i bulgari e i magiari. Nel 1159 Stefano Nemanja diede inizio a una dinastia che durò circa due secoli e che si consolidò con l’assunzione formale del titolo regio nel 1217. Subito dopo la monarchia costituì una chiesa autonoma ortodossa. Lottando contro i tentativi di dominazione da parte degli ungheresi, il regno serbo ascese a una posizione di grande potenza nei Balcani sotto Stefano Dushan, proclamatosi zar nel 1346. La Serbia raggiunse in questo periodo un notevole sviluppo economico e culturale, che venne bruscamente interrotto dalla conquista degli ottomani, i quali nel 1389 inflissero nella battaglia di Kosovo Polje una disastrosa sconfitta ai serbi. Il regno venne diviso e i serbi divennero tributari della Porta. Nel 1459 fu sancita l’annessione formale della Serbia all’impero ottomano. Nel 1521 Belgrado, allora sotto il controllo dei magiari, venne a sua volta occupata e posta sotto il governo di un pascià. La dominazione turca in Serbia fu improntata a criteri di estrema durezza. La nobiltà venne espropriata e i contadini ridotti in condizioni di servaggio. In tale situazione l’identità nazionale serba trovò il suo fondamento principale nella chiesa ortodossa.

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2. Dalla ricostituzione del regno alla formazione della Iugoslavia

La lotta per la liberazione dal dominio ottomano ebbe inizio al principio del XIX secolo con l’aiuto determinante della Russia. Nel 1804 Gjorgje Petrovic Karagjeorgje si mise a capo della rivolta e nel 1812 il trattato di Bucarest sanzionò l’autonomia della Serbia, la quale – dopo un periodo di riconquista ottomana e una nuova rivolta guidata da Milos Obrenovic – venne definitivamente riconosciuta nel trattato di Adrianopoli del 1829. L’indipendenza vera e propria della Serbia dalla Turchia venne formalmente riconosciuta dalle potenze europee nel congresso di Berlino del 1878. Nel 1882 la Serbia diventò un regno. Rappresentò una forte delusione per i serbi il fatto che il congresso avesse posto la Bosnia-Erzegovina sotto l’amministrazione dell’Austria-Ungheria. Il nazionalismo serbo, radicato nel panslavismo, prese vigore, in un clima di accesa ostilità nei confronti sia della Bulgaria sia dell’impero austroungarico. L’assassinio nel 1903 del re Alessandro I Obrenovic (1889-1903) determinò l’ascesa della dinastia dei Karagjeorgjevic, con Pietro I (1903-21), che concesse una costituzione liberale. L’indirizzo politico del paese fu caratterizzato, a opera del capo del governo e leader del Partito radicale Nicola Pasic, da stretti legami con la Russia e da una forte ostilità verso l’Austria-Ungheria che nel 1908 annesse la Bosnia-Erzegovina. La Serbia ebbe un ruolo primario nelle guerre balcaniche (1912-13), che essa condusse contro la Turchia e contro la Bulgaria. Da questi conflitti la Serbia uscì come la più forte potenza regionale; il che portò a una soglia estrema i suoi contrasti con l’Austria-Ungheria. Il nazionalismo serbo, con l’assassinio a Sarajevo il 28 giugno del 1914 dell’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, accese la scintilla destinata a far scoppiare la prima guerra mondiale. Attaccata dall’esercito imperiale e nel 1915 anche dalla Bulgaria, la Serbia venne sconfitta. Stabilitosi a Corfù il governo serbo, nel 1917 le forze panslaviste serbe, montenegrine, croate e slovene proclamarono l’unione degli slavi del sud. In tal modo posero le premesse politiche di quello che sarebbe stato il regno di Serbia, Croazia e Slovenia (1918), divenuto poi nel 1929 regno di Iugoslavia. La Serbia costituì di fatto il nucleo forte di questa nuova formazione politica e poi della Federazione iugoslava sorta nel 1946 sotto la guida del maresciallo Tito.

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3. La nuova Federazione iugoslava e la nascita della Serbia indipendente

Nel corso della crisi che tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del XX secolo determinò lo scioglimento della Federazione iugoslava e la drammatica crisi avente il suo epicentro nella Bosnia-Erzegovina, il nazionalismo serbo perseguì, sotto la guida dell’ex leader comunista Slobodan Milosevic, due obiettivi: da un lato quello, infine fallito, di impedire la nascita di una federazione autonoma della Bosnia-Erzegovina, alimentando una guerra di annientamento in primo luogo contro la popolazione musulmana della regione; dall’altro quello di ricostituire una nuova Federazione iugoslava, composta da Serbia e Montenegro, che nacque nel 1992 (Iugoslavia).


Nel 2000, dopo la vittoria alle elezioni parlamentari e presidenziali del Partito dell’opposizione democratica e l’estromissione di Milosevic dal potere, Vojislav Kostunica divenne presidente e Zoran Dindic assunse la carica di primo ministro fino al suo assassinio nel marzo del 2003, quando fu sostituito prima da Zoran Zivkovic e poi dallo stesso Kostunica (2004-08). Intanto nel febbraio 2003 fu deciso di cambiare il nome della federazione in “Serbia e Montenegro” e di delegare maggiori poteri alle due repubbliche, elevate a stati semi-indipendenti con una propria costituzione e una propria moneta. Nel giugno del 2006, dopo un referendum in cui il Montenegro si espresse a favore della propria piena indipendenza, fu infine sancita la fine definitiva della Iugoslavia. All’indomani dello scioglimento della federazione serbo-montenegrina, rimase tuttavia aperta la questione del rapporto con il Kosovo.


Dopo il fallimento delle trattative guidate da Martti Ahtissaari sotto la supervisione dell’ONU, nel febbraio del 2008 il Kosovo dichiarò unilateralmente la propria indipendenza, che tuttavia non fu riconosciuta né dalla Serbia, né dalla Russia. Nello stesso anno, dopo la caduta del governo di coalizione formato dal Partito democratico (DS) e dal Partito democratico serbo (DSS) e guidato da Vojislav Kostunica, le elezioni parlamentari videro il successo di un raggruppamento di partiti filoeuropeisti guidato da Boris Tadic, presidente della repubblica e leader del Partito democratico. Nonostante il rafforzamento del Partito radicale serbo, euroscettico ed ultranazionalista, il blocco filoeuropeista riuscì, grazie al sostegno dei socialisti, a formare un governo di coalizione, affidato alla guida di Mirko Cvetkovic.
Nel 2009 la Serbia presentò domanda per accedere all’UE e nel maggio 2011, all’indomani della cattura di Ratko Mladic, l’ex comandante delle forze serbo-bosniache responsabile del massacro di Srebrenica, il presidente Tadic si attivò immediatamente per la sua estradizione presso il Tribunale internazionale dell’Aia.
. Sul finire del 2011 fu quindi risollevata la questione dell’adesione della Serbia all’Unione europea, a condizione di una normalizzazione dei rapporti ancora tesi con il Kosovo. A causa degli effetti della crisi finanziaria globale e dell’incremento della disoccupazione, le elezioni del 2012 segnarono l’affermazione del partito progressista serbo di orientamento populista, il cui leader, Tomislav Nikolic, fu eletto, dopo poche settimane, alla presidenza dello Stato. Della guida del nuovo governo di coalizione, formato dal partito socialista e dal partito progressista, fu invece incaricato il socialista Ivica Dadic. A dispetto delle iniziali apprensioni suscitate dall’ipotesi di una svolta anti-europea, il presidente Nikolic rassicurò le cancellerie europee circa la ferma intenzione del governo di Belgrado di aderire all’UE.

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