Nuova Zelanda

Stato attuale dell’Oceania. Prima dell’arrivo degli europei l’arcipelago della Nuova Zelanda attraversò due diverse fasi di sviluppo: una arcaica, che ebbe per protagoniste popolazioni autoctone poco progredite, dedite soprattutto alla caccia (X-XIV secolo); e una più recente, definita “classica” (secoli XIV-XVIII), in cui fu dominante il gruppo etnico dei maori, originario della Polinesia centrale e stabilitosi in Nuova Zelanda intorno alla metà del XIV secolo. L’organizzazione politico-sociale del paese rimase a lungo di carattere tribale e fu segnata da una stratificazione piuttosto rigida che andava dagli ariki (l’aristocrazia guerriera) fino agli schiavi. La Nuova Zelanda fu raggiunta per la prima volta dall’olandese A. Tasman nel 1642. Fu però J. Cook ad accertarne nel 1769 l’esatta conformazione, prendendone possesso in nome della corona britannica. Dopo i primi stanziamenti europei all’inizio del XIX secolo, che incontrarono la fiera resistenza delle popolazioni locali, per iniziativa di E.G. Wakefield venne creata una Compagnia della Nuova Zelanda che diede inizio alla sistematica occupazione del paese. Grazie all’azione di Wakefield nel 1840 i maori riconobbero la sovranità britannica dietro l’impegno da parte inglese a riconoscere i diritti ereditari indigeni sulla terra (trattato di Waitangi). L’anno seguente la Nuova Zelanda divenne colonia britannica compresa nel Nuovo Galles del Sud; dal 1852 fu dichiarata colonia autonoma e dal 1853 fu dotata di organismi di rappresentanza. La successiva fase dell’evangelizzazione e della colonizzazione del territorio calpestò del tutto i diritti delle popolazioni locali, provocando continui scontri con i maori (le cosiddette “guerre dei maori” o “dei taranaki”) che proseguirono sino agli inizi degli anni Settanta dell’Ottocento e si conclusero con il quasi totale genocidio degli indigeni. All’interno della comunità di origine europea, la terra fu distribuita in forme eque (originariamente la metà del territorio era stato accaparrato da un’esigua minoranza di coloni) e fu avviata un’energica opera di riforme nel quadro di salde istituzioni liberal-parlamentari sul modello britannico. Ottenuta un’ampia autonomia già nel 1852, fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo la Nuova Zelanda (che dal 1889 al 1911 fu guidata dai liberali e che vide svilupparsi al suo interno una forte organizzazione sindacale) si diede una legislazione molto avanzata in materia economica e sociale, di cui furono espressione le leggi per regolare l’acquisto e la locazione di terre a vantaggio della piccola proprietà (1870 e 1892), l’introduzione delle pensioni di vecchiaia (1898), l’istituzione dell’arbitrato per risolvere i conflitti di lavoro (1905), la fissazione dei minimi salariali (1908), l’introduzione del suffragio universale maschile (1889) e femminile (1893). Nel 1907 la Gran Bretagna riconobbe alla Nuova Zelanda lo status di dominion. Dal 1911 al 1928 la guida del governo passò ai conservatori (Partito della riforma), per poi tornare brevemente ai liberali del Partito unito. Nel 1931 liberali e conservatori in coalizione diedero vita al Partito nazionale che rimase al potere fino al 1935, quando iniziò la lunga fase laburista. Dall’inizio del XX secolo il paese seppe esprimere una sua posizione anche in ambito internazionale: prese parte alla prima guerra mondiale, costituendo insieme all’Australia un corpo d’armata che combatté in Europa e in Medio Oriente a fianco degli inglesi; entrò quindi nella Società delle Nazioni e nel 1920 ottenne da questa il mandato sulle isole Samoa, ex colonia tedesca. Nel 1931 ottenne l’indipendenza all’interno del Commonwealth. Dal 1935 al 1949 i laburisti al governo diedero grande impulso alla costruzione del welfare state : avviarono progressivamente la nazionalizzazione dei principali istituti bancari, delle ferrovie e dei trasporti aerei, della sanità, delle miniere, svilupparono un avanzato sistema assistenziale (Social Security Act, 1938) e introdussero la settimana lavorativa di 40 ore da effettuarsi in cinque giorni. Particolarmente impegnato nella realizzazione di questi obiettivi fu il governo di M.J. Savage (1935-40). La Nuova Zelanda partecipò fin dal 3 settembre 1939 al secondo conflitto mondiale, dichiarando guerra alla Germania e impegnandosi a fondo a fianco degli americani nella guerra del Pacifico contro i giapponesi. Nel dopoguerra mantenne stretti rapporti con la Gran Bretagna, sforzandosi peraltro di trovare una collocazione fra i paesi dell’area del Pacifico attraverso una chiara scelta di campo filoamericana. Già nel 1944 firmò un accordo regionale di cooperazione con l’Australia; nel 1951 aderì all’alleanza difensiva con Australia e USA (ANZUS) e nel 1954 alla SEATO. Nel 1949 le elezioni portarono al governo il Partito nazionale, che per un decennio sfruttò il malcontento, maturato soprattutto negli ambienti agrari, contro i princìpi dello stato assistenziale. Negli anni Sessanta e Settanta si consolidò un sistema bipolare di tipo anglosassone, imperniato sulle forze laburiste e liberalnazionali, che si alternarono al potere senza introdurre sostanziali mutamenti nell’impostazione della politica interna. All’affievolirsi delle contrapposizioni ideologiche contribuì anche la necessità di fronteggiare, a partire dal 1973, la crisi energetica e la conseguente contrazione economica, aggravata ulteriormente dall’entrata della Gran Bretagna nella CEE (1972) e dal ridursi delle agevolazioni commerciali nell’ambito del Commonwealth. I vari governi, indipendentemente dalla loro guida, si indirizzarono quindi verso una politica di austerità, avviando un ridimensionamento delle conquiste del welfare state. In politica estera invece all’impegno filoamericano – concretizzatosi fra il 1965 e il 1970 con l’invio di truppe in Vietnam – si affiancò, con l’esecutivo guidato dal laburista N.E. Kirk (1972-74), una maggior apertura verso i paesi dell’area asiatica e alla stessa Cina. Dopo il ritorno al governo del Partito nazionale con R.D. Muldoon fra il 1975 e il 1984, i laburisti di D. Lange (vincitori alle elezioni del 1984 e del 1987) avviarono una campagna di privatizzazioni su larga scala, abbandonando la tradizionale politica ormai troppo costosa di protezione sociale. Dopo le dimissioni di Lange, fu il laburista Geoffrey Palmer a guidare il governo. Con la fine della guerra fredda la Nuova Zelanda, per iniziativa dei laburisti, uscì dall’ANZUS (1984). Dal 1986 si distinse poi per un forte impegno antinucleare nell’area del Pacifico, perseguito anche in contrasto con gli interessi degli USA e della Francia. Nel 1990 le elezioni determinarono il ritorno al governo del Partito nazionale conservatore di J. Bolger con il quale, nonostante l’opposizione di ampi settori dell’opinione pubblica, si esaurì di fatto la lunga stagione, durata quasi un secolo, del welfare state e si optò definitivamente per una massiccia privatizzazione delle imprese pubbliche e per una politica neoliberistica che diede un forte impulso allo sviluppo. Nel 1993 il partito di Bolger si riconfermò alla guida del paese sia pure con un margine di consenso sensibilmente inferiore. La riforma elettorale del 1996, che introdusse un sistema proporzionale misto, indebolì ulteriormente il Partito Nazionale di Bolger, che fu pertanto costretto a formare un governo di coalizione con il partito La Nuova Zelanda Anzitutto (New Zealand First), di indirizzo populista e xenofobo, favorevole a fermare la politica di privatizzazioni e di riduzione delle spese pubbliche e a limitare fortemente l’immigrazione. All’indomani delle dimissioni di Bolger nel 1997, fu formato un governo di minoranza con a capo, per la prima volta nella storia della Nuova Zelanda, una donna, Jenny Shipley. Nel 1999 tornarono al potere i laburisti con un governo di coalizione guidato da Helen Clark, riconfermato nel 2002. Nelle successive elezioni del 2008 si impose invece il Partito Nazionale, il quale, però, non godendo della maggioranza assoluta, fu costretto ad appoggiarsi su formazioni politiche minori, tra cui il partito degli indigeni maori. John Key assunse la guida del governo. John Key assunse la guida del governo, venendo riconfermato per un secondo mandato all’indomani dell’ampio successo ottenuto dal Partito Nazionale alle elezioni del novembre 2011.