Libano

Stato attuale dell’Asia occidentale. Nell’antichità la regione, abitata dai cananei, fu la culla della civiltà delle città stato dei fenici (diramazione dei cananei), divenute a partire dal XVI secolo a.C. grandi centri di produzione di manufatti artigianali e di commercio marittimo. I navigatori fenici furono grandi esploratori. Solo per brevi periodi indipendenti, queste città, tra cui emersero Tiro e Sidone, caddero sotto la dominazione egiziana tra il XVI e il XIII secolo e successivamente, dopo il VI secolo, degli assiri, dei babilonesi e dell’impero persiano. Nel 333-32 a.C. vennero conquistate da Alessandro Magno. Al dominio dei regni ellenistici pose fine la conquista romana nel 64 a.C. Prima della conquista araba nel VII secolo, era penetrato in Libano il cristianesimo e nel V secolo la comunità cristiana aveva preso il nome di “maronita” da San Marone. La penetrazione dei drusi nel Libano meridionale diede inizio ad aspri conflitti religiosi. I crociati occuparono nell’XI secolo le regioni costiere, ma nel XIII secolo il Libano venne riconquistato dai musulmani. Sotto la dominazione dei mamelucchi esso poté godere di un relativa autonomia, fino a che nel 1516 non venne inglobato nell’impero ottomano. Gli ottomani concessero a loro volta alle comunità etniche e religiose notevoli margini di autonomia. In tal modo potenti dinastie familiari, in particolare druse, acquistarono un vasto potere e in alcuni periodi misero in atto tentativi di costituire principati indipendenti. I conflitti etnico-religiosi degenerarono nel 1860, quando i drusi massacrarono i maroniti, così da indurre la Francia a intervenire nel 1861. Nel 1864 il governo della Porta concesse che a Beirut venisse costituito un governatorato dotato di larghe autonomie retto da un cristiano e sorretto da potenti famiglie della borghesia commerciale. Dopo la prima guerra mondiale la Società delle Nazioni affidò nel 1920 alla Francia, divenuta la potenza egemone nella regione, il mandato sul Libano. Questo nel 1926 ottenne una costituzione repubblicana. Nel 1936 venne stabilito che nel 1939 avrebbe ottenuto la piena indipendenza. Se non che l’accordo non fu ratificato dal parlamento francese. Dopo il crollo militare francese nel giugno del 1940 il Libano restò sotto il controllo delle forze del regime di Vichy, fino a che nell’estate del 1941 non venne occupato da truppe britanniche e della Francia Libera di de Gaulle. I gollisti nel 1943 proclamarono l’indipendenza del Libano. L’indipendenza divenne effettiva nel gennaio del 1945, ma venne definitivamente riconosciuta dalla Francia solo l’anno seguente. Entrato a far parte nel 1945 della Lega araba, il Libano partecipò, sia pure in maniera marginale, alla guerra del 1948 contro Israele. Sotto la presidenza di Camille Chamoun (1952-58) il governo tenne un orientamento decisamente filo-occidentale, con l’appoggio delle Falangi della destra cristiana libanese. Il paese andò incontro a una notevole prosperità. Nel 1958 l’opposizione a questa politica sfociò in un’insurrezione di matrice filoaraba e anti-israeliana che provocò l’intervento militare degli Stati Uniti. In quello stesso anno venne eletto presidente il generale Fuad Chehab, che cercò senza successo di fronteggiare le tensioni derivanti dalla rottura ormai netta degli equilibri tradizionali tra le diverse comunità etniche e religiose. Nel 1962 un tentato colpo di stato da parte di elementi militari favorevoli al riassorbimento del Libano in una “Grande Siria” fallì. Nel 1964 il potere passò a Charles Hélou. La guerra arabo-israeliana del 1967 mise in una difficile posizione il governo, che cercò una precaria via di uscita nell’appoggio politico ai paesi arabi coinvolti nel conflitto e nella neutralità militare. Se non che gli effetti di questa guerra cambiarono profondamente la vita libanese, specie dopo l’insediamento nel paese di una forte minoranza di profughi palestinesi, che costituirono basi terroristiche dirette contro Israele e si rafforzarono ulteriormente dopo che nel 1971 le truppe giordane avevano distrutto sanguinosamente le basi dei guerriglieri palestinesi in Giordania, provocando un nuovo afflusso di profughi in Libano. La politica di neutralità era così fallita. Succeduto nel 1970 a Chehab, Suleiman Franjieh tentò vanamente di mettere fuori combattimento le forze dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), per impedire le rappresaglie israeliane in Libano. La guerra arabo-israeliana del 1973 ebbe effetti dirompenti nel paese. Il Libano non partecipò al conflitto, ma diventò più che mai la base delle azioni militari dei palestinesi. Nel 1975-76 si giunse alla guerra civile tra la destra cristiana e la sinistra musulmana appoggiata dai palestinesi. Si ebbe allora, nel 1976, una doppia penetrazione dall’esterno: da una parte un corpo di spedizione siriano entrò nel paese, dall’altra forze israeliane si insediarono nel Libano meridionale. In queste condizioni la società libanese andò incontro al collasso. Una spedizione militare inviata dalle Nazioni Unite nel 1978 si dimostrò del tutto inefficace, tanto da ritirarsi pochi mesi dopo. Nel 1982 truppe israeliane penetrarono profondamente nel paese, così da determinare l’evacuazione di migliaia di guerriglieri palestinesi. In quello stesso anno l’assassinio di Bashir Gemayel, esponente delle Falangi cristiane, da poco eletto presidente, indusse i falangisti ad assalire i campi profughi palestinesi di Sabra e Schatila facendo strage di circa un migliaio di civili. Eletto presidente Amin Gemayel, fratello di Bashir, nel 1983 le Nazioni Unite inviarono una seconda spedizione che venne fatta oggetto di un gravissimo attentato terroristico il quale provocò la morte di oltre 300 soldati americani e francesi. I tentativi di giungere a un accordo tra il governo libanese, Israele e la Siria per il ritiro delle truppe straniere non riuscirono per il rifiuto dei siriani. Nel 1984 Israele ritirò gran parte del suo contingente militare. Intanto nel paese si ricostituirono basi di guerriglia palestinese, con la conseguenza che Beirut divenne un campo di battaglia. Il che indusse nel 1987 la Siria a occupare la capitale. Sopravvenne una situazione di caos politico segnata da conflitti endemici e dall’incapacità di costituire governi dotati di autorità. Una situazione, questa, che si protrasse nella prima metà degli anni Novanta, senza che il paese fosse in grado di ricostruire la propria sovranità, di darsi un ordine interno stabile e di sottrarsi alla determinante influenza siriana e alla pressione di Israele in costante allarme. La guerriglia anti-israeliana, dopo gli accordi raggiunti nel 1993-95 tra palestinesi e israeliani, fu condotta direttamente dall’ala estremista palestinese, che respinse questi accordi, e dalle forze filoiraniane degli Hezbollah. Dopo la crisi del governo guidato dal cristiano Omar Karami nel 1992, le elezioni, boicottate dai cristiani, furono vinte dagli Hezbollah e da altri gruppi di integralisti islamici sostenuti dai siriani. Nel 1994 il governo mise al bando il partito politico cristiano, e l’anno seguente fu costituito da Rafiq al-Hariri un altro governo filo-siriano, che si impegnò attivamente nella ricostruzione e nel rilancio economico del paese. I combattimenti tra gli Hezbollah e gli israeliani, intervenuti in forze nel 1996 nella “zona di sicurezza” nel Libano meridionale causando la morte di numerosi civili, indussero l’ONU a censurare Israele. Scontri sanguinosi continuarono negli anni seguenti. Nel 1998 fu eletto presidente il generale cristiano maronita Emile Lahoud, mentre a capo del governo fu chiamato Selim al-Hoss. Una svolta importante, che segnò un grande successo per gli Hezbollah e la Siria, avvenne nel 2000 con la decisione di Israele di ritirare le proprie forze dal Libano del sud, abbandonando a se stessa la milizia filoisraeliana. Le ostilità tra Israele e Hezbollah continuarono anche nei primi anni Duemila e andarono incontro a un’escalation nell’estate del 2006, quando, dopo l’assassinio dell’ex premier al-Hariri e il ritiro della presenza militare siriana, avvenuta in seguito alla cosiddetta “rivoluzione dei cedri”, Israele lanciò, in risposta ai continui attacchi degli Hezbollah, una controffensiva che costò numerose vittime e almeno un milione di profughi tra la popolazione civile libanese. Alla fine del mandato di Lahoud nel 2007 si aprì una grave crisi istituzionale che degenerò presto in scontri aperti tra i sostenitori del governo e i militanti Hezbollah guidati da Hassan Nasrallah. Grazie a una mediazione internazionale guidata dal Qatar, nel maggio del 2008 fu eletto presidente il generale Michel Suleiman, il quale incaricò Fuad Siniora di formare un nuovo governo di unità nazionale. Le elezioni parlamentari del giugno 2009, svoltesi in clima segnato da forti incertezze, videro la vittoria dell’Alleanza del 14 marzo, guidata da Saad al-Hariri, figlio di Rafiq, cui fu affidato il compito di formare un nuovo governo di unità nazionale. Nel gennaio del 2011 il governo presieduto da Saad al-Hariri cadde a causa del ritiro di undici ministri di Hezbollah. Najib Mikati divenne allora il nuovo premier, nonostante le manifestazioni dei sostenitori di Hariri, che attribuirono alla Siria e all’Iran di voler ristabilire la loro influenza nel paese favorendo gli Hezbollah di Mikati.