Dominicana, Repubblica

Stato attuale dell’America centrale. Situato nella parte orientale dell’isola di Hispaniola (poi Haiti) nelle Grandi Antille, il territorio dell’attuale Repubblica Dominicana fu scoperto da Cristoforo Colombo nel suo primo viaggio del 1492 e prese il nome dalla città di Santo Domingo, fondata nel 1496 sulla costa sudorientale dell’isola. Al momento dell’insediamento europeo esso era abitato da aruachi e caribi che vennero sterminati e sostituiti da schiavi africani a partire dai primi decenni del XVI secolo. La colonia di Santo Domingo svolse un ruolo decisivo quale base per l’esplorazione e la colonizzazione dei territori circostanti: qui venne insediata la prima audiencia spagnola nel Nuovo Mondo (1511). Con la scoperta del Messico e del Perú la sua importanza decadde: la parte orientale venne praticamente abbandonata dai coloni spagnoli, mentre su quella occidentale si insediarono contrabbandieri francesi che vi stabilirono le prime piantagioni. La storia autonoma del territorio dominicano inizia con la creazione della colonia francese di Saint-Domingue (Haiti), nella parte occidentale dell’isola, ceduta dalla Spagna alla Francia nel 1697. Quella orientale, infatti, ripopolatasi nel corso del XVIII secolo grazie a una nuova emigrazione spagnola e all’afflusso di schiavi neri, rimase di fatto sotto il controllo della Spagna, mantenendo il nome di Santo Domingo, anche dopo il suo formale trasferimento alla Francia in base al trattato di Basilea del 1795. Il processo di emancipazione della Repubblica Dominicana fu lungo e difficile. Coinvolta nella rivolta degli schiavi haitiani, essa subì l’occupazione delle truppe francesi, protrattasi fino al 1809, per tornare sotto la dominazione spagnola (sancita dal trattato di Parigi del 1814), dopo il tentativo fallito di dar vita a uno stato indipendente. Nel 1821 un’insurrezione dei coloni creoli sfociata nella proclamazione della Repubblica Dominicana e nell’adesione alla Grande Colombia di Simón Bolívar provocò l’invasione di Santo Domingo da parte dell’esercito haitiano e la sua annessione ad Haiti (1822), che ebbe termine nel 1844 quando, a seguito di una nuova insurrezione guidata da Juan Pablo Duarte, venne dichiarata l’indipendenza. La vita politica del nuovo stato fu caratterizzata da una forte instabilità, alimentata dai conflitti tra le varie etnie, dalle continue dispute territoriali con Haiti e dall’ingerenza degli Stati Uniti negli affari interni del paese. Vari tentativi di por fine al disordine, tra cui il ritorno sotto il governo spagnolo (1861-65), non ebbero successo; solo con la presidenza di Ulíses Heureaux (1882-99), peraltro segnata da una sfrenata corruzione, si ebbe un lungo periodo di pace durante il quale un certo miglioramento dell’economia, dovuto all’afflusso di capitale nordamericano, venne vanificato da una dissennata politica di spesa finanziata mediante il ricorso all’indebitamento con l’estero. La bancarotta del bilancio statale portò nel 1907 alla firma di un trattato che assicurò agli Stati Uniti il controllo sulle entrate doganali e nel 1916 a un governo militare americano che durò fino al 1924. Seguì la lunga dittatura del generale Rafael Leónidas Trujillo Molina, che dominò incontrastato dal 1930 al 1961. Il suo regime, se conseguì alcuni risultati in campo economico (nel 1947 fu estinto completamente il debito pubblico), finì però per alimentare una crescente ostilità all’interno e all’estero sia per l’oltraggioso nepotismo della sua amministrazione sia per la ferocia nei confronti delle opposizioni. Trujillo fu assassinato nel 1961. Nel 1962 si tennero le prime elezioni libere che portarono alla presidenza il leader dell’opposizione progressista Juan Bosch. Il suo programma di riforme sociali suscitò la reazione delle oligarchie locali e dell’establishment militare che nel 1963 organizzarono un colpo di stato e installarono una giunta filoamericana, dopo aver mandato Bosch in esilio. La guerra civile scoppiata tra sostenitori e oppositori del presidente deposto provocò nel 1965 l’intervento degli Stati Uniti, preoccupati da una possibile evoluzione della situazione in senso castrista. Questi favorirono la formazione di un governo provvisorio che, sotto il controllo della Organizzazione degli Stati Americani, preparò nuove elezioni dalle quali uscì vincitore, con l’appoggio della destra conservatrice, Joaquín Balaguer (1966-78), candidato del Partito riformista social-cristiano (PRSC). Nel 1967 il Partito rivoluzionario dominicano (PRD), la principale forza di opposizione, uscì dal parlamento e attuò il boicottaggio delle elezioni presidenziali del 1970 e del 1974. Conquistato il potere nel 1978 il PRD avviò, sotto la guida di Antonio Guzmán Fernández e poi di Salvador Jorge Blanco, un processo di modernizzazione del paese che fu però interrotto nel 1986 dalla sorprendente vittoria dell’ottuagenario Balaguer sul candidato progressista. Questi tentò di affrontare, senza successo, gli effetti di una pesante crisi economica dovuta al calo del prezzo dello zucchero, la principale risorsa del paese. La tensione sociale crebbe fino a scoppiare nel 1988 in violenti scontri tra polizia e masse popolari, che provocarono numerosi morti. Riconfermato nel 1990 con pochi voti di scarto sui candidati rivali, Balaguer continuò una politica di sostanziale immobilismo. Misure di austerità emanate nella metà del 1991 per fronteggiare l’inflazione provocarono un’ondata di scioperi e proteste duramente repressa. Nel 1994 Balaguer fu rieletto, ma, solo due anni dopo, fu costretto a dimettersi sotto l’accusa di brogli elettorali. In seguito alle elezioni del 1996 divenne presidente Lionel Fernandez Reyna, leader del Partito della Liberazione Dominicana (PLD), che formò un governo di centrosinistra. Nonostante i successi della sua politica economica, le elezioni presidenziali del 2000 segnarono la vittoria di un esponente del Partito rivoluzionario dominicano (PRD), Rafael Mejía Domínguez, che promosse l’adesione del paese al Trattato di libero commercio centro-americano (CAFTA-DR). Candidatosi nel 2004 per un secondo mandato, fu sconfitto da Lionel Fernandez Reyna. Quest’ultimo si riaffermò anche nelle elezioni presidenziali del 2008. Nel 2010 fu promulgata una nuova costituzione, nella quale, tra le altre misure, rientrò la proibizione dell’aborto e della possibilità di ricoprire consecutivamente due mandati presidenziali.
Nel 2012 tornò al potere il PLD e il suo candidato, Danilo Medina, divenne il nuovo presidente.