Ruanda

Stato attuale dell’Africa centro-orientale. Il paese fu abitato sin dall’epoca preistorica dai twa (pigmei), popolo di raccoglitori e di cacciatori cui si sovrapposero i bantu che nel Ruanda, come nel Burundi, costituirono regni di piccole dimensioni assumendo il nome di hutu. A queste due etnie se ne aggiunse una terza che presto impose il suo dominio: i tutsi, gruppo camitico che nel XIV secolo fondò il piccolo regno di Buganza da cui derivò poi il regno del Ruanda, dominato dalla dinastia degli Nyghinya (o Banuigynia). Quest’ultimo durò sino al 1960, conquistando fra il XVI e il XVIII secolo – grazie soprattutto all’opera del re Rujugira – altri regni tutsi, fra cui quelli di Mubari, di Gisaka e Bugesera che si erano alleati con il regno del Burundi per combattere la sua incipiente egemonia sulla regione. Il re Rujugira sottomise anche i regni hutu sul lago Kivu e proseguì nell’organizzazione amministrativa dello stato, suddividendolo in distretti. Già in questa fase tuttavia la mancata integrazione nella struttura del potere degli hutu, che costituivano la maggioranza, provocò una netta separazione fra l’aristocrazia tutsi e il resto della popolazione, elemento poi rimasto costante nell’evoluzione politica del paese. Solo nel 1894 un europeo, Adolf von Götzen, futuro governatore dell’Africa orientale tedesca, visitò il paese e nel 1898 i tedeschi istituirono il protettorato. Divenuto parte dell’Africa orientale tedesca, il Ruanda conobbe un relativo sviluppo economico grazie soprattutto al potenziamento delle vie di comunicazione voluto dalla Germania, che governò il paese sino al giugno 1916, quando il Ruanda fu conquistato dalle truppe del Belgio. Nel 1919 lo stesso Belgio ricevette il mandato sul Ruanda-Urundi (costituito dall’associazione del Ruanda con il Burundi), confermato poi dalla Società delle Nazioni nel 1923. La nuova formazione statale fu legata dapprima economicamente e poi, dal 1925, anche politicamente al Congo belga (l’attuale Repubblica democratica del Congo) di cui fece parte sino al conseguimento dell’indipendenza da parte di quest’ultimo nel febbraio 1960. Nel primo dopoguerra il Belgio si sforzò a sua volta di promuovere lo sviluppo della colonia, soprattutto attraverso la razionalizzazione delle colture agricole, mentre la società civile conosceva una profonda trasformazione determinata dalla diffusione del cattolicesimo. Nel 1946 l’ONU confermò al Belgio l’amministrazione fiduciaria sul Ruanda-Urundi e dal 1952 furono introdotte le prime forme di rappresentanza: la vita politica e civile continuò tuttavia a essere dominata dalla minoranza tutsi a scapito della popolazione hutu che, dopo le elezioni del 1954, diede vita al Movimento sociale muhutu (MSM) guidato da Grégoire Kayibanda e strumentalmente appoggiato dal governo belga e dalle gerarchie cattoliche. Alla morte del sovrano Mutara III nel 1959 gli succedette Kigeli V che, sostenuto dai tutsi, si oppose all’MSM di Kayibanda. In una situazione di grave incertezza si giunse così nel 1961 al referendum istituzionale che, sotto la supervisione dell’ONU, sostituì il regime monarchico con quello repubblicano (con Kayibanda alla presidenza), preparando la strada all’indipendenza ottenuta dal Ruanda, contemporaneamente al Burundi, nel luglio 1962. Fu questo l’inizio dell’esodo tutsi, che modificò profondamente la struttura sociale del paese condizionando il suo futuro politico: l’abolizione dei privilegi dei tutsi e il loro esodo massiccio verso il Congo, il Burundi (governato dalla minoranza tutsi) e l’Uganda, liberarono vaste aree del paese, che vennero subito popolate da contadini hutu. Negli anni immediatamente successivi scoppiarono violenti contrasti fra hutu e tutsi, protrattisi anche dopo il colpo di stato del generale Juvénal Habyarimana, che nel 1973 costituì un regime a partito unico cercando una soluzione al conflitto etnico attraverso l’ulteriore restrizione dei diritti civili dei tutsi e il rafforzamento del potere dell’esecutivo (il 17 dicembre 1978, mediante referendum, fu approvata una nuova costituzione che introduceva il regime presidenziale). Habyarimana, riconfermato presidente nel 1983 e nel 1988, riuscì a ottenere un miglioramento della situazione economica e il raggiungimento dell’autosufficienza alimentare. Tuttavia, nel 1990, il Fronte patriottico ruandese, costituito da guerriglieri tutsi rifugiati in Uganda, tentò di riprendere il potere in Ruanda fomentando la guerriglia nel nord del paese; al tempo stesso le aperture del presidente verso il pluralismo furono ostacolate da molti hutu e dalla guerriglia tutsi. Dopo l’attentato del 6 aprile 1994, che costò la vita a Habyarimana e al presidente del Burundi Ntaryamira, si ebbe una tragica operazione di pulizia etnica condotta dagli hutu che si concluse con la morte di mezzo milione di tutsi e più di due milioni di profughi. Di fronte al genocidio le Nazioni Unite rivelarono la loro totale impotenza, nonostante l’invio di un contingente di pace. Al nuovo presidente Pasteur Bizimungu, un hutu, e al suo vice Paul Kagame, un tutsi, saliti entrambi al potere nel 1994, spettò il difficile compito di cercare di ricondurre il paese verso la normalità, dopo che il Fronte tutsi e le milizie hutu avevano preso il sopravvento nella guerra civile, che costò oltre 800.000 vittime civili e oltre due milioni di profughi. Nel 1995 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU istituì un tribunale internazionale per processare i responsabili del genocidio del 1994, che riscosse tuttavia risultati molto modesti. Un nuovo focolaio di crisi si aprì però poco dopo, allorché l’ex Congo decise di espellere una comunità tutsi di circa 400.000 persone insediatesi nei pressi del lago Kivu da oltre due secoli. L’appoggio dato dal governo del Ruanda ai tutsi dell’ex Congo diede inizio nel 1996 a un conflitto – la cosiddetta “Grande guerra africana” – che ben presto si estese a tutta l’area, coinvolgendo Uganda, Burundi, Namibia, Zimbabwe e Angola. Nel 2000 Kagame subentrò alla presidenza della repubblica, svolgendo un ruolo di primo piano nel raggiungimento dell’accordo siglato nel 2002 tra le opposte fazioni. Nel 2004, dopo la promulgazione di una nuova costituzione, si svolsero le prime elezioni multipartitiche e Kagame si riconfermò alla presidenza. Nel 2007 il governo istituì una commissione incaricata di fare luce sulle responsabilità dell’attentato del 1994. In un clima di costante tensione e violenza, nel 2010 Kagame fu rieletto per la seconda volta consecutiva.