preistoria

  1. Nozioni di preistoria e di protostoria
  2. La preistoria come scienza
  3. Fonti
  4. L’ambiente naturale
  5. Cronologia
  6. Apporti antropici
  7. Industrie
  8. Sedi
  9. Altre evidenze
  10. Suddivisioni
1. Nozioni di preistoria e di protostoria

La preistoria si propone lo studio delle vicende dell’umanità nelle età per le quali non si possiedono documenti scritti. Più precisamente la preistoria indaga i problemi connessi con la comparsa dell’uomo, con la sua evoluzione biologica e culturale e con la sua diffusione sulla terra, fino alla comparsa delle civiltà urbane. In senso stretto si usa il termine “preistoria” per indicare lo studio delle età più antiche che scandiscono i tempi preistorici: archeolitico, paleolitico, mesolitico, neolitico, età del rame. Nel Vicino e Medio Oriente e in Egitto l’età del bronzo corrisponde all’inizio della storia, mentre in Europa l’età del ferro segna l’inizio della “protostoria”, periodo caratterizzato da modificazioni significative dell’organizzazione sociale e dell’economia, per il cui studio la metodologia propria della preistoria è affiancata dall’analisi di fonti scritte indirette (quali, ad esempio, le notizie riportate da storici greci, relative a popoli che nel I millennio a.C. sarebbero migrati in Italia) e talora sorretta dalla presenza, tra la documentazione archeologica, di oggetti di importazione ben databili, in quanto provenienti da popoli ormai entrati nella storia. Lo studio delle popolazioni primitive attuali e subattuali, le cui condizioni di vita sono simili a quelle delle popolazioni preistoriche (o lo sono state fino a pochi decenni fa), spetta invece all’etnologia.

Top

2. La preistoria come scienza

Lo studio della preistoria iniziò nel XIX secolo, quando nel mondo scientifico si affermò la nozione dell’alta antichità dell’uomo e si cominciò ad ammettere, sotto l’influenza delle teorie evoluzionistiche, la possibilità che forme umane differenti da quella vivente potessero averla preceduta nel tempo. Cominciò la ricerca delle tracce lasciate dall’uomo dei tempi preistorici, mutuando metodi e criteri di indagine dalla paleontologia stratigrafica: osservando cioè le successioni di strati sovrapposti, determinandone il contenuto archeologico e paleontologico, e cercando di stabilire (attraverso la correlazione di strati con contenuti simili) una sequenza cronologica. Negli ultimi decenni del secolo si affermò così un modello interpretativo secondo il quale l’aspetto fisico dell’uomo e la sua cultura sarebbero evoluti parallelamente, secondo un processo pressoché uniforme in tutto l’ecumene: i primi ominidi furono accostati alle industrie a bifacciali del paleolitico inferiore, i neandertaliani (Homo sapiens neanderthalensis) alle industrie su scheggia del paleolitico medio, l’uomo moderno (Homo sapiens sapiens) alle industrie su lama del paleolitico superiore. La comparsa di oggetti di pietra levigata e della ceramica fu ritenuta espressione del neolitico, mentre la presenza di oggetti di metallo, associati a determinate forme ceramiche, fu considerata significativa delle età successive (età del rame, età del bronzo ed età del ferro). Dal presupposto teorico secondo il quale le forme dei manufatti erano mutate, sviluppando tipi sempre più complessi, nacque il metodo tipologico, illustrato sistematicamente da G. de Mortillet (1869, 1872): ogni stadio evolutivo fu individuato da singoli manufatti (o associazioni di manufatti) considerati come “fossili guida” (il bifacciale amigdaloide fu considerato il fossile-guida dell’acheuleano, la punta e il raschiatoio del musteriano, il bulino busqué e il grattatoio carenato dell’aurignaziano, ecc.). A questa stessa concezione evoluzionistica si rifecero anche altri modelli evolutivi proposti per l’interpretazione della preistoria antica (paleolitico e mesolitico) nella prima metà del nostro secolo: evoluzione per linee parallele (H. Breuil, D. Peyrony), per lisi o per progressiva differenziazione di caratteri (A.C. Blanc), a cespuglio (F. Bordes). All’inizio del XX secolo, partendo da altri presupposti dottrinali, anche la scuola etnologica di Vienna influenzò lo studio della preistoria attraverso le opere di H. Obermaier, O. Menghin e M. Hoernes, interpretando le affinità tipologiche come espressione di migrazioni di gruppi umani o di processi di diffusione di idee. Una nuova prospettiva fu aperta dall’opera di V.G. Childe (1925) che sottolineò l’importanza dell’economia e la sua interdipendenza con gli altri aspetti delle culture archeologiche (industrie, abitati, riti funerari, culti, espressioni artistiche, ecc.) intese come unità spazio-temporali. In particolare V.G. Childe mise in evidenza il ruolo dell’economia nella “rivoluzione neolitica”. L’importanza dell’ambiente nel determinare i comportamenti umani, e quindi anche le culture della preistoria, fu illustrata nell’opera di J.G.D. Clark (1969); questo indirizzo si sviluppò negli studi paleoecologici, proseguiti dalla scuola di Cambridge. Tutte queste concezioni avevano tuttavia un denominatore comune: l’interpretazione in termini culturali delle associazioni di manufatti (litici, ceramici o metallici), riconosciute come entità tassonomiche (musteriano di tradizione acheuleana, aurignaziano, solutreano, castelnoviano, cultura dei vasi a bocca quadrata, ecc.): si riteneva che ogni entità tassonomica corrispondesse a un gruppo culturale. La new archaeology, corrente di pensiero suscitata dalle opere di L. Binford (1968), che stimolò i ricercatori a un’interpretazione più attenta e critica delle testimonianze archeologiche e a una lettura dei singoli ritrovamenti come elementi di insiemi o di sistemi più ampi, fondandosi su modelli desunti dall’etnologia, propose invece un’interpretazione delle associazioni di manufatti in termini funzionali: esse non sarebbero espressioni di etnie, ma soltanto di attività svolte nei siti (L. Binford, 1973). La differenziazione socioculturale si esprimerebbe piuttosto attraverso una differenziazione stilistica, che per le età più antiche (paleolitico, mesolitico) non sarebbe stata studiata adeguatamente. In realtà le attività svolte nei siti possono essere individuate soltanto mediante analisi appropriate quali esami delle tracce d’uso lasciate su manufatti litici o d’osso, delle tracce lasciate da manufatti su ossa di animali abbattuti, ecc. Sembra dunque che le caratteristiche delle industrie, derivanti dalla scelta delle materie prime, dalla tecnica di lavorazione e dalla morfologia dei manufatti siano condizionate prevalentemente da tradizioni culturali. Ciò non significa sostenere l’equivalenza tra unità tassonomiche definite sulla base delle industrie e culture della preistoria: l’approccio a queste ultime deve essere pluriaspettuale, deve cioè tener conto di tutti gli aspetti della cultura.

Top

3. Fonti

La fonte principale delle conoscenze è costituita dai risultati degli scavi dei siti che hanno conservato tracce di frequentazioni antropiche di età preistorica. Molti siti preistorici vengono scoperti casualmente, nel corso di lavori di sterro. Altri siti possono attirare l’attenzione del ricercatore per la loro morfologia (come i ripari sotto roccia frequentati nel paleolitico medio e superiore, o i tell del Vicino Oriente, piccole alture originate dalla sovrapposizione di livelli di occupazione antropica nel corso di millenni), o per la loro collocazione (come avviene per i campi mesolitici delle Alpi Orientali, posti costantemente attorno a piccoli laghi, su valichi o su pianori, entro una fascia altitudinale compresa tra 1900 e 2300 m di quota). L’individuazione e la delimitazione dei siti sono possibili, in altri casi, mediante il rilevamento di anomalie del terreno, dovute alla presenza di resti antropici: le alterazioni modificano la colorazione del terreno, l’intensità della vegetazione o altre caratteristiche visibili o rilevabili con tecniche appropriate (misure della resistività elettrica, dell’intensità del campo magnetico, della permeabilità, ecc.). Una volta individuato il sito, la sua delimitazione viene fatta (se necessario) mediante saggi di scavo opportunamente distribuiti. Lo scavo comporta necessariamente la demolizione dei depositi e pertanto tutto deve essere documentato. È essenziale anzitutto il riconoscimento della stratigrafia del giacimento: ogni unità o sottounità viene riconosciuta e definita attraverso caratteristiche macroscopiche, che si riferiscono sia ai sedimenti sia al loro contenuto paleontologico o archeologico. Di ogni reperto viene rilevata la provenienza stratigrafica e la posizione topografica; i reperti più piccoli vengono raccolti grazie alla setacciatura e al lavaggio dei sedimenti. Le osservazioni fatte nel corso dello scavo, relative alla geometria dei depositi, ai fenomeni di alterazione, alla presenza di reperti vegetali, animali, antropici costituiscono la base dello studio del giacimento. Esso si sviluppa poi con le analisi sedimentologiche e pedologiche dei campioni di terreno, con la determinazione dei pollini e dei macroresti vegetali, col riconoscimento dei resti degli organismi animali e con lo studio degli apporti antropici.

Top

4. L’ambiente naturale

La formazione dei depositi può essere dovuta a vari fenomeni del mondo fisico (apporti alluvionali, eolici, detritici, ecc.) o biologico (vegetali e animali vissuti nel sito oppure trasportati nel sito da altri animali). Di particolare interesse per lo studio della preistoria sono gli apporti dovuti all’uomo. Lo studio interdisciplinare dei primi è rivolto soprattutto alla ricostruzione dell’ambiente naturale. I terreni sono presi in esame da geomorfologi, sedimentologi e pedologi, che cercano di stabilire la provenienza dei materiali e la natura del mezzo che li ha messi in posto. I pollini, isolati con particolari tecniche, sono determinati dai palinologi, che propongono delle ricostruzioni dei paesaggi vegetali. I macroresti vegetali sono spesso di apporto antropico: si tratta di frustoli carboniosi, che rappresentano i residui dei fuochi accesi nel sito, e molto raramente di oggetti di legno o di fibre vegetali, conservatisi solo in condizioni particolarmente favorevoli (depositi limosi e torbosi, o desertici). I resti animali vengono presi in esame da paleontologi specializzati nello studio di determinati gruppi di organismi. Si tratta solitamente di molluschi terrestri vissuti nei siti (che riflettono il paesaggio circostante), di molluschi marini portati dall’uomo (per cibarsene, o anche per utilizzarli come ornamenti), di piccoli mammiferi, rettili e uccelli che rappresentano i rigetti dei rapaci (anch’essi significativi dell’ambiente circostante il sito), di uccelli vissuti sul posto o cacciati dall’uomo, di mammiferi di media o grossa taglia, di solito preda dall’uomo. Le indicazioni più precise, per la ricostruzione dell’ambiente fisico e biologico dell’area circostante il sito, sono offerte dagli organismi vegetali e animali più strettamente legati all’ambiente e quindi maggiormente sensibili alle variazioni climatiche: in una serie stratigrafica le variazioni delle loro frequenze sono significative delle modificazioni ambientali e dunque dell’evoluzione del clima. La ricostruzione dell’ambiente è fondamentale per lo studio delle età più antiche (paleolitico, mesolitico), quando l’uomo si comportava come un predatore, praticando un’economia di caccia e di raccolta: la sua vita era fortemente condizionata dalle risorse offerte dal territorio che egli poteva sfruttare. Altrettanto importante è lo studio dell’ambiente nell’età in cui sorgono e si affermano le attività produttive (neolitico), per comprendere i motivi che hanno spinto gruppi di cacciatori a praticare l’allevamento degli animali e gruppi di raccoglitori a praticare l’agricoltura, e le modalità con le quali la grande trasformazione economica si è realizzata, e nelle età successive, nella misura in cui le condizioni e le risorse ambientali hanno influenzato le scelte dell’uomo (collocazione degli abitati, economia, difesa, ecc.).

Top

5. Cronologia

Le associazioni floristiche e faunistiche e le industrie prodotte dall’uomo costituiscono la base per l’attribuzione di un’età ai siti preistorici, in riferimento alla cronologia del quaternario. Accanto ai metodi di cronologia relativa si sono sviluppati metodi di cronologia che adottano la medesima scala astronomica dei tempi adottata da noi, detta correntemente cronologia assoluta. Al metodo delle varve (G. de Geer, 1878) che si basa sul conteggio degli straterelli di sedimenti formatisi annualmente nelle regioni periglaciali negli ultimi 15.000 anni, si sono aggiunti la dendrocronologia, che si fonda sul conteggio delle cerchia di accrescimento annuali degli alberi negli ultimi 10.000 anni, e quindi i metodi fondati su fenomeni fisici. Per determinare l’età dei depositi antropici degli ultimi 40.000 anni è solitamente utilizzato il metodo del carbonio (W. Libby, 1947) che si basa sulla determinazione del rapporto tra carbonio radioattivo e carbonio non radioattivo in un campione di sostanza organica (frustoli di carbone, collagene delle ossa, ecc.) proveniente dal deposito: il rapporto, stabile finché l’organismo vive, si modifica in conseguenza del fenomeno di decadimento delle sostanze radioattive a cominciare dal momento della morte dell’organismo. Altri metodi si fondano su fenomeni analoghi, ma hanno diversi campi di applicazione: il metodo del potassio-argon, che consente di determinare l’età di rocce eruttive (in aree vulcaniche spesso intercalate a depositi antropici) di età superiore a 700.000 anni; il metodo dell’uranio-torio, col quale possono essere datate croste stalagmitiche e altri carbonati fino a 350.000 anni. La termoluminescenza e la risonanza paramagnetica elettronica – che sfruttano il fenomeno di progressivo accumulo di elettroni in “cavità” dei cristalli, fino a saturazione, per effetto della radioattività naturale – possono essere applicate a materiali che sono stati esposti a fonti di calore che hanno liberato gli elettroni intrappolati, determinando così l’inizio di un nuovo processo di accumulo: ceramiche (esposte al calore durante la cottura), selci e altre rocce esposte all’azione del fuoco, ecc., fino a età di 300.000-500.000 anni. Altri metodi sono ancora in uno stadio sperimentale.

Top

6. Apporti antropici

Ogni sito preistorico si è formato nel corso di una o più fasi successive di occupazione, ciascuna delle quali è rappresentata da un insieme di apporti e di tracce dovute all’intervento dell’uomo. Nei siti occupati stabilmente per tempi lunghi, o rioccupati ripetutamente a distanza di brevi intervalli, è spesso difficile distinguere quanto è riferibile a ciascuna fase di occupazione; tale distinzione è invece possibile, sulla base delle osservazioni stratigrafiche, quando i depositi corrispondenti a episodi di occupazione antropica si alternano a depositi “sterili”, oppure quando abitati di diversa età sono documentati nel medesimo strato ma su aree diverse (“stratigrafia orizzontale”). L’intervento antropico si manifesta nelle industrie (intese come l’insieme di manufatti dei quali l’uomo si è servito per procurarsi o per confezionare il cibo, per fabbricare altri manufatti, per difendersi, e per altre necessità), nei resti di pasto, nelle strutture d’abitato e nelle evidenze archeologiche che esprimono la sua spiritualità.

Top

7. Industrie

Un primo campo di indagine riguarda le industrie. Gran parte degli strumenti di uso comune e delle armi delle società preistoriche era fabbricata con materiali facilmente deperibili, come legno, fibre vegetali, mastice: questi materiali si sono conservati soltanto in condizioni eccezionalmente favorevoli quali depositi torbosi o desertici. Le età più antiche (paleolitico inferiore, paleolitico medio) sono documentate quasi esclusivamente da industrie litiche; il paleolitico superiore e il mesolitico da industrie litiche e su materie dure animali (osso, corno, avorio); il neolitico da queste e dalla ceramica. Nell’età del rame, nell’età del bronzo e nell’età del ferro alle industrie litiche, su materie dure animali e ceramiche, si aggiungono i manufatti metallici. Nel corso dei tempi preistorici le industrie si sono modificate, con ritmo progressivamente più accelerato, e perciò sono state considerate come i migliori indicatori cronologici e culturali. Sono stati riconosciuti e ricreati sperimentalmente i processi di fabbricazione dei manufatti (scheggiatura della selce, elaborazione delle materie dure animali, produzione della ceramica, lavorazione dei metalli secondo varie tecniche); sono state definite le forme caratteristiche delle età e delle culture, e si è anche cercato di individuare, all’interno di insiemi omogenei, le strutture determinate dai rapporti intercorrenti tra le varie forme, espressi da indici di frequenza. In questo modo sono stati definiti i grandi complessi culturali della preistoria e sono state riconosciute le entità regionali nelle quali i complessi si articolano. Accanto a questo approccio culturale si è affermato anche un approccio funzionale, basato sull’esame microscopico delle tracce lasciate dalla loro utilizzazione sui manufatti (soprattutto litici e di materie dure animali) e sulla riproduzione sperimentale delle stesse tracce: i manufatti così analizzati suggeriscono le attività nelle quali furono impiegati.

Top

8. Sedi

Un secondo campo di ricerca riguarda le sedi. L’organizzazione dello spazio abitato è caratteristica del comportamento umano fin dalle origini; tale organizzazione è messa in evidenza dalle strutture, definite da A. Leroi-Gourhan (1976) come “insiemi di testimonianze collegate tra loro in modo significativo”. Si tratta di strutture evidenti (focolai, pavimentazioni, fosse, buche di palo, elementi di costruzioni, resti di pareti, ammassi di rifiuti, aree destinate ad attività particolari come officine litiche o forni per la cottura di oggetti di terracotta, sepolture, ecc.) o latenti, messe in luce cioè dal riconoscimento del rapporto intercorrente tra due o più reperti (ad esempio tra un nucleo di selce e i prodotti della scheggiatura ottenuti col suo sfruttamento, o tra un bulino e la lamella derivante dalla sua fabbricazione). L’esame delle strutture può suggerire l’effettiva contemporaneità tra le differenti aree di un sito e consentire quindi una ricostruzione dell’abitato. Più difficile invece l’individuazione dei sistemi formati dai siti occupati ciclicamente dai gruppi di cacciatori-raccoglitori della preistoria: tali sistemi possono essere suggeriti dall’identità dei materiali impiegati, da marcate affinità tipologiche, dall’accertamento della stagionalità dei siti, ecc. Altre informazioni sul modo di vita e sull’economia dei siti sono offerte dallo studio dei resti dei cibi vegetali e animali. Le tracce di cibi vegetali sono molto rare nelle età più antiche, e diventano relativamente più frequenti quando si sviluppano le attività agricole, dal neolitico in poi. Il loro studio, associato alle analisi dei pollini e degli altri resti vegetali, è indispensabile per studiare il passaggio dall’economia di raccolta all’economia di produzione. I resti degli animali consumati sono di solito frequenti; il loro studio comporta la determinazione delle specie, l’identificazione delle parti degli animali presenti nel sito, l’esame microscopico delle superfici ossee, per riconoscere le tracce lasciate dall’intervento dell’uomo (o di animali, come carnivori e roditori) e consente di riconoscere le strategie adottate dall’uomo per procurarsi il cibo (comportamenti opportunisti come lo sciacallaggio, caccia indifferenziata, caccia specializzata, controllo dei branchi di mammiferi di caccia, allevamento). Nelle società sorrette da un’economia di caccia, l’archeozoologia tende anche a stabilire la stagionalità della caccia (e conseguentemente dell’occupazione di un sito), a riconoscere le tecniche adottate per catturare o abbattere le prede (impiego di trappole o di armi, caccia individuale o di gruppo, ecc.) e le modalità di sfruttamento degli animali abbattuti (squartamento delle prede sul posto dell’abbattimento, trasporto delle parti più pregiate nell’accampamento, ecc.). Per quanto riguarda le economie miste, l’archeozoologia informa sul ruolo della caccia e dell’allevamento e sulle tecniche adottate per allevare gli animali.

Top

9. Altre evidenze

Un significato particolare, per la conoscenza della preistoria, hanno le evidenze archeologiche che non trovano una motivazione economica, e che pertanto vengono interpretate come espressioni della spiritualità dell’uomo. Si tratta della raccolta di oggetti strani o curiosi (minerali, fossili, meteoriti, ecc.), dell’uso di sostanze coloranti (impiegate oltre che nella produzione artistica e nelle sepolture, anche negli abitati) e di oggetti ornamentali, di sepolture intenzionali, delle manifestazioni artistiche e di altre evidenze interpretate come documentazioni di pratiche di culto. Alcuni ambienti particolari frequentati nella preistoria, come le caverne decorate nel paleolitico superiore, sono interpretati come luoghi di culto (“santuari”). Questa metodologia interdisciplinare ha permesso di acquisire le attuali conoscenze sulla preistoria. Per le età più antiche (per le quali nuove scoperte possono ancora cambiare le nostre concezioni) si tratta di dati puntuali, che nel loro insieme consentono di ricostruire solo le grandi linee della storia dell’umanità, dalle sue origini. Per le età più recenti i dati si infittiscono, e perciò il quadro d’insieme si fa più completo e più dettagliato.

Top

10. Suddivisioni

I ritrovamenti più antichi, che si collocano verso la fine del pliocene (tra 2,5 e 1,8 milioni di anni) e nel pleistocene inferiore (tra 1,8 e 0,7 milioni di anni) vengono riferiti all’archeolitico; alcuni autori preferiscono tuttavia riunirli coi ritrovamenti datati al pleistocene medio (700.000-120.000 anni dal presente) nel paleolitico inferiore. Le età più antiche coprono dunque tempi molto lunghi, nei quali si sono realizzati i processi evolutivi che hanno portato alla comparsa dell’uomo ed è iniziata la sua evoluzione biologica e culturale. Oggi la maggioranza dei paleontologi umani, in accordo coi genetisti, ritiene acquisita la nozione dell’origine monocentrica dell’uomo: i resti scheletrici degli ominidi più antichi (Australopithecus, Homo habilis, primi esemplari di Homo erectus) e le più antiche evidenze archeologiche (industrie litiche, strutture d’abitato e resti di pasto), che si collocano cronologicamente all’incirca tra 3 e 1,5 milioni di anni, sono concentrati nell’Africa orientale e meridionale (anche se qualche segnalazione di reperti asiatici molto antichi ha sollevato dei dubbi). Le industrie di questa età, chiamate olduvaiano, sono caratterizzate dalla lavorazione di ciottoli (choppers, chopping-tools) e da strumenti su scheggia. Dall’area originaria Homo erectus si diffuse nelle regioni temperate dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa. In Europa la più antica documentazione archeologica certa risale a circa 1 milione di anni fa. Al paleolitico inferiore vengono riferiti i complessi del pleistocene medio (700.00-120.000 anni dal presente), rappresentati soprattutto dall’acheuleano, caratterizzato dagli strumenti a lavorazione bifacciale. Le industrie litiche dell’acheuleano evolvono molto lentamente: le più antiche sono associate a schegge grossolane, ottenute con la tecnica di scheggiatura su incudine, mentre le più recenti sono caratterizzate da una particolare tecnica di produzione delle schegge (tecnica levalloisiana), che consente di ottenere prodotti di forma predeterminata mediante un’apposita preparazione dei nuclei. Le informazioni che possediamo circa queste età più antiche riguardano l’economia e le sedi. Secondo alcuni autori, nei tempi più antichi l’uomo avrebbe adottato, per procurarsi il cibo, una tattica opportunista, sfruttando i residui dei pasti dei carnivori (sciacallaggio), e solo più tardi avrebbe praticato la caccia. Un’acquisizione fondamentale, ben documentata archeologicamente, è la domesticazione del fuoco: le tracce più antiche si trovano in siti datati tra 400.000 e 200.000 anni; nei siti più recenti le strutture di combustione sono frequenti. Più incerta appare invece l’interpretazione delle strutture d’abitato, le più antiche delle quali risalgono a circa 1,7 milioni di anni: non è chiaro se si tratti di pavimentazioni, di recinti o addirittura di capanne, come sostengono alcuni autori. I complessi del paleolitico inferiore, diffusi in Africa, in Asia e in Europa, presentano un certo grado di uniformità tipologica. La loro evoluzione segue in gran parte dell’ecumene uno sviluppo simile, anche se non si può sostenere una sincronicità nelle varie regioni: complessi a choppers, chopping-tools e a schegge sono seguiti da complessi a bifacciali associati a schegge grossolane, di tecnica clactoniana, e quindi da complessi a bifacciali associati a schegge sottili, di forma predeterminata, ottenute con la tecnica levalloisiana. In Europa, nel Vicino e nel Medio Oriente il limite tra paleolitico inferiore e paleolitico medio corrisponde al limite geologico pleistocene medio – pleistocene superiore (attorno a 120.000 anni dal presente), alla comparsa di Homo sapiens neanderthalensis e allo sviluppo dei complessi musteriani: si tratta però di un limite che non è netto, perché in Europa i neandertaliani sono preceduti dai preneandertaliani, e perché le ricerche più recenti hanno messo in evidenza industrie musteriane già nel glaciale di Riss (ultimo glaciale del pleistocene medio). Secondo l’accezione più diffusa, il paleolitico medio corrisponde all’interglaciale riss-würmiano, al Würm antico, al I pleniglaciale würmiano e a parte dell’interpleniglaciale, cioè all’intervallo cronologico tra 120.000 e 40.000 anni dal presente. I complessi musteriani sviluppano tecniche e forme comparse già nell’età precedente: in particolare si perfeziona la tecnica di taglio bifacciale, colla quale vengono fabbricate (solo in alcune regioni) delle punte foliate bifacciali. In Europa l’uomo di Neandertal mostra di adattarsi anche ai climi rigidi delle regioni periglaciali, probabilmente grazie a una maggiore capacità di creare degli ambienti artificiali. Gli abitati presentano un’organizzazione più complessa, con aree di attività specializzata ben definite. Compaiono le prime sepolture intenzionali. Il paleolitico superiore è un fenomeno limitato all’Europa, al Vicino Oriente e a qualche regione limitrofa. Copre un intervallo compreso all’incirca tra 35.000 e 10.000 anni fa, che abbraccia parte dell’interpleniglaciale, il II pleniglaciale würmiano e il tardiglaciale, col quale si chiude la glaciazione würmiana. In questa età si affermano le culture dell’uomo moderno (Homo sapiens sapiens): le industrie litiche sono caratterizzate dalla scheggiatura laminare e lamellare, che consente la produzione di supporti regolari e leggeri, dai quali vengono ricavati strumenti e armature che presentano una grande varietà tipologica. Si sviluppa la lavorazione sistematica dell’osso, del corno e dell’avorio. Gli abitati sono formati da capanne o da tende leggere, di varia consistenza, talora riunite in accampamenti organizzati. Tra le attività economiche prevalgono largamente la caccia ai mammiferi di media e grossa taglia e la caccia agli uccelli, associate alla pesca e alla raccolta. In situazioni favorevoli si sviluppa la caccia specializzata, a una o a due specie. L’uso delle sostanze coloranti, soprattutto dell’ocra, e degli oggetti ornamentali, è ampiamente diffuso. Le sepolture mostrano la complessità e la varietà di riti funebri. Compaiono, fin dalla fase più antica, oggetti decorati e altre espressioni artistiche (incisioni e pitture parietali), legati a pratiche di culto. Nel postglaciale antico (preboreale, boreale, fase iniziale dell’atlantico) in Europa si sviluppano i complessi del mesolitico, dovuti agli ultimi cacciatori-raccoglitori del continente. Si tratta di complessi che continuano le tradizioni dell’età precedente, e che si differenziano soprattutto per la microlitizzazione e la standardizzazione delle armature. Il modo di vita, gli abitati e l’economia di questa età sono espressione di processi di adattamento alle condizioni ambientali postglaciali nelle differenti nicchie ecologiche. Contemporaneamente nel Vicino Oriente si realizza il grande processo di trasformazione che investe il modo di vita, gli abitati, l’organizzazione sociale, l’ideologia e soprattutto l’economia degli ultimi cacciatori-raccoglitori, e che porta alla formazione di sistemi economici basati sull’agricoltura, sull’allevamento e sul commercio di materiali pregiati, come l’ossidiana, o di prodotti divenuti indispensabili come il sale. La distribuzione dei siti in alcune regioni, come ad esempio nelle isole del Mediterraneo, è significativa dell’acquisizione della navigazione sia lungo le coste sia attraverso tratti di mare relativamente ampi (ad esempio, tra l’Italia meridionale, la Sicilia e le isole Eolie). Si formano così le culture del neolitico, che si diffondono nelle regioni finitime (neoliticizzazione). Questo processo si realizza sia attraverso forme di colonizzazione, cioè mediante migrazioni di gruppi di agricoltori e di allevatori che si insediano nei vasti territori dei cacciatori-raccoglitori mesolitici, sia attraverso forme di acculturazione di gruppi di cacciatori-raccoglitori. In Europa la neoliticizzazione si realizza precocemente lungo le coste mediterranee e nella penisola balcanica, più tardi nelle regioni più interne e in quelle settentrionali. Nelle culture neolitiche del Vicino Oriente compaiono nuove industrie: la pietra levigata, la ceramica, i metalli. La lavorazione di questi ultimi, con procedimenti sempre più complessi, caratterizza le età più recenti. Dalla martellinatura a freddo del rame nativo e probabilmente delle pepite d’oro, documentata nelle culture neolitiche della Mesopotamia e dell’Anatolia già dall’VIII-VII millennio a.C., si passa alla fusione del rame e quindi, nel IV millennio, alla utilizzazione di leghe presenti in natura (rame e arsenico, rame e stagno). Le produzioni di oggetti di bronzo e di ferro si affermano nel III millennio, quando nel Vicino e nel Medio Oriente e in Egitto inizia la storia. In Europa l’acquisizione delle tecniche di lavorazione del bronzo, attorno al 2000 a.C., e del ferro, nel IX secolo a.C., segnano l’inizio dell’età del bronzo e dell’età del ferro, cioè della protostoria. Le suddivisioni dei tempi preistorici di altre grandi aree seguono schemi diversi da quelli europei. Nell’Africa centrale e meridionale vengono tradizionalmente distinte tre età della pietra, separate da due età intermedie. La Early Stone Age corrisponde all’incirca al paleolitico inferiore europeo, ed è marcata dallo sviluppo dell’acheuleano, caratterizzato dai bifacciali e dagli hachereaux. La prima età intermedia, che segue, corrisponde all’incirca al paleolitico medio europeo, ed è caratterizzata da industrie derivate dalla tradizione acheuleana. La Middle Stone Age e la seconda età intermedia rappresentano grosso modo l’equivalente cronologico del paleolitico superiore europeo; il complesso più diffuso è lo stillbayano, che può essere avvicinato a un musteriano di tecnica levalloisiana. La Late Stone Age, di età olocenica, vede una notevole differenziazione tra varie industrie, alcune delle quali sono caratterizzate dalla produzione di lame, altre dall’utilizzo di manufatti ricavati da schegge massicce. Questa differenziazione tecnico-tipologica può essere correlata con processi di adattamento ad ambienti fortemente differenziati, che vedono sia il sorgere di attività produttive, sia la specializzazione nella caccia o nella raccolta. La scansione della preistoria europea può invece essere applicata all’Africa settentrionale e al Vicino Oriente. In queste regioni l’acheuleano è seguito da complessi musteriani prevalentemente di tecnica levalloisiana e dall’ateriano del Maghreb, caratterizzato da strumenti peduncolati e a lavorazione bifacciale. Il paleolitico superiore è costituito quasi ovunque da industrie laminari, più o meno affini a quelle europee. Di esse ricorderemo il natufiano, che rappresenta la fase finale del paleolitico superiore del Vicino Oriente (XII-X millennio a.C.), nella quale si sviluppa la raccolta dei vegetali (semi e cereali), che porterà col neolitico preceramico (IX-VIII millennio a.C.) al sorgere dell’agricoltura. Nel pleistocene medio, nell’Estremo Oriente e nell’Asia meridionale persistono industrie a choppers e a schegge; soltanto nell’India peninsulare sono state segnalate industrie a bifacciali di tipo acheuleano. Nel pleistocene superiore le regioni occidentali dell’Asia vedono lo sviluppo di industrie confrontabili con il musteriano, mentre nelle regioni orientali persiste la tradizione delle industrie a choppers e a strumenti su scheggia. Soltanto verso la fine dell’ultimo glaciale in Siberia si sviluppano delle industrie laminari e delle industrie a punte foliate bifacciali. I popoli di queste regioni sono all’origine del popolamento delle Americhe: attraverso i territori dello stretto di Bering, emersi durante la regressione marina realizzatasi durante il II pleniglaciale würmiano, e il corridoio continentale che assicurava il passaggio dall’Alaska alle regioni meridionali degli Stati Uniti, si realizzarono attorno a 20.000 anni dal presente il primo popolamento delle Americhe e in seguito quello delle regioni artiche. Un fenomeno analogo diede origine, durante l’ultimo glaciale, al popolamento dell’Australia. [Alberto Broglio]

Top