Egitto

Stato attuale dell’Africa nordorientale.

  1. Le origini del nome
  2. Il periodo preistorico
  3. L’antico regno (3150-2150 a.C.)
  4. L’evoluzione della società e della religione egizia a partire dall’antico regno
  5. Il primo periodo intermedio (2150-1991 a.C.)
  6. Il medio regno (1991-1785 a.C.)
  7. Il secondo periodo intermedio (1785-1552)
  8. Il nuovo regno (1552-1069 a.C.)
  9. Il terzo periodo intermedio (1069-322 a.C.)
  10. La dinastia tolemaica (323-30 a.C.)
  11. La dominazione romana e bizantina (30 a.C. – 642 d.C.)
  12. Il periodo musulmano (642-1805)
  13. Da Mehmet Alì all’occupazione britannica
  14. L’occupazione britannica
  15. L’Egitto di Nasser e Mubarak
  16. L'Egitto dopo la rivoluzione dei gelsomini e la primavera araba
1. Le origini del nome

Il termine “Egitto” deriva da Hut-ka-Ptah (sacrario del Ka di Ptah) con cui gli egizi designavano, verso la metà del II millennio a.C., la città di Menfi e la zona circostante. Il nome, divenuto a Babilonia Hikuptah e a Creta Aikupitizo, venne reso dai greci in Aigyptos. Gli egizi chiamarono la loro terra Kemet (la nera), distinguendola dalla circostante regione inospitale detta Deshert (la rossa). Distinguevano inoltre fra Basso Egitto, dal Mediterraneo sino al parallelo di Menfi (poco a sud dell’attuale Il Cairo), e Alto Egitto, sino alla prima cateratta del Nilo (presso l’attuale Assuan), nella zona confinante con la Nubia (nell’attuale Sudan).

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2. Il periodo preistorico

I più antichi insediamenti si possono far risalire al primo paleolitico, ma è nel neolitico che la popolazione, prima dispersa sul territorio, cominciò a riunirsi in comunità più o meno grandi e omogenee per razza e cultura. L’età del rame e del bronzo iniziò per l’Egitto nel 3000 a.C. Fra il 1700 e il 1500 comparvero utensili in metallo, soprattutto di rame e di bronzo. La tecnologia della lavorazione del ferro giunse relativamente tardi: i primi oggetti furono importati in Egitto dopo il 1500, e solo dopo il 1000 comparvero utensili e armi. Capanne di fango raggruppate in villaggi caratterizzarono l’organizzazione sociale di questo periodo, la cui economia era basata sulla coltivazione dei cereali e sulla lavorazione del lino e della lana. L’addomesticamento e la specializzazione del lavoro contraddistinsero il neolitico, durante il quale si assistette al graduale passaggio dalla comunicazione orale alle prime forme di scrittura. Fu nel periodo pre-dinastico (prima del 3000) che apparvero in Egitto i totem, raffiguranti prevalentemente animali ed espressione delle singole comunità, che vennero poi progressivamente meno – in parallelo all’unificazione politica – riducendosi alla funzione di emblemi delle città o delle province, mentre si andavano affermando singole divinità locali. L’aspetto di queste divinità era molto vario (umano, animale o ibrido, maschile o femminile), e il pantheon egizio contava più di tremila divinità. Quattro furono le teogonie basilari: quella di Eliopoli, secondo cui il dio solare Atum aveva creato se stesso; quella di Ermopoli, per cui il dio locale Thot aveva creato altri otto dei; quella di Menfi, secondo cui il dio locale Ptah era emerso dal caos; e infine quella per cui Osiride aveva insegnato agli uomini a coltivare i campi. La religione egizia non subì particolari influenze straniere, ma fu soggetta a una costante evoluzione. Anche la struttura statale si andò evolvendo nella storia dell’antico Egitto attraverso un generale processo di aggregazione: a partire dalla coesione politica di più centri abitati nell’ambito di zone geograficamente circoscritte, si giunse alla costituzione, probabilmente sin dal secondo neolitico, dei due regni dell’Alto e del Basso Egitto. Successivamente il Basso Egitto, politicamente più evoluto, incorporò l’Alto Egitto. I due regni, dopo essersi nuovamente separati, tornarono a riunirsi alle soglie dell’epoca storica: a ciò li condusse la necessità di affidare a un potere politico centrale la regolazione delle piene del Nilo. Fu allora il regno dell’Alto Egitto, più forte e organizzato di quello settentrionale (Basso Egitto) a realizzare il processo di unificazione, dando così inizio all’epoca faraonica.

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3. L’antico regno (3150-2150 a.C.)

All’inizio dell’antico regno l’Egitto era politicamente unito, anche se permaneva la suddivisione amministrativa tra Alto e Basso Egitto. La fase tinita (I e II dinastia) ebbe come capitale Thinis (nell’Alto Egitto). Il sovrano, autorità assoluta che dominava e dirigeva il paese, portava la doppia corona, bianca dell’Alto Egitto (simbolizzato dal fiore di loto e con la rappresentazione del dio Seth e della dea Nekhbit) e rossa del Basso Egitto (simbolizzato dal papiro e con raffigurato il dio Horus e la dea Uto). Il primo sovrano fu probabilmente Menes. L’amministrazione era già molto progredita: il re (che a partire dalla XVIII dinastia si sarebbe chiamato faraone) era detentore del potere assoluto, di natura divina. Dapprima considerato figlio di un dio per poi essere ritenuto egli stesso una divinità, incarnazione di Horus, il faraone amministrava il paese attraverso un governo di corte. Il territorio era suddiviso in province (nomos), con a capo nomarchi di nomina reale, visitate tre volte all’anno da ispettori reali. Il re era assistito nell’amministrazione da un thati (o vizir) e ai suoi ordini erano posti diversi enti amministrativi, ognuno articolato in uffici differenziati guidati da funzionari sottoposti al vizir. La giustizia era amministrata autonomamente da un Tribunale supremo, o “Corte grande”, da tribunali provinciali e infine da tribunali di villaggio. Sino alla XXVI dinastia non vi furono monete, ma la loro funzione era assolta da una unità di conto, il Deben. Per quanto concerne l’istruzione, accanto alle botteghe artigianali e ai grandi laboratori reali che istruivano i giovani nelle arti e nei mestieri, esistevano scuole inferiori solitamente private (diffuse in tutto il paese) e superiori reali (di cui alcune gestite dai sacerdoti dei templi) che, oltre a insegnare a leggere, scrivere e a far di conto, impartivano lezioni di letteratura, matematica e medicina. Una scuola di palazzo, curata personalmente dal sovrano e frequentata dai prìncipi reali e dai figli dei notabili, aveva come scopo l’insegnamento per coloro che avrebbero ricoperto le alte cariche dello stato. La vita economica era incentrata sull’agricoltura e per il suo miglioramento vennero scavati canali di irrigazione; si procedette regolarmente al censimento della popolazione, mentre si diffondevano la scrittura e il sistema numerico decimale. Durante l’antico regno vennero instaurati rapporti commerciali con i libici e i nubiani e fu raggiunto il Sinai, ricco di miniere di rame. Mentre del periodo tinita si ricorda l’opera di organizzazione statale compiuta dal faraone Khasekem, vissuto all’incirca nel 2700 a.C., del periodo menfita (compreso fra la III e la VI dinastia) va ricordato il sovrano Dhoser (III dinastia), sotto il cui regno probabilmente operò il grande architetto Imhotep che progettò le prime grandi piramidi in pietra e probabilmente ideò il calendario egizio. Sempre durante il regno di Dhoser la capitale venne trasferita da Thinis a Menfi. Intorno al 2600, sotto il regno di Snefru, fondatore della IV dinastia, vennero organizzate spedizioni finalizzate all’approvvigionamento di materie prime in Nubia. Fra i suoi successori, Cheope, Chefren e Micerino sono da ricordarsi per le testimonianze artistiche che lasciarono, e in particolare per i grandi monumenti di el Giza (presso Menfi) che portano il loro nome. A partire dalla IV dinastia furono scavati canali derivati dal Nilo, sia per l’irrigazione sia per il trasporto dei pesanti materiali necessari alla costruzione delle piramidi, e aumentarono gli insediamenti urbani, mentre il potere regio si consolidò ulteriormente grazie al controllo della proprietà dei terreni coltivati e al monopolio dello sfruttamento delle cave, delle miniere e del commercio. L’espansione commerciale ebbe il suo culmine con Sahure, faraone della V dinastia heliopolitana, che riuscì a raggiungere per via marittima il Levante (le coste della Fenicia) e la terra di Punt (la Somalia) e stabilì contatti con Creta. Alla VI dinastia appartenne il faraone Teti (2460 circa) artefice di una politica di pacificazione e di organizzazione politica proseguita poi sotto Pepi I, che guadagnò all’autorità legale anche le zone desertiche infestate dai predoni del deserto. I successori di Pepi I, Merenra e Pepi II, organizzarono sistematici interventi sul Nilo, per renderlo navigabile soprattutto nella zona della prima cateratta presso Assuan. Per via fluviale giungevano infatti la maggior parte delle materie prime provenienti dalle miniere, che a partire da questo periodo vennero sfruttate con regolarità.

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4. L’evoluzione della società e della religione egizia a partire dall’antico regno

In una organizzazione politica fortemente gerarchizzata, con una struttura sociale di tipo piramidale al cui vertice era posta la figura divina del faraone e nella quale i valori guida erano rappresentati dalla fedeltà e dall’obbedienza al sovrano, la religione svolgeva una essenziale funzione di coesione. Il dio, creatore e signore dell’uomo, interveniva in suo aiuto ma esigeva in vita una condotta morale che sarebbe poi stata giudicata dopo la morte. La vita ultraterrena, la cui credenza è testimoniata già dai reperti del periodo pre-dinastico, era affidata alla bontà degli dei e del sovrano e alla conservazione del corpo. Nelle tombe, dapprima rudimentali fosse nella sabbia, poi costruzioni in pietra sempre più complesse sino alla mastaba, alla piramide e alle tombe ipogee, venivano riposti oggetti, suppellettili e statue del defunto, oltre al cibo necessario al viaggio nell’oltretomba. Il cadavere veniva mummificato e deposto in un sarcofago (una cassa doppia o tripla riccamente decorata). Nei pressi della tomba vi era il luogo di culto e delle offerte, punto di incontro fra il defunto e i viventi. In alcuni casi i luoghi di culto si trasformarono in grandi templi officiati da sacerdoti. Parallelamente si elaborarono credi religiosi nell’aldilà, testimoniati dai Testi delle Piramidi, dai Testi dei Sarcofagi e dal Libro dei Morti. Le pratiche magiche durante l’antico regno furono rare (si diffusero solo nelle fasi di maggiore incertezza politica, come durante il primo periodo intermedio e soprattutto in epoca relativamente tarda, nel periodo tolemaico). Il culto divino comportava innanzitutto la presentazione delle offerte (in genere alimentari) da parte del re o, in sua rappresentanza, da parte di un sacerdote, entrambi ritenuti intermediari fra il dio e il popolo. Anche all’interno del nucleo familiare – cellula costitutiva della società egizia in cui alla donna era affidato un importante ruolo per molti aspetti sconosciuto alle civiltà del Vicino Oriente – la vita religiosa assumeva un ruolo dominante e al capofamiglia era attribuito il compito di fare offerte agli dei e agli antenati per ottenere il loro favore. Annualmente si svolgevano processioni pubbliche tra un tempio e l’altro e periodicamente si officiavano funzioni sacre o “misteri”. Progressivamente la religione influì sulla stessa struttura organizzativa dello stato: alle figure dei vizir e dei funzionari, che dominavano una moltitudine indistinta di contadini e schiavi, si venne affiancando la casta sacerdotale. Nel nuovo regno i grandi santuari ebbero un primo sacerdote assistito da numerosi coadiutori, musici e coristi; il potere del clero crebbe poi sino alla XVIII e XIX dinastia, quando le cariche religiose vennero spesso trasmesse ereditariamente.

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5. Il primo periodo intermedio (2150-1991 a.C.)

Il lento ma sistematico trasferimento di poteri dall’autorità centrale (il sovrano) a quelle periferiche (nomarchi) diede origine a una sorta di “feudalesimo” e al conseguente decentramento del potere, com’è testimoniato anche dai monumenti dell’Alto Egitto. Si registrò allora una crisi anche di carattere ideologico, che mise in discussione la concezione totalizzante del faraone come vertice dell’organizzazione sociale. In questo periodo scoppiò a Menfi una violenta rivolta sociale che giunse alla profanazione delle piramidi, mentre il Delta veniva percorso da nomadi orientali. La vita economica subì fortissime ripercussioni che investirono la stessa struttura sociale: alle frequenti carestie e alla perdita di potere dell’amministrazione centrale si associò un processo di consolidamento del potere da parte dei principi di Eracleopoli della IX e X dinastia, con il conseguente indebolimento della posizione dei sovrani menfiti. I prìncipi di Eracleopoli tentarono di annettersi l’Alto Egitto lottando contro i principi di Tebe (dell’XI dinastia coeva). Questi ultimi alla fine, grazie all’opera di Mentuhotep I e di Mentuhotep II, appartenenti all’XI dinastia tebana, risultarono vincitori e riuscirono a riunificare il paese. Nonostante le lotte che caratterizzarono il periodo, proseguirono – soprattutto con Mentuhotep III – le opere di canalizzazione del Nilo e la costruzione di piste commerciali attraverso il deserto.

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6. Il medio regno (1991-1785 a.C.)

Dopo l’unificazione dell’Egitto, per opera dei sovrani tebani dell’XI dinastia, una grandiosa opera di riorganizzazione dello stato fu intrapresa dagli esponenti della XII dinastia, in particolare da Amenemhat I (1991-62) e da Sesostri I (1962-28). I principi locali furono allora progressivamente esautorati a favore dei presidi delle province, nominati dal sovrano. La capitale Tebe accrebbe la propria influenza e si diffuse il culto di Ammone (e in seguito di Ra, divinità del Basso Egitto). Oltre all’opera di bonifica dell’oasi del Fayyum sotto Sesostri II (1895-78) e all’apertura di nuove miniere di rame nel Sinai, durante il medio regno fu portata a termine una vittoriosa spedizione militare in Nubia, che permise lo sfruttamento delle miniere d’oro di Uadi Allaki. Lo sviluppo economico, testimoniato dagli intensi scambi commerciali con Creta, permise il consolidamento dell’influenza egizia sul Levante e determinò il sorgere di una forte classe media di commercianti, artigiani e piccoli proprietari. Il rafforzamento dell’autorità centrale e la riorganizzazione amministrativa portò al consolidamento dei confini del regno con la costruzione del “Muro del principe” a est, presso Suez, e di varie fortezze in prossimità della Nubia. Tebe rimase la capitale del regno, ma i sovrani della XII dinastia preferirono risiedere a Lisht, presso l’oasi del Fayyum, in cui vollero che fossero eretti i loro sepolcri a piramide. Con Sesostri III (1878-42) e il suo successore Amenemhat III (1842-1797) il processo di consolidamento dell’unità del regno venne portato a compimento attraverso una riorganizzazione amministrativa che comportò l’abolizione dei nomoi e la creazione di tre grandi province.

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7. Il secondo periodo intermedio (1785-1552)

Il periodo di stabilità rappresentato dal medio regno non durò a lungo e il processo di dissoluzione ebbe inizio già con l’apparire della XIII dinastia del sud e della XIV coeva del nord, in concomitanza con l’indebolimento del potere regio a vantaggio delle autorità periferiche, allora rappresentate dai presidi delle tre province (Basso Egitto, Alto Egitto e Nubia). La crisi segnò la fine del controllo egizio sulle terre del Levante e sulla Nubia, dove si venne organizzando il regno di Kush (nell’attuale Sudan), e favorì l’infiltrazione in Egitto degli hyksos, già da tempo presenti nelle ricche terre del Delta. Tra il 1730 e il 1720 gli hyksos si erano insediati nella città di Avaris (Tell ed-Daba’), nel Delta orientale, e verso il 1675 erano divenuti padroni di tutto l’Egitto, dal Mediterraneo sino all’altezza di Gebelein a sud. I sovrani della XIII e della XIV dinastia furono probabilmente ridotti a vassalli dei sovrani hyksos (XV e XVI dinastia): questi ultimi erano riusciti a imporsi anche grazie all’acquisizione dei sistemi di governo tipicamente egizi e governarono sino al 1600 circa, quando i principi di Tebe si ribellarono e diedero corso a una guerra di liberazione contro gli hyksos e il regno nubiano di Kush che si concluse con la vittoria del faraone Kames della XVII dinastia tebana.

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8. Il nuovo regno (1552-1069 a.C.)

La cacciata degli hyksos segnò l’inizio del periodo di maggiore splendore della storia della civiltà egizia. Il capostipite della XVIII dinastia, Ahmes I (1552-42), giunto intorno al 1550 alla definitiva vittoria sugli hyksos, diede corso alla creazione di un impero attraverso la riaffermazione dell’egemonia dell’Egitto nelle due tradizionali direzioni di espansione, conquistando il Levante meridionale e conducendo tre campagne militari in Nubia. Anche i successori di Ahmes proseguirono la sua politica espansionistica: Amenofi I (1526-1506) proseguì nel processo di riorganizzazione politica, intervenne in Nubia e contro i libici; così fece anche Thutmosi I (1506-1493), che raggiunse la terza cateratta del Nilo e, nel Levante, affermò l’egemonia egizia sino all’Eufrate. A testimonianza della nuova potenza raggiunta dall’Egitto del nuovo regno si ebbe una ripresa della grande architettura monumentale, con il grandioso tempio funerario della regina Hatshepsut (1478-58) a Deir el-Bahri, a ovest di Tebe. Con il successore Thutmosi III (1458-25) l’Egitto raggiunse la sua massima espansione territoriale: dall’Eufrate alla quarta cateratta del Nilo. I suoi successori mostrarono meno energia e interesse verso l’esterno preferendo, dopo lo scontro con il regno di Mitanni (Amenofi II), consolidare la pace (Thutmosi IV) e garantire all’Egitto, soprattutto sotto Amenofi III (1390-52), un periodo di sviluppo di cui ci restano molteplici testimonianze architettoniche. Il regno del suo successore Amenofi IV (1352-38), detto anche “il faraone eretico”, e della sua sposa Nefertiti fu caratterizzato da una contrastata riforma religiosa in senso monoteistico. La condanna del culto di Amon, il dio solare di Tebe, e l’esaltazione di Aton, in onore del quale Amenofi costruì una nuova capitale che chiamò Akhet-Aton (presso l’attuale Tell el Amarna) determinò la dura opposizione della potente casta sacerdotale. Il periodo del regno di Amenofi IV segnò una netta cesura anche in ambito culturale e artistico. La lingua parlata (il neoegizio) fu allora elevata a lingua dei documenti ufficiali. L’innovazione religiosa ebbe tuttavia breve vita e sotto il regno di Tutankhamon (1336-27) si ebbe il ritorno agli antichi culti. A Tutankhamon succedette Horemheb, che presto rivelò non solo capacità militari ma anche notevoli doti politiche. Oltre a una profonda riorganizzazione amministrativa dello stato, a Horemheb (1323-1295) si devono importanti opere architettoniche (a Menfi, Karnak e Heliopolis) e il ripristino del culto di Amon. Con la morte di Horemheb si concluse la XVIII dinastia. Il periodo della XIX dinastia, fondata da Ramesse I (1295-94), fu contraddistinto dal predominio del potere militare e religioso, mentre le frontiere venivano minacciate dagli hittiti (a oriente), dai libici (a Occidente) e dai popoli del mare lungo le coste. Il successore di Ramesse I, Sethi I (1294-79) intervenne nel Levante contro tribù nomadi beduine sostenute dagli hittiti e contro le tribù libiche. Con Ramesse II (1279-12) l’Egitto raggiunse l’apogeo della propria potenza militare ed economica. Egli riuscì a consolidare il proprio potere all’interno sino a presentarsi come dio, mentre in politica estera, dopo aver riconquistato il Levante meridionale, affrontò il re degli hittiti Muwatalli nella battaglia di Qadesh (1274 circa), che comportò il riconoscimento dell’egemonia egizia sul Mediterraneo orientale. In seguito Ramesse II stipulò un trattato di pace con gli hittiti, trasferì la capitale da Tebe ad Avaris, sul Delta orientale, che ribattezzò Per-Ramesse, e rafforzò il confine orientale e occidentale. Con Merenptah (1212-1202) gli egizi intervennero ancora contro i libici, in Asia e contro i popoli del mare (solo Ramesse III, durante la XX dinastia, riuscì a ricacciare per sempre questi ultimi e a sconfiggere definitivamente i libici). Dopo Ramesse III (1186-54) ebbe inizio un lungo periodo di decadenza con la trasformazione delle cariche di nomina regia in ereditarie e l’ulteriore crescita della potenza e della ricchezza dei sacerdoti dei templi, che possedevano estesissimi appezzamenti di terreno, una flotta commerciale e persino una polizia armata. Il primo sacerdote di Amon assumeva in quella fase la carica di vizir, di prefetto di Tebe e, in alcuni casi, anche quella di viceré di Nubia.

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9. Il terzo periodo intermedio (1069-322 a.C.)

Dalla XXI alla XXX dinastia l’Egitto conobbe una fase di decadenza e di dominazione straniera (seppur inframmezzata da periodi di risveglio nazionale) cui fece da contrappunto, nella sfera religiosa, il prevalere di forme di misticismo e superstizione. Durante la XXI dinastia fu importante l’opera compiuta dai sacerdoti di Amon per ripristinare il culto tradizionale. Sheshonk I (945-24), della XXII dinastia, intervenne in Palestina contro Israele e giunse a occupare Gerusalemme nel 925 circa; già il suo successore Osorkon I (924-889) perse tuttavia il controllo del regno di Giuda e fallì nel tentativo di riconquistare l’Alto Egitto (dove gli egizi vennero sconfitti e respinti dagli etiopi). Bocchoris, della XXIV dinastia, intervenne nel Levante contro gli assiri, ma venne respinto e morì poi in battaglia contro il re nubiano Shabaka, che aveva occupato il Delta. La XXV dinastia etiopica fu costituita da sovrani di origine nubiana ma del tutto egizianizzati come Piankhi che a partire dalla capitale Napata, in Nubia, tentò di estendere il suo dominio dal Basso verso l’Alto Egitto, giungendo a prendere Menfi. Si trattò comunque, nel complesso, di un periodo di grave crisi politica, in cui per due volte l’Egitto fu invaso dagli assiri. Il faraone Taharka (690-64), dopo aver sconfitto gli assiri ad Ascalona nel 674, tre anni più tardi fu costretto da essi alla fuga in Nubia. Solo grazie all’alleanza di Psammetico I, fondatore della XXVI dinastia, con gli stessi assiri, i nubiani vennero respinti al sud. Il regno di Psammetico I (664-10) segnò l’inizio di una fase di temporanea rinascita culturale (scandita dall’incremento dei commerci con il Mediterraneo orientale). Con Nekao II (610-595), vennero stretti legami con gli assiri e furono cacciati i babilonesi oltre i confini. Secondo la tradizione fu durante il suo regno che ebbe luogo la circumnavigazione dell’Africa. Apries (589-70) fallì nel tentativo di conquista della Palestina per l’intervento di Nabucodonosor II (il re babilonese contro cui si era già scontrato Nekao II) che prese Gerusalemme nel 587. Dopo il lungo regno di Amasis (570-26), che aveva sconfitto e ucciso Apries nel 570 circa, la fine della dinastia fu provocata dalla disfatta subita da Psammetico III (526-25) da parte dei persiani di Cambise II a Pelusio (525 a.C.): il paese venne occupato e ridotto a satrapia e Cambise fu considerato l’iniziatore della XXVII dinastia (persiana). Si chiudeva così con la perdita della propria indipendenza la fase più importante della vicenda politica dell’Egitto faraonico, che non sarebbe più riuscito ad assurgere alla potenza di cui aveva goduto nel suo recente passato. Nel 490 a.C., dopo la battaglia di Maratona, una rivolta egizia liberò per breve tempo il paese, che venne però rioccupato da Serse. Amirteo (404-399), unico rappresentante della XXVIII dinastia, seppe sfruttare la debolezza della corte persiana dopo la morte di Dario II e poté godere di una relativa autonomia politica. Sotto la XXIX dinastia lo scontro con i persiani divenne sempre più aspro. La XXX dinastia, anche grazie alle vittorie di Nectanebo I (380-62) contro persiani e greci, poté regnare sino al 343 a.C., quando Nectanebo II (360-43) fu sconfitto dai persiani di Artaserse III. Ebbe così inizio la seconda dominazione persiana, di breve durata, che si concluse con la vittoria di Alessandro Magno sui persiani a Isso (333 a.C.). Dal 332 al 323 a.C. l’Egitto fu governato da Alessandro sotto forma di satrapia: venne allora fondata Alessandria, che sarebbe divenuta la capitale dei Tolomei, un nodo commerciale di primaria importanza e il principale centro di propulsione culturale dell’ellenismo.

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10. La dinastia tolemaica (323-30 a.C.)

Alla morte di Alessandro Magno l’Egitto fu assegnato a Tolomeo I, che, intorno alla fine del IV secolo a.C., si assicurò definitivamente il controllo del paese. Ebbe così inizio la dinastia dei Tolomei o dei Lagidi, che per tre secoli resse il paese attraverso una monarchia assoluta che si richiamava alla tradizione faraonica, adattandola però alle nuove esigenze di una società caratterizzata dalla duplice presenza dell’elemento greco e di quello macedone. Tolomeo, come i suoi successori, assunse la veste di faraone e divenne al tempo stesso una figura contraddistinta da sacralità religiosa, secondo la tradizione indigena, e la massima autorità militare, acclamata dall’esercito, secondo il costume macedone. In tutto il periodo tolemaico vennero mantenuti i culti religiosi tradizionali e, con alcune modifiche, la struttura amministrativa precedente. Il paese continuò a essere diviso in Alto e Basso Egitto, ma la prima zona (corrispondente alla Tebaide) più soggetta a ribellioni, fu in un secondo tempo posta sotto un unico governatore, l’epistratego, scelto fra i più stretti collaboratori del sovrano. Il resto del territorio mantenne invece la tradizionale divisione in nomoi, a capo dei quali fu però posto uno stratego greco con compiti civili e militari, mentre al nomarco indigeno fu affidata la riscossione delle imposte. Il greco fu eretto a lingua ufficiale (solo alcuni atti pubblici furono bilingui, come la Pietra di Rosetta con il Decreto di Canopo) e per tutto il periodo la classe dirigente del paese fu greca. Successore di Tolomeo fu il figlio Tolomeo II Filadelfo, che ampliò i confini del regno combattendo in Cirenaica e in Siria. Fu durante il regno di Tolomeo II che visse il sacerdote e scriba reale Manetone, a cui si deve la partizione dinastica e la suddivisione cronologica classica dell’Egitto faraonico, fondamento per molti secoli della tradizione storiografica egizia. La guerra in Siria fu ripresa da Tolomeo III, che dovette sedare una grave rivolta in Alto Egitto. La situazione di grave incertezza politica proseguì sotto i regni di Tolomeo IV e Tolomeo V, quando si ripeterono ancora frequenti sommosse. Sotto il regno di Tolomeo VI, in guerra con la Siria, si ebbe il primo intervento dei romani nella politica dei Lagidi (168 a.C.). Da quel momento l’influenza di Roma sulle scelte del regno crebbe costantemente, mentre si acuivano le lotte familiari e gli intrighi di corte, che del resto erano sempre stati una costante della dinastia ellenistica. Con Cleopatra VII Filopatore una serie di drammatici avvenimenti – le ripercussioni della lotta per il potere in Roma fra Cesare e Pompeo, l’assassinio di quest’ultimo ad Alessandria nel 48 a.C., l’influenza di Marco Antonio su Cleopatra e l’azione decisiva di Ottaviano (Augusto) – l’Egitto perse la sua indipendenza e divenne una provincia romana.

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11. La dominazione romana e bizantina (30 a.C. – 642 d.C.)

Dopo la battaglia di Azio (31 a.C.) Ottaviano entrò in Alessandria (30 a.C.) e, dopo il suicidio della regina Cleopatra, accettò le insegne e gli attributi dei faraoni, considerandosi loro successore. L’Egitto non fu ridotto al rango di provincia romana, ma fu ritenuto da Augusto e dai suoi successori un possesso personale dell’imperatore, che ne affidava l’amministrazione a suoi legati – in primo luogo il prefetto d’Alessandria e d’Egitto – tratti dall’ordine equestre. La sostituzione della classe dirigente greca con quella romana si attuò nel segno della continuità: i romani ripresero infatti i metodi di governo, di amministrazione e di sfruttamento economico instaurati dai Lagidi e mantennero la tradizionale divisione della popolazione in vere e proprie caste. Il greco rimase la lingua ufficiale e la dracma continuò a essere la moneta di conto, mentre si intensificarono gli scambi con l’Oriente e risultò ulteriormente accresciuto il ruolo commerciale di Alessandria. Con la crisi dell’impero romano, verso la fine del IV secolo il paese entrò a far parte dell’impero d’Oriente. Il cristianesimo nel frattempo, a partire dal III secolo, si era diffuso fra la comunità ebraica, dando origine alle forme peculiari dell’anacoretismo e del monachesimo cenobitico, suggerendo l’approfondimento religioso dello stesso pensiero neoplatonico pagano e offrendo lo spunto per l’elaborazione di sintesi originali quali quella di Origene. Divenuta maggioritaria nel paese, nel IV secolo la nuova religione espresse, in ambito alessandrino, l’eresia ariana, condannata nel concilio di Nicea (325) ma ancora largamente diffusa per più di un cinquantennio, fino alla sua condanna definitiva da parte del concilio di Costantinopoli nel 381 (arianesimo). Nel periodo bizantino l’Egitto decadde a una posizione relativamente marginale nel quadro dell’impero, soprattutto per lo spostamento dell’asse economico verso i porti siriani, mentre il potere politico, nominalmente dell’imperatore, venne sempre più esercitato dal patriarca di Alessandria, in forza del grandissimo prestigio acquisito nell’ambito della cristianità. Nel V secolo le aspre dispute teologiche intorno alla natura di Cristo videro ancora una volta in primo piano l’Egitto e il patriarcato di Alessandria che, in polemica con Costantinopoli, si fece assertore del monofisismo. La condanna di questa dottrina pronunciata dal concilio di Calcedonia (451) significò un ridimensionamento della posizione del patriarcato e della teologia alessandrina, ma determinò al tempo stesso – per il rifiuto dei vescovi e dei cristiani dell’Egitto di attenersi alle decisioni conciliari – il sorgere di una chiesa nazionale copta. Vani si rivelarono tutti i tentativi di riportare l’unità in seno al cristianesimo ricorrendo a soluzioni di compromesso (come nel caso dell’Henotikòn emanato da Zenone) o all’imposizione dell’ortodossia (come cercò di fare agli inizi del VII secolo Eraclio): la chiesa copta mantenne il suo carattere di chiesa nazionale fino a quando il suo ruolo non venne drasticamente ridimensionato dall’espansione dell’islam.

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12. Il periodo musulmano (642-1805)

La conquista araba dell’Egitto, facilitata dall’ostilità dei copti al potere bizantino, si concluse nell’arco di tre anni: invaso a partire dal 639 dal generale Amn ibn al-As, luogotenente di Omar, il paese capitolò nel 642, dopo la caduta di Alessandria. Da allora per due secoli le sue vicende furono strettamente legate a quelle del mondo arabo. Sottomesso ai califfi omayyadi e poi abbasidi, il paese conobbe subito un grandissimo numero di conversioni, tanto che verso il 750 i cristiani erano solo un quarto della popolazione. Gli arabi lasciarono sussistere l’organizzazione burocratico-amministrativa precedente. Rivolte copte e arabe scoppiarono nel IX secolo, in concomitanza con la crisi del potere abbaside e l’emergere di spinte centrifughe incarnate dai diversi governatori locali. Dall’868 al 905 l’Egitto venne quindi retto dalla dinastia di origine turca dei Tulunidi, per essere poi brevemente riconquistato dagli Abbasidi (905-935) prima di passare ai Fatimidi, che lo ressero dal 969 al 1171. I Fatimidi, appartenenti alla setta sciita ismailita, nel loro rigore religioso miravano a rovesciare il califfato abbaside per restaurare la vera fede, e proprio in funzione di questo disegno egemonico sul mondo islamico fecero dell’Egitto il centro dei propri interessi economici e culturali, oltre che del loro potere. Venne fondata Il Cairo, che divenne sede del califfato fatimida, il cui dominio si estese sulla Sicilia e sull’Africa settentrionale fra la Tunisia e il Mar Rosso, nonché sulla Siria e sulla Palestina. Una serie di fattori interni ed esterni determinò tuttavia la rapida erosione della potenza fatimida, che alla fine dell’XI secolo era ormai ridotta a poco più del solo possesso dell’Egitto, del quale perse poi il controllo reale. Mentre l’Occidente cristiano sferrava la sua offensiva contro il mondo islamico (una spedizione di crociati giunse alle porte del Cairo nel 1167) il paese passò sotto il controllo dei Selgiuchidi. Saladino, sunnita, nel 1171 dichiarò decaduta la dinastia fatimida e costituì un vasto impero personale esteso dalla Siria alla Mesopotamia all’Arabia, nell’ambito del quale l’Egitto ebbe ancora un ruolo importante. I suoi successori, gli Ayyubidi, si logorarono in una serie di lotte intestine e nel tentativo di opporsi ai crociati. Nel 1250 l’ultima rappresentante della dinastia in Egitto, Sagiar ad Dur, sposò il comandante delle truppe mamelucche stanziate nel paese, Izz ad-Din Aybak, che venne proclamato sultano: ebbe così inizio la nuova dinastia dei Mamelucchi (da mamluk, ovvero schiavo di razza bianca), che governarono l’Egitto dal 1250 al 1517. La carica di sultano, in un primo tempo ereditaria, dalla fine del XIV secolo assunse carattere elettivo. Scelti fra i generali più eminenti, i sultani erano a capo dell’amministrazione civile e militare di un paese che conservava le fondamentali strutture dell’epoca ayyubita e che vedeva la netta separazione fra la minoranza turca e il resto della popolazione. Fermata l’avanzata dei mongoli di Gengis Khan e di Hulagu (che nel 1258 avevano occupato Baghdad) e respinti i crociati dalla Terrasanta, i Mamelucchi riunirono nuovamente la Siria all’Egitto e promossero una politica mecenatistica, che fece dell’Egitto il centro della civiltà araba. Nel XIV secolo il paese fu un importante mercato di scambio fra i prodotti orientali (soprattutto le spezie) e quelli europei; dagli inizi del XV secolo incominciò invece la sua decadenza, aggravata dalla conquista dell’India da parte dei portoghesi (che monopolizzarono il commercio delle spezie) e dalla distruzione della flotta egiziana del Mar Rosso. Parallelamente alla crisi dei Mamelucchi si affermò il potere degli Ottomani che, sotto il comando di Selim I (1512-20), si annetterono l’Egitto nel 1517: il paese divenne allora una provincia dell’impero ottomano sotto il diretto controllo di Costantinopoli. Suddiviso in distretti (sangiaccati), l’Egitto fu affidato a un governatore circondato da bey ottomani e mamelucchi riuniti nel divan. Fino alla fine del XVI secolo il paese fu caratterizzato da un sistema fiscale e amministrativo che ne consentì un notevole sviluppo economico. Quando però, dal 1671, il progressivo indebolimento del potere ottomano permise la riaffermazione dei Mamelucchi, l’Egitto fu gravato da un pesante fiscalismo che provocò la crisi dell’agricoltura, la principale ricchezza del paese, e determinò frequenti ribellioni. Dal 1744 ebbe inizio un periodo di lotte sanguinose, proseguite nonostante le numerose spedizioni turche nel paese. Dopo il 1779 i Mamelucchi diedero inizio a un aperto scontro con l’impero ottomano, costringendo quest’ultimo a inviare, nel 1785, una spedizione che non riuscì però a normalizzare definitivamente il paese. In una situazione di incertezza e di malgoverno si giunse, nel 1798, allo sbarco in Egitto di Napoleone.

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13. Da Mehmet Alì all’occupazione britannica

Nel 1801, dopo la cacciata dei francesi a opera degli inglesi alleati con gli Ottomani, lo stato passò nuovamente sotto il potere turco e la sua amministrazione venne affidata a un governatore. Già nel 1805 tuttavia il vicegovernatore Mehmet Alì con un colpo di stato si impadronì del potere e fece trucidare i Mamelucchi al Cairo (marzo 1811). Richiamandosi agli antichi faraoni, Mehmet Alì si dichiarò allora padrone di tutte le terre egiziane, dalle quali mosse poi alla conquista del Sudan (1820-22). Dapprima solerte collaboratore del sultano (che gli garantiva grande autonomia in Egitto) Mehmet Alì inviò contingenti egiziani in aiuto delle forze ottomane durante l’insurrezione greca; in seguito tuttavia si volse contro gli stessi Ottomani e occupò la Siria (1831-32), suscitando le reazioni della Russia e dell’Inghilterra. L’intervento inglese nel 1840 costrinse Mehmet Alì ad abbandonare la Siria e tutti i territori conquistati, in cambio del riconoscimento ottomano della ereditarietà del suo possesso dell’Egitto e del Sudan: la dipendenza del paese dall’impero ottomano risultava quindi ormai meramente formale. Nel periodo successivo Mehmet Alì seppe unire a un governo fortemente autoritario una vasta opera riformatrice con la promozione dell’istruzione, la riorganizzazione dell’esercito e il potenziamento dell’economia (soprattutto dell’agricoltura). Alla morte di Mehmet Alì nel 1849 ebbe inizio il processo che, parallelamente all’indebolirsi del potere ottomano, vide una sempre maggiore ingerenza degli stati europei nel continente africano. Proprio grazie ai consistenti aiuti stranieri gli anni di governo di Abbas I (1848-54), di Mohammed Said (1854-63) e di Ismail (1863-79) furono caratterizzati da un notevole processo di modernizzazione – sotto Ismail, che nel 1867 ottenne dagli ottomani il titolo di khedivé, venne inaugurato nel 1869 il canale di Suez – ma si fece al tempo stesso più pressante l’ingerenza francese e inglese nella vita politica del paese. Dopo che Ismail venne deposto, lo sostituì il figlio Tawfiq, favorevole alla collaborazione con francesi e inglesi. Seguì nel 1882 una fase di rivolte xenofobe guidate da Arabi Pascià, che dapprima divenne ministro e poi s’impadronì del potere: ciò determinò l’intervento inglese che occupò l’Egitto e riaffidò il governo a Tawfiq nel settembre del 1882.

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14. L’occupazione britannica

Ancora sottoposto al controllo ottomano ma di fatto governato dagli inglesi, l’Egitto conobbe, grazie al console generale lord Cromer, un’ampia modernizzazione in ambito economico, amministrativo e militare. Dopo il trattato di Costantinopoli (1888) fu affidato all’esercito egiziano (sotto controllo inglese) la difesa del canale di Suez. L’egemonia inglese sull’Egitto venne riconosciuta dalla Francia nel 1904. Il successore di Tawfiq, il khedivé Abbas II Hilmi (1892-1914), anche sulla spinta del rinascente nazionalismo, tentò di rendersi indipendente dal controllo inglese, provocando così nel 1914 la sua deposizione e la proclamazione del regime di protettorato sull’Egitto. Venne allora proclamato sultano Husayn Kamil, che rimase al potere sino all’ottobre del 1917, quando gli succedette Ahmed Fuad (Fuad I). Nell’immediato dopoguerra riprese vigore il movimento nazionalista, guidato da Sad Zaghlul Pascià: questi, dopo aver fondato il Wafd (Partito dell’indipendenza), riuscì a ottenere il riconoscimento dell’indipendenza del paese, proclamata il 28 febbraio 1922. In realtà la presenza dell’esercito inglese continuò a influenzare fortemente la politica egiziana anche dopo la promulgazione della costituzione nel 1923. La vittoria elettorale dei nazionalisti del Wafd nel 1924 inaugurò un periodo di aperta conflittualità fra questi ultimi e il sovrano, tanto che nel 1930 Fuad I impose la modifica della costituzione e della legge elettorale con il chiaro intento di estromettere il Wafd. La conseguente sconfitta dei nazionalisti alle elezioni del 1931, vinte dal Partito del popolo, filogovernativo, aprì una fase di duri contrasti interni. Alla morte di Fuad I, gli succedette Faruk (1936-52): si aprì allora una fase di maggiore distensione nella politica interna, soprattutto dopo che il Wafd ottenne il ritorno alla costituzione del 1923. Le elezioni politiche del 1936 segnarono la vittoria trionfale del Wafd guidato da Nahas Pascià: questi poté formare il nuovo governo e ottenere la firma del trattato anglo-egiziano che stabiliva la partenza delle truppe inglesi (a eccezione della zona del canale di Suez) e il mantenimento della duplice presenza anglo-egiziana in Sudan. Successivamente però Nahas non riuscì a evitare lo scontro con la corona e il frazionamento del partito: furono queste le ragioni che condussero il Wafd alla sconfitta elettorale del 1938. Allo scoppio della seconda guerra mondiale l’Egitto fu coinvolto, per gli accordi anglo-egiziani del 1936, nelle operazioni militari inglesi. Dopo aver dichiarato l’Egitto paese non belligerante, nel 1942 – quando il territorio egiziano era minacciato dall’invasione italo-tedesca guidata da Rommel – Faruk fu costretto a richiamare al governo Nahas Pascià, divenuto sostenitore della politica di collaborazione militare e politica con gli inglesi (che già nell’ottobre di quell’anno diedero inizio alla controffensiva con la vittoria di el Alamein). Nel secondo dopoguerra l’Egitto fu tra i fondatori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e della Lega araba, nell’ambito della quale assunse una posizione di primo piano. In questo periodo si sviluppò un forte sentimento nazionalista che stabilì come principale obiettivo politico la revisione del trattato anglo-egiziano del 1936.

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15. L’Egitto di Nasser e Mubarak

La progressiva crescita della consapevolezza dell’identità araba, legata anche alla fondazione dello stato di Israele (1948), ebbe una grave battuta d’arresto dopo la disastrosa sconfitta subita nel primo conflitto arabo-israeliano (1948-49). Costretto a concludere per primo l’armistizio nel febbraio 1949, l’Egitto fu percorso da un clima di crescenti tensioni che culminarono nel 1952 con il colpo di stato militare guidato dal generale Nagib e dal colonnello Nasser. Deposto Faruk, nel 1953 il generale Nagib proclamò la repubblica di cui divenne presidente. Dopo l’emarginazione di Nagib, dal 1954 Nasser divenne l’unico ispiratore della politica egiziana, indirizzandola verso un programma di intransigente nazionalismo. In campo internazionale egli volle liberare il paese dal controllo britannico (il ritiro delle truppe inglesi venne ultimato nel 1956) e al rifiuto di qualsiasi ingerenza delle potenze occidentali nell’area mediorientale corrispose una politica estera marcatamente filoaraba. Nel 1955 l’Egitto firmò l’alleanza con la Siria e l’Arabia Saudita, e fra il 1958 e il 1961 diede vita, insieme alla Siria, alla Repubblica Araba Unita (RAU), di cui divenne presidente lo stesso Nasser. La questione del Sudan venne risolta con il riconoscimento dell’indipendenza sudanese (1956). In quello stesso anno tuttavia si ebbe la “crisi di Suez”, dovuta al progressivo inasprimento del contenzioso arabo-israeliano e al parallelo deterioramento dei rapporti fra l’Egitto e l’Occidente. La decisione di Nasser di nazionalizzare la Compagnia internazionale del canale di Suez (luglio 1956) per assicurare all’Egitto il reperimento dei capitali necessari alla costruzione della diga di Assuan spinse infatti Francia e Gran Bretagna a sollecitare un intervento armato di Israele contro l’Egitto che si realizzò fra l’ottobre e il novembre dello stesso anno con il diretto sostegno dell’aviazione anglo-francese. L’ultimatum sovietico, la condanna pronunciata dall’ONU dell’azione israeliana e la presa di distanza degli Stati Uniti dall’azione anglo-francese tramutarono però la secca sconfitta militare egiziana in un consolidamento politico del regime nasseriano. L’Egitto di Nasser assunse così un ruolo di leadership fra i paesi arabi. Pur avvalendosi a più riprese di consistenti aiuti economici e militari sovietici, l’Egitto nasseriano mantenne una posizione di neutralità fra i due blocchi e fu uno dei principali fautori della politica del non allineamento. In ambito interno la costituzione del 1956 diede al paese un assetto repubblicano di tipo presidenziale a regime monocamerale, poi modificato nel 1964 dall’introduzione di un’Assemblea nazionale, che non modificava comunque il sistema del monopartitismo incentrato sull’Unione socialista araba. Venne poi avviata una forma di programmazione economica e sociale che portò a un pesante interventismo statale e alla nazionalizzazione di vasti settori del commercio e dell’industria, mentre riceveva nuovo impulso la riforma agraria. Nel 1967 la chiusura decretata da Nasser del golfo di Aqaba alle navi israeliane scatenò un nuovo conflitto con lo stato ebraico, la “guerra dei Sei giorni”, che, iniziata il 5 giugno, si concluse con una disfatta per le forze armate egiziane: l’Egitto perdette il Sinai e la striscia di Gaza. L’opera di ricostruzione del paese promossa dallo stesso Nasser comportò una parziale revisione della sua politica: all’interno venne incentivata l’iniziativa privata e furono ristrutturate le forze armate, mentre in ambito internazionale Nasser accettò, nel 1970, il “piano Rogers” per una soluzione pacifica del conflitto. Dopo la morte di Nasser (1970), il potere passò al vicepresidente Sadat, che si impose esautorando la corrente di sinistra dell’Unione socialista araba. Al venir meno dei rapporti di collaborazione con l’Unione Sovietica fece seguito un progressivo irrigidimento delle posizioni anti-israeliane, sino allo scoppio della quarta guerra (del Kippur) contro lo stato ebraico nel 1973. Dopo i successi iniziali delle forze arabe il conflitto si risolse con la diretta minaccia israeliana sul Cairo, ma l’abile propaganda interna egiziana e soprattutto il mutato atteggiamento degli Stati Uniti permisero al presidente Sadat, rieletto nel 1976, di gestire da una posizione paritaria le trattative postbelliche e di imprimere una svolta radicale alla politica estera egiziana, portando il paese su posizioni più moderate. Dopo un lunga fase di trattative gli accordi di Camp David (1978) e il trattato di Washington (1979) sancirono – nonostante l’opposizione del mondo arabo – la pace con Israele a condizione del ritiro delle forze ebraiche dal Sinai, mentre dal 1975 era stato riaperto il canale di Suez. La conferenza araba riunita a Baghdad decretò allora la sospensione delle relazioni diplomatiche con il Cairo oltre a pesanti sanzioni economiche. L’autoritarismo del regime di Sadat e le dure reazioni degli altri stati arabi determinarono l’isolamento del paese e, nonostante l’approvazione plebiscitaria del trattato di pace, il formarsi di sacche di resistenza e di focolai di tensione al suo interno fomentati dal fondamentalismo islamico. Ad aggravare la situazione si aggiunse una condizione di ristagno economico che fece da contraltare alle speranze di decollo connesse alla pace, l’intensificarsi delle misure repressive e il rafforzamento, soprattutto nel corso del 1981, dei legami militari con gli Stati Uniti. La crescente impopolarità della politica interna ed estera di Sadat fu alle radici dell’attentato che provocò la morte del presidente il 6 ottobre 1981. Il suo successore Mubarak, pur senza compromettere i rapporti dell’Egitto con gli Stati Uniti e l’Occidente, si sforzò di ricomporre la rottura con i paesi arabi e di giungere a una normalizzazione delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica riprendendo la posizione di non allineamento. La riconciliazione con l’OLP nel dicembre 1983, la riammissione all’Organizzazione della conferenza islamica nell’aprile 1984 e alla Lega araba durante il vertice di Casablanca del 1989 furono i momenti più significativi di questo processo, che ripropose l’Egitto come leader dei paesi arabi moderati. All’interno le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea del popolo tenutesi nel 1984, nel 1987 (queste ultime duramente contestate e poi annullate) e nel 1990 confermarono la maggioranza assoluta al partito di Mubarak, anche se gli integralisti rafforzarono la propria posizione. A partire dal 1987 si registrò un miglioramento della situazione economica e si attenuarono le tensioni sociali. Nel 1990-91, dopo l’invasione irachena del Kuwait e lo scoppio della guerra del Golfo, l’Egitto assunse un atteggiamento di netta condanna dell’azione irachena e di sostegno alla politica delle sanzioni e dell’embargo contro l’Iraq. La diretta partecipazione alle operazioni militari, non disgiunte però da un’intensa attività diplomatica per la soluzione negoziata del conflitto, furono chiaramente ispirati al tentativo di riaffermare la leadership del paese sul mondo arabo. Nel 1992 gruppi di fondamentalisti islamici, intesi a fare dell’Egitto un paese islamico integralista, condussero numerose azioni terroristiche, che ebbero tra l’altro l’effetto di far diminuire fortemente l’afflusso turistico, con grave danno economico. Il più grave atto di terrorismo fu compiuto nel 1997 nei pressi di Luxor con la morte di 62 turisti. Il governo rispose con una vasta azione repressiva, introducendo la detenzione preventiva e facendo giustiziare 29 militanti fondamentalisti. Nel 1993, nel 1999 e nel 2005 Mubarak fu riconfermato alla presidenza, nonostante le crescenti contestazioni da parte delle opposizioni. Alle elezioni parlamentari del 1995, del 2000, del 2005 e del 2010 il Partito nazionale democratico del presidente si riconfermò costantemente al potere. Nei primi anni Duemila le grandi disparità economiche e sociali contribuirono a rendere sempre più tese le relazioni tra musulmani e cristiani copti.

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16. L'Egitto dopo la rivoluzione dei gelsomini e la primavera araba

Nel gennaio del 2011, in concomitanza con la cosiddetta “rivoluzione dei gelsomini” che portò alla destituzione del presidente tunisino Ben Ali, anche in Egitto si scatenò un’ondata di manifestazioni popolari contro il regime di Mubarak, la repressione politica, la corruzione e la povertà, che nelle principali città del paese degenerò presto in violenti scontri con le forze di polizia e i sostenitori del regime. In risposta allo scatenamento delle violenze Mubarak reagì dapprima dichiarando di rinunciare alla propria candidatura per le successive elezioni presidenziali e poi incaricando Omar Suleiman, ex capo dei servizi segreti, di avviare le trattative con le forze d’opposizione guidate da Mohamed ElBaradei. Nonostante le iniziali resistenze, Mubarak fu infine costretto a dimettersi, lasciando il governo nelle mani di una giunta militare guidata dal ministro della difesa Mohamed Hussein Tantawi, che incaricò Essam Sharaf di formare un governo di transizione e di emendare la costituzione, favorendo così la transizione verso la democrazia.


Anche dopo l’approvazione degli emendamenti costituzionali e l’arresto di Mubarak, la situazione politica restò tuttavia fortemente instabile a causa delle permanenti tensioni, che sul finire del 2011 degenerarono in violenti scontri di piazza, tra le forze d’opposizione democratica e il Consiglio Supremo delle Forze Armate, di fatto, al potere dopo l’esautoramento di Mubarak.
Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 si svolsero le prime elezioni parlamentari del dopo Mubarak, che registrarono la netta affermazione dei gruppi islamisti e, in particolare, del Partito della libertà e della giustizia, direttamente riconducibile all’organizzazione dei Fratelli musulmani. Nelle successive elezioni presidenziali si affermò Mohammed Morsi, leader del Partito della libertà e della giustizia. A giugno, tuttavia, col proposito di evitare che gli islamisti prendessero il controllo sia del potere legislativo sia di quello esecutivo, la Suprema corte costituzionale invalidò i risultati elettorali del 2011 e richiese lo scioglimento dell’Assemblea nazionale. Tale controversa decisione, che molti giudicarono alla stregua di un colpo di Stato, fu seguita da un altrettanto controverso provvedimento costituzionale del Consiglio supremo delle forze armate, con cui furono limitati i poteri del presidente. Il provvedimento scatenò la reazione di Morsi che si affrettò a revocarlo, aprendo un vero e proprio scontro in seno ai poteri dello Stato. Nel frattempo anche il processo di elaborazione della nuova costituzione fu soggetto alla contrapposizione tra la maggioranza islamista dell’Assemblea costituente e le fazioni liberali e laiche. A causa dei reiterati tentativi da parte della magistratura di sciogliere l’Assemblea costituente dominata dagli islamisti, nel novembre 2012 Morsi presentò un provvedimento con cui restrinse le competenze del potere giudiziario. Il nuovo provvedimento, recepito come tentativo di assumere poteri dittatoriali, scatenò nuove proteste di massa. A dicembre dello stesso anno fu indetto un referendum per l’approvazione della costituzione e, in risposta ai continui scontri tra fazioni contrapposte, fu reintrodotta la legge marziale. In un clima di persistente tensione, la nuova costituzione fu approvata a fine mese.

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