Giordania

Stato attuale dell’Asia occidentale.

  1. Il territorio giordano prima dell'indipendenza
  2. Lo Stato indipendente
1. Il territorio giordano prima dell'indipendenza

Corrispondente alla regione geografica della Transgiordania (proclamata indipendente dal mandato britannico nel 1946), retto in forma di monarchia costituzionale, confina a est con l’Iraq, a nord con la Siria, a nord-ovest con Israele e a sud con l’Arabia Saudita.


L’odierno regno hascemita di Giordania, fondato nel 1949, incorporava originariamente anche la regione della Cisgiordania, occupata all’epoca della prima guerra arabo-israeliana (1948-49) e perduta a seguito della sconfitta nel terzo conflitto arabo-israeliano del 1967. La storia della Giordania, che ha acquisito una sua propria fisionomia nel corso del XX secolo, coincide in gran parte con quella della Palestina, di cui rappresenta sostanzialmente l’estensione sudorientale in direzione dei deserti arabici siriani e iracheni.


Dopo aver fatto parte dei califfati arabi e dell’impero ottomano, verso la fine dell’Ottocento il territorio giordano fu assegnato al protettorato e quindi al mandato britannico; la Transgiordania fu eretta nel 1921 in emirato autonomo sotto il potere della dinastia hascemita dell’emiro Abd Allah ibn al-Husayn (Hussein). Il piccolo stato fece parte fin dall’inizio del complesso gioco diplomatico britannico, teso a creare zone di sicura comunicazione tra i maggiori protagonisti dello scacchiere mediorientale. A tale scopo fu fornito di un efficiente esercito, la Legione araba, e della costante assistenza britannica. Durante la seconda guerra mondiale l’emirato di Transgiordania fu a fianco degli Alleati e, nel 1944, partecipò alla conferenza di fondazione della Lega degli Stati arabi (istituita nel 1945 con Iraq, Libano, Arabia Saudita e Yemen) promossa dalla Gran Bretagna nel quadro del processo di decolonizzazione – ma col mantenimento della sua influenza – di tutto il settore mediorientale. La questione esplosiva dei rapporti tra arabi ed ebrei in Palestina impedì agli inglesi (già in difficoltà per l’intransigenza francese riguardo alla possibilità di una decolonizzazione concertata per tutto il Medio Oriente) di portare a termine il loro piano di fronte alla sempre più palese ingerenza degli USA, dettata dagli interessi ebraici ivi molto forte.

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2. Lo Stato indipendente

Nel 1948, ritiratesi le truppe britanniche dalla regione, ebbe inizio la guerra tra il neonato stato d’Israele e i palestinesi malamente sostenuti dagli eserciti dei principali stati arabi confinanti. La Transgiordania approfittò della situazione per annettersi la Cisgiordania, che dall’ONU era stata destinata ai palestinesi, ereditandone così anche il problema dei profughi e le tensioni politiche conseguenti. Nel frattempo la creazione dello stato israeliano, fornendo una base strategica per l’Occidente nel mondo arabo, modificò sostanzialmente – pur senza stravolgerlo del tutto data la sua costituzione conservatrice interna – il ruolo di alleato fidato fino ad allora interpretato dalla monarchia hascemita. Nel 1951 Abd Allah fu assassinato da nazionalisti palestinesi e il suo successore Talal abdicò nel 1952 in favore del figlio Hussein. Negli anni cinquanta questi cercò dapprima una soluzione alle richieste della popolazione palestinese, più numerosa, economicamente sviluppata e culturalmente più evoluta di quella giordana, al contrario essenzialmente legata alla tradizionale esistenza delle tribù beduine dell’interno. Nel 1953 egli licenziò Glubb Pascià, capo della Legione araba, denunciando inoltre il trattato di assistenza con l’Inghilterra. Tuttavia, nel 1957, dopo la seconda guerra arabo-israeliana e lo scacco dell’impresa anglo-francese nello stretto di Suez contro Nasser, temendo il crescendo di movimenti nazionalisti arabi e repubblicani, Hussein giocò la carta autoritaria tentando di inserirsi nell’alleanza con il re iracheno Faisal II, assassinato nel 1958, e chiedendo nello stesso anno l’impiego dei paracadutisti inglesi. Negli anni seguenti il sovrano hascemita adottò una tattica guardinga, tesa a mantenere l’alleanza con i paesi arabi più moderati e, nel contempo, a intrattenere contatti con quelli politicamente più radicali, come l’Egitto nasseriano. Costretto dall’opinione pubblica interna, guidata dai palestinesi, a intervenire nella terza guerra arabo-israeliana (la “guerra dei Sei giorni” del 1967), dalla quale uscì sconfitto e privato della Cisgiordania, Hussein si trovò alle prese con l’accresciuto problema dei profughi palestinesi che si riversavano nella Transgiordania creandovi, con la loro massa e capacità di mobilitazione politica intorno all’OLP, un vero e proprio potere alternativo imperniato sulla guerriglia armata. Nel 1970 i palestinesi furono attaccati frontalmente dall’esercito giordano, massacrati in gran parte ed espulsi in Siria e nel Libano (“Settembre nero”). Dopo tale “normalizzazione”, che isolò la Giordania nel consesso della Lega araba dominata dai paesi più sensibili alla causa palestinese, Hussein cercò di recuperare gradualmente in termini d’immagine, proseguendo su una linea politica moderata e conservatrice, ma al contempo inviando contingenti simbolici sulle alture del Golan, in occasione della quarta guerra arabo-israeliana (guerra del Kippur, 1973). Negli anni successi, nell’attesa di una soluzione della questione palestinese attraverso l’intervento dell’ONU, Hussein cercò di mediare tra USA, Israele, Egitto e Iraq, finendo per assumere talora una posizione controversa, come nel caso dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Dopo l’accordo tra Israele e l’OLP, che nel 1993 stabilì una procedura concertata di istituzione di uno stato palestinese nella striscia di Gaza e in Cisgiordania, nel 1994 anche la Giordania firmò un accordo con Israele per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, in base al quale fu restituita dagli israeliani parte dei territori conquistati nel 1967. Nel 1998 Hussein sostenne con determinazione i colloqui in corso tra l’OLP e Israele. Al tempo stesso, in vista della successione, egli depose il fratello Hassan da Principe della corona a favore del figlio Abd Allah, che, dopo la sua morte, avvenuta nel 1999, salì al trono. Proseguendo nella via politica intrapresa dal padre, quest’ultimo cercò di migliorare i rapporti con i vicini arabi e di rilanciare l’economia del paese. Nonostante tali sforzi, dovette far fronte a un crescente dissenso interno guidato dai militanti islamici, fortemente critici nei confronti della sua politica estera, giudicata troppo filoamericana. I risultati delle elezioni parlamentari del 2003, del 2007 e del 2010, che registrarono la vittoria di coalizioni pro-governative, furono oggetto di forti critiche da parte del Fronte d’azione islamica (IAF). Nei primi mesi del 2011, sull’onda delle proteste di massa che scossero l’intera area nordafricana e mediorientale, le opposizioni richiesero la rimozione del primo ministro, Samir Rifai. Per cercare di tenere sotto controllo la situazione, il re Abd Allah nominò Marouf al-Bakhit nuovo primo ministro, incaricandolo di avviare riforme politiche strutturali e di migliorare le condizioni di vita della popolazione. A fronte di nuove proteste, il re affidò a un comitato di dieci esperti l’incarico di progettare un pacchetto di riforme costituzionali, i cui primi emendamenti entrarono in vigore nell’autunno del 2011.
Nel frattempo il re Abd Allah allontanò al-Bakhit dalla guida del governo, sostituendolo con Awn Khasawneh, che fu a sua volta rimosso dall’incarico dopo soli cinque mesi. A seguito dell’introduzione di una nuova legge elettorale, nel gennaio 2013 furono indette elezioni anticipate, il cui risultato, favorevole ai partiti filogovernativi, fu duramente contestato dalle opposizioni. Nel 2012 il paese fu attraversato da forti tensioni sociali, alimentate dal malcontento economico e dall’arrivo in massa di rifugiati siriani.

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