Algeria

Stato attuale dell’Africa settentrionale.

  1. Dalle origini alla dominazione bizantina
  2. La dominazione araba
  3. La reggenza di Algeri (1520-1830)
  4. Il periodo coloniale
  5. L’Algeria indipendente. Lo sviluppo dell'integralismo
  6. Dal governo dei militari alla primavera araba
1. Dalle origini alla dominazione bizantina

Abitata fin dal paleolitico, l’Algeria fu popolata in epoca storica da tribù di berberi dediti prevalentemente alla pastorizia. Dalla fine del II millennio intrattenne rapporti con i fenici e dall’VIII secolo subì, soprattutto sulle zone costiere, l’influenza di Cartagine. A sud-ovest del territorio cartaginese sorgeva poi la regione della Numidia che, organizzata in regni indipendenti, dalla fine del III secolo entrò in contatto con Roma. Dopo la caduta di Cartagine (146 a.C.) venne costituita dai romani la provincia d’Africa, della quale entrarono a far parte anche la Numidia orientale (46 a.C.) e la Numidia occidentale (25 a.C.). In epoca imperiale il paese conobbe un notevole sviluppo economico, fondato principalmente su una fiorente attività commerciale. Nonostante le forti resistenze opposte dalle tribù dell’interno ai nuovi conquistatori, si ebbe anche qui una significativa assimilazione degli strati medio-alti della popolazione locale alla mentalità e ai costumi romani. Alla caduta dell’impero, per circa un secolo (dal 430 al 533) i vandali stabilirono il proprio dominio su queste regioni, determinando l’inizio di una fase di regresso economico e culturale che continuò anche durante la dominazione bizantina, cominciata nel 534 grazie alla vittoriosa campagna militare del generale Belisario e terminata, un secolo e mezzo più tardi, con la conquista araba.

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2. La dominazione araba

Tra il VII e il XVI secolo, quando l’Africa settentrionale fu egemonizzata dagli arabi, i territori corrispondenti all’attuale Algeria furono segnati da una profonda instabilità politica a causa della debolezza (e della distanza) del potere bizantino e delle tenaci resistenze opposte dai berberi ai nuovi conquistatori. La conquista araba, già iniziata verso la metà del VII secolo con scorrerie di beduini del deserto, venne attuata dagli Omayyadi a partire dalla Tunisia. Fu il quinto governatore dell’Ifriqiyyah, Mûsâ ibn Nusayr, a dare inizio a una serie di spedizioni militari con il fine di islamizzare le popolazioni berbere, raggiungendo le coste dell’Atlantico nel 709. Le profonde differenze e i contrasti fra gli arabi e i berberi emersero già durante il governatorato di Ubaydallah ibn al-Habhab (733-740), a causa della pesante pressione fiscale dei primi e della sottomissione di parte della popolazione alla condizione di schiavitù. La rivolta dei berberi assunse allora connotazioni religiose nell’ambito dell’islam stesso, alimentando l’opposizione all’ortodossia sunnita e determinando l’adesione berbera alla setta kharigita e sciita. La mancata penetrazione nell’interno algerino e la rivolta contro il dominio arabo portarono ben presto alla formazione nell’Algeria occidentale di regni berberi di fatto indipendenti e al succedersi di molte dinastie, il cui potere rimase sempre piuttosto precario. Alla dominazione degli Omayyadi subentrò così già dalla fine dell’VIII secolo, nell’attuale regione di Orano, un piccolo stato indipendente fondato da Abd-el-Rahmân ibn Rostem. Egli pose la capitale a Tahert, presto divenuta uno dei maggiori centri del kharigismo, e diede inizio alla dinastia dei Rostamidi, che nell’811 ottennero dagli Aghlabidi di Kairouan il riconoscimento della loro sovranità sull’Algeria occidentale, sul Marocco e parte dell’attuale regione libica della Tripolitania. La conquista del regno di Tahert nel 911, di poco successiva alla fine degli Aghlabidi (909), fu opera della dinastia sciita dei Fatimidi. Essi tuttavia, più interessati alla conquista dell’Egitto che a un controllo effettivo delle regioni maghrebine, esercitarono sul Maghreb una sovranità del tutto formale – che fu costantemente minacciata da rivolte berbere – e affidarono poi il governo agli Ziridi che regnarono sulla zona algerina dal 973 al 1014. Verso la metà dell’XI secolo le tribù beduine dei banû hilâl e dei banû sulaîm raggiunsero da oriente l’Algeria, determinando la completa arabizzazione e la fuga dei berberi verso le zone interne; vi fu così un ritorno del nomadismo e il venir meno della relativa stabilità politica. Dal frazionamento della dinastia degli Ziridi sorse, nella zona costiera di Bugia, un nuovo organismo statale che, dapprima formalmente sottomesso agli Ziridi, diede origine intorno al 1007 alla dinastia degli Hammadidi. Essi riuscirono a mantenere il controllo del territorio sino alla conquista, nel 1082, dell’Algeria occidentale da parte della dinastia degli Almoravidi. Seguì, nel 1151, l’occupazione di Bugia e la cacciata degli Hammadidi dalla loro capitale da parte degli Almohadi. Alla morte di ’Abd al-Mumin (1163) l’impero almohade si estendeva dalla Libia all’Atlantico comprendendo tutto il Maghreb musulmano. Fu tuttavia una entità politica effimera, che durò per poco più di un secolo. Nel seconda metà del XIII secolo, infatti, sorsero nuovi stati berberi, fra i quali emerse quello creato dalla dinastia degli Abdelwadidi, il regno di Tlemcen (1235-1551), nell’Algeria occidentale, vicino alla costa, che assunse una notevole importanza economica e religiosa, giungendo a controllare il territorio algerino dai confini con l’attuale Marocco fino a Bugia. Fra il XIV e il XV secolo Tlemcen finì per piegarsi alla preponderanza militare della dinastia marocchina dei Merinidi e dovette subìre l’occupazione di parecchi porti da parte degli spagnoli. In un clima di anarchia e di profonda frammentazione l’Algeria si avviò così a diventare, all’inizio del XVI secolo, un pascialato turco.

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3. La reggenza di Algeri (1520-1830)

L’estrema frammentazione politica del territorio algerino favorì lo sviluppo di alcune città costiere, fra le quali emerse Algeri, rifugio di corsari turchi che traevano vantaggio dalla razzia condotta soprattutto contro il commercio spagnolo. La risposta spagnola fu quella di occupare alcune città della costa algerina dalle quali poter esercitare un maggiore controllo sui propri commerci e cercare così di porre freno agli atti di pirateria, in particolare dei quattro fratelli Barbarossa. Procedendo dalla piccola entità politica creata dal secondo dei fratelli Barbarossa, Arug’, il terzo fratello, Kizr, riuscì nel 1520 a porre l’Algeria sotto la sovranità, più nominale che reale, del sultano di Costantinopoli Selim I. In questo periodo Algeri divenne la capitale di un vasto stato esteso dalle coste orientali della Libia al confine col Marocco, la Reggenza di Algeri (1520-1830), governato da una oligarchia turca con a capo un governatore generale dei territori ottomani in Africa, il beylerbey (il primo fu proprio Kizr, che ottenne dal sultano l’appellativo di Khair el-Din, “paladino della religione”). Attività fondamentale nei secoli dell’egemonia turca fu la pirateria: tutte le potenze occidentali, dopo aver invano tentato di stroncarla (il più celebre tentativo fu quello attuato da Carlo V nel 1542, fallito a causa di una furiosa tempesta), dovettero venire a patti con i corsari algerini che infestavano il Mediterraneo. La Reggenza di Algeri, nucleo storico della dominazione ottomana sul Maghreb, ebbe compiti di controllo anche sulla Tunisia e la Libia sino alla riforma condotta dal sultano Murad III nel 1587, che creò le tre reggenze di Tunisi, Algeri e Tripoli. Vi fu allora una maggiore suddivisione delle competenze e un pascià con carica triennale fu posto a capo di una complessa struttura amministrativa che in Algeri diede luogo alla lotta per il potere fra i giannizzeri e i rais (comandanti corsari che diedero grande prestigio alla flotta turca nel Mediterraneo). Nella seconda metà del XVII secolo la più alta carica politica della Reggenza divenne quella di dey, e questi era attorniato dai governatori locali, i bey. Le tre reggenze acquisirono sempre maggiore autonomia (sino a essere definite come “stati barbareschi”). Il forte flusso commerciale diretto verso Algeri attirò, a partire dal XVII secolo, gli interessi europei, soprattutto francesi, che dal 1632 ebbero un avallo politico con la decisione di Richelieu di porre sotto la protezione della monarchia la prima base commerciale privata fondata ad Algeri. Fu in questa fase che si creò quello stretto rapporto che avrebbe condizionato molta parte della storia moderna francese e algerina.

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4. Il periodo coloniale

La penetrazione francese proseguì mantenendosi entro limiti commerciali fino a quando la Francia, approfittando sia delle rivolte interne sia della comune volontà delle nazioni europee di debellare la pirateria, non si decise per l’intervento armato. In un primo tempo i francesi progettarono di realizzare l’occupazione soltanto dei porti e della fascia costiera, lasciando che all’interno il paese fosse governato da capi indigeni, con i quali avrebbero potuto stabilire rapporti di collaborazione su un piano di subalternità. Nel 1830 la spedizione guidata dal maresciallo Duperré e dall’ammiraglio Bourmont portò alla capitolazione di Algeri e all’occupazione di Orano e Bona. La fine della Reggenza di Algeri provocò la nascita di nuove strutture politiche: nel 1834 i bey Ahmed e Abd el-Kader stabilirono il loro potere rispettivamente sulla regione di Costantina e sull’Algeria occidentale. Questo assetto sembrò garantito dal trattato di Tafna, firmato nel 1837 dal francese Th. R. Bugeaud e ispirato al disegno di una “occupazione limitata”. La conquista francese di Costantina e il mancato rispetto delle clausole del trattato di Tafna, oltre all’ostilità indigena nei confronti della presenza straniera, fecero però fallire questo piano. Abd el-Kader organizzò quindi una fiera resistenza contro i francesi, che assunse i toni di una vera e propria guerra santa e si protrasse fino al 1847. Alla guerra seguì, secondo i piani francesi, una fase di “pacificazione”, con il soffocamento nel 1871 di una ribellione scoppiata nella zona di Costantina. Nel 1879 la sottomissione del paese poteva considerarsi conclusa. Sin dal 1834, peraltro, si erano andati costituendo i Possedimenti francesi dell’Africa del Nord con a capo un governatore generale, e aveva avuto inizio l’insediamento di cittadini francesi (e di altre nazioni europee) soprattutto sui terreni agricoli confiscati. Venne allora attuata una politica di integrazione che proseguì sino alla fine del XIX secolo, quando la tendenza al controllo diretto del territorio si rafforzò ulteriormente nel quadro di una sistematica politica di assimilazione. Se la colonizzazione permise la costruzione di infrastrutture nel paese, non si poté raggiungere l’obiettivo dell’assimilazione delle popolazioni locali per la resistenza opposta dagli indigeni e dagli stessi coloni. Durante la prima guerra mondiale l’Algeria diede un notevole contributo allo sforzo militare della Francia, e nel corso del secondo conflitto mondiale, dopo l’invasione del territorio della madrepatria da parte delle truppe tedesche, Algeri venne scelta da Charles de Gaulle come sede del Comitato francese di liberazione nazionale (giugno 1943), poi trasformatosi in Governo provvisorio della repubblica francese (giugno 1944). Dal novembre 1942, dopo lo sbarco degli alleati sul suo territorio, l’Algeria divenne una base fondamentale per le truppe angloamericane e diede il proprio apporto alla formazione di nuovi reparti dell’esercito francese. Già nel periodo compreso tra le due guerre, tuttavia, diversi settori dell’élite politica algerina iniziarono a rivendicare l’indipendenza del paese, avviando così un processo di decolonizzazione che doveva saldarsi drammaticamente agli sviluppi della politica francese nel secondo dopoguerra. Il Partito comunista algerino (PCA), fondato nel 1935, e il Partito popolare algerino (PPA), costituito nel 1937, furono le formazioni più attivamente impegnate in questo senso; l’Unione popolare algerina, fondata nel 1938 da Ferhat Abbas, si proponeva invece di ottenere una piena assimilazione del paese attraverso la concessione ai musulmani algerini della cittadinanza francese, come fu richiesto nel Manifesto del popolo algerino del febbraio 1943. Nel frattempo, per l’opposizione dei coloni, fallì il progetto di L. Blum di concedere diritti politici all’élite indigena. Nel secondo dopoguerra, nonostante alcune parziali concessioni del governo francese, le istanze nazionaliste furono riprese dal Movimento per il trionfo delle libertà democratiche (MTLD) di Ahmad Messali Hadj e soprattutto dal Comitato rivoluzionario d’unità e d’azione (CRUA), clandestino, con sede al Cairo. Fu proprio quest’ultimo a scatenare, il 1° novembre 1954, la sollevazione che ben presto dall’Aurès si propagò nella regione di Costantina e nella Cabilia, diretta da un Fronte di liberazione nazionale (FLN) costituitosi al Cairo cui parteciparono tutti i partiti politici a eccezione del Movimento nazionale algerino di Ahmad Messali Hadj. La risposta francese oscillò tra la repressione violenta dei focolai di rivolta e il tentativo di rilanciare la politica dell’integrazione, che aveva già peraltro dimostrato tutti i suoi limiti. La creazione di un Comitato di salute pubblica ad Algeri il 13 maggio 1958 da parte dei militari e dei coloni oltranzisti segnò il culmine della tensione e fece precipitare la crisi delle istituzioni francesi, incapaci di affrontare in modo realistico il problema dell’Algeria. Toccò a de Gaulle (al potere dal giugno 1958) risolvere quello che si era rivelato sempre più chiaramente come il nodo fondamentale della politica francese del dopoguerra. Dopo una fase iniziale volutamente ambigua, il generale aprì trattative dirette con il FLN e con il Governo provvisorio algerino, che procedettero nonostante il tentativo di colpo di stato attuato, nell’aprile 1961, da esponenti dell’esercito e le azioni terroristiche dell’Organizzazione armata segreta (OAS), sostenuta dalla destra oltranzista francese. L’esito del referendum del 1° luglio 1962, previsto nel quadro degli accordi di Évian (17 giugno 1962), segnò la nascita di uno stato arabo algerino indipendente, che accettava comunque di avere in futuro rapporti di cooperazione economico-militare con la Francia.

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5. L’Algeria indipendente. Lo sviluppo dell'integralismo

Il conseguimento dell’indipendenza coincise altresì con una grave crisi interna al FLN, dalla quale emerse infine la leadership di Mohammed Ben Bella. Dopo che nel 1961 Ferhat Abbas fu sostituito alla presidenza da Youssef Ben Khedda, Ben Bella divenne capo del primo governo algerino (settembre 1962) e fu poi eletto presidente della repubblica (settembre 1963), divenendo così, fino al 1965, l’uomo forte del regime. Sotto la sua guida il paese si costituì come repubblica democratica e popolare dandosi una costituzione di tipo presidenziale dai tratti autoritari. Ai gravi problemi che si presentarono al nuovo stato – legati principalmente all’arretratezza delle strutture, alla disoccupazione e alla partenza della maggioranza dei coloni francesi timorosi di ritorsioni – il governo algerino rispose con una politica di ispirazione socialista, concretizzatasi in particolare nella riforma agraria. L’autoritarismo personale e la guerra col Marocco del 1963 (determinata da rivendicazioni di confine) minarono tuttavia il consenso di cui Ben Bella godeva all’interno del paese e nello stesso mondo arabo. Un colpo di stato militare nel 1965 portò quindi alla sua sostituzione da parte del colonnello Houari Boumedienne, che rimase al potere fino alla fine del 1978 proseguendo peraltro, seppure con maggiore pragmatismo, la politica di orientamento socialista del suo predecessore. Furono così progressivamente nazionalizzate banche, assicurazioni, società minerarie e industrie straniere (in particolare francesi) e fu avviato un processo accelerato di industrializzazione incentrato soprattutto sul settore petrolchimico; si riprese anche il progetto della riforma agraria per distribuire ai contadini (organizzati in cooperative) le terre prima appartenenti ai coloni; si avviò un vasto programma di alfabetizzazione e di scolarizzazione. Nel 1976 l’Algeria si diede una nuova costituzione (quella del 1963 era stata abrogata nel 1965 a seguito del colpo di stato), che – pur nell’ambito della fedeltà all’islam – ne sanciva il carattere socialista, affermava il monopolio politico del FLN e si contraddistingueva per il suo carattere fortemente presidenzialista. In politica estera l’Algeria divenne ben presto un punto di riferimento per i paesi non allineati e, nell’ambito di un forte impegno terzomondista, sostenne attivamente i movimenti di liberazione che si svilupparono in Africa e nel Medio Oriente durante gli anni Sessanta e Settanta (appoggiò in particolare l’OLP). Il successore di Boumedienne alla guida dello stato e del FNL, Ben Gedîd Chadli, al potere dal febbraio 1979, sembrò orientarsi verso una politica interna ed estera più moderata, volta a introdurre caute misure di liberalizzazione in campo economico-politico e a rinsaldare i rapporti con la Francia nonostante le limitazioni da questa poste all’immigrazione. Se infatti con il primo piano quinquennale (1979-84) fu introdotta una rigida programmazione economica – finalizzata in primo luogo al potenziamento dell’industria pesante – questa impronta di fondo fu poi parzialmente corretta con il secondo piano quinquennale (1984-89) con il quale il governo, pur ribadendo l’“opzione socialista”, diede maggiore spazio all’iniziativa privata al fine di creare incentivi per lo sviluppo del settore agricolo e dell’industria leggera. Si trattò tuttavia di una scelta piuttosto tardiva e comunque inadeguata (per le modalità con cui venne concretizzata) a fronteggiare quella che ormai si presentava come una crisi profonda dello stato e della società algerina, che aveva radici remote e complesse, non riconducibili al solo fattore economico, e che esplose per la prima volta nei gravi disordini del giugno 1985 a Ghardaia e nel novembre 1986 a Costantina, mentre nel 1988 le principali città algerine furono teatro di violente manifestazioni di massa provocando la dichiarazione dello stato di emergenza nel paese. Il presidente Chadli fu allora costretto a introdurre nella costituzione alcune aperture di carattere democratico – soprattutto l’abolizione del regime a partito unico (1989) – che tuttavia non bastarono al FNL per riconquistare la fiducia popolare. Alle elezioni amministrative del giugno 1990 il Fronte di salvezza islamico (FIS) ottenne la maggioranza assoluta. Anche in campo internazionale l’Algeria – che negli anni Ottanta si era volta soprattutto a rinsaldare i legami con i paesi arabi e ad appoggiare la causa palestinese, partecipando alla costituzione dell’Unione araba maghrebina nel febbraio 1989 – si trovò ora a giocare un difficile ruolo, non privo di ambiguità. In seguito all’invasione irachena del Kuwait (2 agosto 1990) il governo, pressato dalle masse popolari favorevoli all’Iraq, si trovò infatti costretto condannare sia l’invasione sia l’intervento delle forze armate sotto l’egida dell’ONU. Nel giugno 1991, di fronte a nuove sollevazioni popolari e al profilarsi della vittoria del FIS, Chadli fu costretto a sospendere le elezioni che si sarebbero dovute tenere in quel mese. Da allora si assistette a un rapido e drammatico crescendo di tensioni sociali e all’esplodere di una crisi istituzionale che culminò in una vera e propria guerra civile. L’Algeria fu a lungo considerata un modello di sviluppo positivo fra i paesi in via di sviluppo per il suo orientamento socialista dai tratti complessivamente moderati (che non mise mai in discussione i rapporti di cooperazione con la Francia), per la stabilità politica che la caratterizzò per quasi un trentennio dopo il conseguimento dell’indipendenza (1962), e per quello che apparve per molto tempo una politica industriale correttamente basata sullo sviluppo dell’industria pesante vista come condizione per il decollo anche di quella leggera. Il paese incominciò a denunciare drammaticamente la sua crisi a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta e in particolare dal 1988 (gravissimi furono i disordini di Algeri, stroncati dall’esercito). Da allora il dato più rilevante e inquietante fu il manifestarsi di un rifiuto sempre più radicale da parte di una componente significativa della popolazione (soprattutto i giovani e il numerosissimo proletariato e sottoproletariato urbano) dei princìpi su cui si era fondata, nella mente dei suoi padri, l’idea stessa di uno stato nazionale algerino. Questa idea trovava la sua giustificazione in un territorio dai confini “antichi”, nell’unità culturale e religiosa della popolazione e nella comune partecipazione alla guerra di liberazione contro i francesi. L’ideale propugnato da vaste frange della popolazione era quello della costituzione di una sola comunità politica che riunisse tutto il mondo musulmano, superando il concetto di nazione (umma) e rifiutando al tempo stesso qualsiasi rapporto di cooperazione con l’Occidente (in particolare con la Francia). Se gli schemi erano quelli propri dell’integralismo islamico, nel contesto algerino il fenomeno pareva più impressionante in quanto qui l’identità nazionale sembrava essersi più consolidata. Vi erano sicuramente ragioni oggettive per il diffondersi del malcontento: il fallimento dell’obiettivo di una modernizzazione che portasse realmente a condizioni di benessere per la maggioranza, sia per l’incapacità delle grandi industrie di stato di promuovere il decollo di quelle minori e legate ai consumi, sia per il fortissimo incremento demografico dell’ultimo trentennio. Ad accrescere la crisi vi erano poi stati gli abusi del regime a partito unico rimasto in piedi fino al 1989 (dal suo carattere fortemente clientelare alle lotte interne al FLN, dal prevalere nel FLN di tendenze militariste all’inefficienza della burocrazia). A partire quindi da una denuncia senza appello dei mali di tre decenni di socialismo e del perdurare degli effetti dell’imperialismo occidentale verso il Terzo Mondo, l’islam si poté porre, in quanto antisocialista e antioccidentale, come la forza politica realmente in grado di interpretare i bisogni dei più deboli. Strati sempre più vasti della popolazione furono così attivamente coinvolti nel progetto di costruzione di una società confessionale, fondata sulle leggi coraniche, in antitesi a quel laicismo ormai inviso poiché legato a un passato postcoloniale egemonizzato dal FLN. Detonatore di questa situazione fu per molti aspetti la guerra del Golfo (1991), che segnò lo scacco delle appena costituitesi forze democratiche contrarie al FLN ma non antioccidentali, travolte da una critica radicale contro la “democrazia a senso unico” degli occidentali.

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6. Dal governo dei militari alla primavera araba

Dopo le dimissioni di Chadli nel gennaio 1992 le elezioni legislative celebrate nello stesso mese diedero la vittoria al FIS, di fronte alla quale l’esercito decise l’annullamento delle elezioni e la sospensione sine die di nuove consultazioni. Il potere venne allora assunto da un Alto Consiglio di Stato, espressione degli alti ranghi dell’esercito, presieduto da Mohammed Boudiaf che, tentò invano di contrastare la diffusione dell’integralismo islamico. Nonostante l’alta personalità di Boudiaf, l’assenza di ogni suo coinvolgimento nelle vicende del regime algerino (visse in esilio in Marocco fin dal conseguimento dell’indipendenza) e le sue promesse di moralizzazione della vita politica e dello stesso esercito, egli fu visto dagli integralisti islamici come portavoce degli interessi di quell’esercito che aveva loro sottratto la vittoria elettorale di gennaio e che procedeva nei loro confronti a una dura opera di repressione. Il 29 giugno 1992 Boudiaf fu assassinato. Gli successe alla guida dell’Alto Consiglio di Stato il generale K. Nezzan, mentre si moltiplicavano vertiginosamente gli attentati islamici nelle città (dal 1993 rivolti soprattutto contro intellettuali laici e democratici, accusati di asservimento alla Francia e all’Occidente) e la repressione dell’esercito, che perse il controllo di varie zone del territorio algerino, divenne a sua volta sempre più spietata. Nel gennaio del 1994 il generale Liamine Zeroual fu posto alla presidenza, in sostituzione della presidenza collettiva dell’Alto Consiglio di Stato, dall’Alto consiglio militare per la sicurezza. Le elezioni del 1995, tenutesi con l’assenza dei partiti di opposizione, confermarono il generale alla presidenza. Nel 1996 un referendum introdusse una costituzione che ha sancì il forte potere del presidente e vietò tutti i partiti a fondamento razziale e religioso, pur proclamando l’islamismo religione dello Stato. Che la situazione restasse quanto mai critica fu confermato dagli eventi seguiti alle elezioni del 1997, che portarono alla formazione del primo parlamento pluripartitico dopo il 1962, senza però scuotere il potere dei militari. La reazione dei gruppi fondamentalisti terroristici fu spaventosa e causò molte centinaia di assassinii, che si protrassero nel 1998. Le elezioni dell’aprile di quell’anno videro candidato unico Abdelaziz Bouteflika, sostenuto dai militari. Giunto al potere, questi stabilì un accordo con il Fronte islamico di salvezza, sulla base di un promessa di amnistia generalizzata per quanti si arrendessero: accordo sanzionato in seguito ad un referendum popolare che vide il 98,6 per cento di favorevoli. Dal 2001 i berberi ripresero le agitazioni per ottenere una maggiore autonomia per la Cabilia. Nonostante l’intensificarsi a partire dal 1995 dei rapporti di cooperazione con l’Unione Europea, negli anni seguenti la situazione economica e sociale dell’Algeria restò grave. Nel 2004 Bouteflika fu rieletto con una stragrande maggioranza soprattutto grazie ai suoi provvedimenti tesi a favorire la riconciliazione e la pacificazione nel paese, che non impedirono tuttavia il riaccendersi periodico delle violenze. Dopo l’approvazione di un emendamento costituzionale che gli permise di candidarsi per un terzo mandato consecutivo, nel 2009 Bouteflika fu riconfermato alla presidenza. Nel gennaio del 2011, nel quadro delle grandi manifestazioni di massa che agitarono l’intera area nordafricana e mediorientale, la gioventù algerina protestò, talora scontrandosi apertamente con la polizia, contro l’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità, la disoccupazione e la repressione politica. In risposta alle proteste, il governo decretò la fine dello stato d’emergenza in vigore dal 1992, ma Bouteflika rimase saldamente al potere.
A differenza di quanto avvenuto in Tunisia e in Egitto, il governo algerino riuscì a tenere sotto controllo il malcontento popolare, venendo incontro alle richieste di maggior benessere economico. Sul piano politico furono intrapresi alcuni provvedimenti in senso liberale: fu per esempio allentato il controllo sui media e furono legalizzati alcuni nuovi partiti politici. Le elezioni del 2012 non alterarono tuttavia lo status quo e l’FLN si riconfermò alla guida del paese.

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