Indonesia

Stato attuale dell’Asia sudorientale. L’arcipelago indonesiano, posto al centro di un’area cruciale per gli scambi mercantili tra Cina e India, ricevette già nei primi secoli della nostra era molteplici influssi culturali e al substrato malese originario si aggiunsero elementi eterogenei. Tra il VII e il XIII secolo il regno di Srivijaya si estese su Sumatra (il cui centro politico, forse, si localizzò nel porto fluviale di Palembang), Giava occidentale e sulla penisola malese. Regno marittimo e mercantile, oltre che centro religioso del buddhismo mahayana, Srivijaya non fu uno stato fondato sull’agricoltura, né dotato di centri monumentali come la Birmania di Pagan o la Cambogia angkoriana. Srivijaya esercitò piuttosto il controllo sulle popolazioni marinare degli stretti, di ceppo malese, dedite alla pirateria e ai commerci. All’inizio del secolo XI la talassocrazia di Srivijaya giunse a controllare una parte di Giava, ma entrò in una fase di rapido declino già alla fine del secolo successivo. A Giava, nei primi secoli della nostra era si affermò invece un modello di civiltà rurale fondato sull’agricoltura intensiva, in aree vulcaniche assai fertili. Come altrove in Asia sudorientale, a Giava la terra apparteneva al sovrano e non c’era proprietà privata del suolo coltivabile; i contadini erano “clienti” degli aristocratici locali, a cui erano legati da vincoli di fedeltà. In questa società il prestigio e il potere dell’élite si fondava sugli uomini di cui l’aristocratico poteva disporre, non sulla terra di cui vi era abbondanza. Tra i secoli VIII e IX, a Giava si affermò la dinastia Sailendra, destinata a segnare un risveglio religioso e culturale che coincise con l’introduzione nella regione del buddhismo mahayana. Tra i secoli XI e XIII, nelle regioni orientali di Giava vennero costituiti i regni di Kediri e di Singosari, il cui sovrano Kertanegara (1268-92) conquistò Sumatra. Ultimo regno indianizzato di Giava (XIII-XVI secolo), Majapahit venne fondato dal principe Vijaya e raggiunse il massimo splendore alla metà del XIV secolo quando intrecciò rapporti commerciali con la Cina e con gli stati dell’Asia sudorientale continentale. Majapahit si indebolì già nel 1364, con la morte del primo ministro del sovrano Hayam Wuruk, Gajah Mada. Tra il XV e il XVI secolo, mentre si preparava la diffusione dell’islam nell’arcipelago indonesiano e nella regione si affermavano nuovi centri mercantili, per il regno giavanese iniziò la fase di declino. Il regno giavanese di Mataram si espanse nel corso del XVI e del XVII secolo (anche se non riuscì a conquistare Batavia, l’attuale Giacarta, che era controllata dagli olandesi) e giunse all’apice della potenza con Sultan Agung, per declinare alla sua morte nel 1645. La diffusione dell’islam nelle aree settentrionali di Sumatra era significativa già alla fine del XIII secolo, anche se a Giava il primo sultano musulmano di Banten ascese al trono solo nel 1526 e il sovrano Agung, di Mataram, nella prima metà del XVII secolo. A differenza di quanto era accaduto in Africa settentrionale e in Medio Oriente, la penetrazione islamica nel mondo malese-indonesiano non ebbe caratteri militari, ma fu soprattutto opera di marinai e commercianti musulmani, arabi, persiani o indiani, che si insediarono nelle città mercantili dello stretto di Malacca. Le culture eterogenee che si sovrapposero nell’arcipelago non vennero necessariamente cancellate dalla penetrazione islamica, come dimostra il caso di Bali, che conservò le sue caratteristiche religiose tradizionali fondate sull’induismo a cui si mescolarono sincretisticamente elementi di origine buddhista e aspetti magico-animistici di tipo malese. Nel corso del XVI secolo i navigatori europei fecero il loro ingresso nella regione alla ricerca delle spezie; arrivarono prima i portoghesi, seguiti da spagnoli, olandesi e britannici. I portoghesi cercarono di ottenere il monopolio dell’esportazione dei chiodi di garofano e della noce moscata, ma incontrarono l’agguerrita concorrenza degli olandesi. La rivalità che oppose le diverse potenze europee vide vincitori i Paesi Bassi che inclusero l’arcipelago indonesiano nella loro sfera di influenza quando, nel 1749, il regno giavanese di Mataram diventò vassallo della Compagnia olandese delle Indie. All’inizio del XIX secolo, dopo le guerre napoleoniche e un breve dominio britannico (1811-16), Giava ritornò in mani olandesi e nel 1830 il governatore Johannes van den Bosch introdusse in parte dell’isola un sistema di colture forzate che prevedeva la destinazione di un quinto delle risaie alla coltura di prodotti d’esportazione come il caffè, lo zucchero, l’indaco. Il sistema delle colture, il cosiddetto “cultuurstelsel”, prevedeva forme di lavoro coatto (per almeno 66 giorni all’anno) in terre controllate direttamente dal governo da parte dei contadini non proprietari. Questo sistema rimase in vigore fino alla seconda metà del XIX secolo e tra il 1830 e il 1877 assicurò all’Olanda oltre 823 milioni di fiorini. Alla fine del secolo l’Olanda controllava Giava e buona parte dell’arcipelago; con i trattati anglo-olandesi del 1824 e del 1871 la Gran Bretagna rinunciò a Sumatra che divenne appannaggio dei Paesi Bassi. In questa isola, tra il 1821 e il 1837 un conflitto sanguinoso oppose, nelle aree popolate dall’etnia minangkabau, i capi tribali tradizionali e i membri della setta fondamentalista islamica Wahhabiyah, i cosiddetti Padri. A sostegno dei capi tradizionali si mossero gli olandesi, che nel 1837 occuparono il centro religioso di Bonjol ed estesero la propria influenza sulle regioni interne di Sumatra. L’Aceh, la provincia settentrionale di Sumatra, cadde in mani olandesi all’inizio del XX secolo, dopo una guerra durata trent’anni. La colonizzazione diretta delle isole periferiche dell’arcipelago venne completata solo all’inizio del Novecento. Gli olandesi abbandonarono l’Indonesia dopo la seconda guerra mondiale e la proclamazione dell’indipendenza (1945) da parte dei nazionalisti Sukarno e Hatta. Dopo l’indipendenza si affermò in Indonesia un sistema politico pluripartitico in cui ebbero un ruolo significativo i nazionalisti, i comunisti e i movimenti islamici. Nel 1956 il presidente Sukarno limitò però le libertà politiche avvicinandosi ai comunisti e alla Cina. Incapace di conservare l’equilibrio tra l’opposizione di sinistra e le forze armate, Sukarno favorì con una gestione economica fallimentare la crisi del 1965, quando un tentativo di colpo di stato causò una sanguinosa repressione guidata dai militari. Dopo i massacri dei comunisti del 1965-66, venne inaugurato il cosiddetto “Orde baru”, l’Ordine nuovo, del generale Suharto. Questi, eletto presidente nel 1968 e nelle elezioni successive fino all’ultima del 1997, fondò il proprio potere sulle forze armate e sul Golkar, il partito ufficiale di governo. Suharto creò un regime autoritario e corrotto, ma non privo di un certo dinamismo economico, dotato di una stabilità che non fu scossa né dalle tensioni che attraversano la forte componente islamica della società indonesiana, né dalle questioni regionali (Timor Est, Aceh, Irian Jaya) che suscitarono nella comunità internazionale legittimi interrogativi per il mancato rispetto dei diritti umani degli oppositori. Dopo le elezioni del 1997, tuttavia, il regime di Suharto entrò in crisi per le accuse di corruzione che coinvolsero la sua famiglia e i suoi più stretti collaboratori, per lo stato di endemica rivolta di Timor Est (che era stata annessa nel 1976) e per la crisi finanziaria che investì il paese nel 1998. Nel maggio del 1998 Suharto fu costretto a dimettersi dalla presidenza. Seguirono anni di grave instabilità economica e politica. A Suharto subentrò il suo vice Bucharuddin Jusuf Habibie, che promise di avviare un processo di riforma e di risolvere la questione di Timor Est. Alle elezioni del giugno 1999, tuttavia, il Golkar fu sconfitto dal Partito democratico indonesiano – Lotta, guidato da Megawati Sukarnoputri, la figlia di Sukarno. Nell’ottobre del 1999 fu eletto presidente Abdurrahman Wahid, che nominò la Sukarnoputri vice-presidente. Nell’agosto dello stesso anno la popolazione di Timor Est si espresse a grande maggioranza in favore dell’indipendenza dall’Indonesia. Le forze contrarie alla secessione scatenarono violenze e saccheggi che portarono all’intervento di truppe ONU per ristabilire la pace e gestire la transizione all’indipendenza dell’isola, che fu ratificata dal parlamento indonesiano nell’ottobre del 1999. 1) Nell’arcipelago si manifestarono molti focolai di tensioni etnico-religiose tra gruppi musulmani e cristiani, che tra 2000 e 2001 sfociarono in scontri aperti. Nel luglio 2001, censurato dalla camera dei deputati perché coinvolto in casi di corruzione, il presidente Wahid fu destituito dal parlamento e sostituito dalla vicepresidente Megawati Sukarnoputri, che si impegnò energicamente nel rilancio dell’economia e nella difesa dell’integrità territoriale del paese (Timor est ottenne la piena indipendenza nel 2002). Nonostante tali sforzi, il suo governo fu continuamente minacciato dalla violenza dei gruppi separatisti, dalla grave crisi economica e da numerosi scandali di corruzione, sicché alle elezioni del 2004 Megawati Sukarnoputri fu battuta al ballotaggio da Susilo Bambang Yudhoyono, che divenne così il nuovo presidente. Tra 2004 e 2010 l’arcipelago fu periodicamente devastato da terribili terremoti e tsunami, che provocarono decina di migliaia di vittime. Dopo esser riuscito a garantire al paese una maggiore stabilità politica, Yudhoyono fu riconfermato alla presidenza nel 2009.