Corea

Penisola dell’Asia orientale. Dal 1953 è politicamente suddivisa in due stati: la Repubblica democratica popolare di Corea (Corea del Nord) e la Repubblica di Corea (Corea del Sud).

  1. Dalle origini alla guerra di Corea (1950-53)
  2. La Corea del Nord
  3. La Corea del Sud
1. Dalle origini alla guerra di Corea (1950-53)

Dal Neolitico la penisola coreana si caratterizzò per una civiltà elaborata che diede vita precocemente a stati organizzati su base tribale, come quello di Choson nel bacino del fiume Taedong. Sede di una cultura fondata sulla lavorazione del ferro, su un’agricoltura che faceva uso dell’aratro e della trazione animale e sull’impiego del cavallo in guerra, vide successivamente nascere gli stati di Koguryo, Paekche e Silla, monarchie ereditarie munite di una efficiente organizzazione militare fondata su una aristocrazia di origine tribale. Nella seconda metà del VII secolo d.C., quando si era ormai diffuso il buddhismo, il regno di Silla unificò la penisola con l’aiuto della Cina e lo stato centralizzato a cui diede luogo venne influenzato dalla cultura confuciana cinese. Nel secolo VIII, mentre crescevano le tensioni sociali e penetrava in Corea il buddhismo zen, la ribellione degli aristocratici ridusse il potere dell’autocrazia monarchica e permise l’ascesa di forze centrifughe e feudali. Nel 935 il sovrano Wang Kon riunificò il paese e fondò il regno di Koryo, uno stato centralizzato in cui l’aristocrazia godeva di privilegi sostanziali, come l’accesso favorito alla proprietà terriera. Nel 1170 un colpo di stato appoggiato dalla famiglia Ch’oe diede origine a un duro regime militare che bandì il buddhismo (sopravvisse segretamente la setta Chogye-jong, destinata a diventare la corrente principale del buddhismo coreano), suscitando però grandi rivolte contadine. Dopo l’occupazione mongola del 1231, la famiglia Ch’oe cedette il potere all’aristocrazia, che siglò un trattato di pace con gli invasori e ripristinò la dipendenza dall’impero cinese. Il rafforzamento del ceto aristocratico legato alla proprietà terriera portò alla diffusione del servaggio nel mondo rurale, mentre si affermava il ruolo sociale di una burocrazia mandarinale e confuciana di tipo cinese. Con il sostegno di questo ceto, nel 1392 il generale Yi Song-gye fondò la dinastia Yi, destinata a regnare sulla Corea fino al 1910. La nuova dinastia varò un’importante riforma agraria e costruì uno stato confuciano, tributario dell’impero cinese, con capitale nella sede dell’attuale Seul. Nel XV secolo, con la riforma dell’amministrazione e l’adozione di un alfabeto fonetico coreano (han’gul), iniziò un periodo di fioritura intellettuale. Nel 1592 e nel 1597, il giapponese Hideyoshi attaccò senza successo la Corea, mentre si profilava, dal nord, la minaccia manciù. Nel corso del XVII secolo i mancesi si fecero più aggressivi e nel 1637 occuparono Seul. La Corea continuò a essere uno stato tributario della Cina, retta dal 1644 dalla dinastia manciù dei Qing. Nella seconda metà del XVII secolo si ebbero i primi rapporti con portoghesi e olandesi, e poco più tardi si diffuse il cattolicesimo, dottrina impermeabile alla cultura confuciana. In un contesto segnato da una grave crisi sociale il cattolicesimo si affermava come dottrina di salvezza, come avrebbe fatto una nuova religione indigena che predicava profonde riforme sociali, il Tonghak. A partire dal 1864, il reggente Taewon-gun chiuse la Corea agli stranieri, ma nel 1876 il Giappone obbligò Seul ad aprire i porti di Pusan, Inch’on e Wonsan: la Corea era diventata parte degli interessi strategici nipponici. Nel 1894, una rivolta contadina ispirata dalla Tonghak favorì l’intervento cinese e giapponese, e il conflitto tra le due potenze asiatiche. La vittoria di Tokyo e la firma del trattato di Shimonoseki sancì l’egemonia nipponica sulla penisola coreana, in contrasto con la presenza russa nell’Asia nordorientale. Nel corso della guerra russo-giapponese del 1904-1905, Seul permise al Giappone di svolgere operazioni militari in Corea. La vittoria nipponica sull’impero russo portò nel dicembre 1905 al protettorato di Tokyo sulla Corea e infine, nel 1910, alla colonizzazione del paese. Un’accanita resistenza non riuscì a moderare i tratti feroci che caratterizzarono l’occupazione nipponica, con l’imposizione del governo militare, l’integrazione economica con il Giappone, l’assimilazione forzata e lo sviluppo dell’emigrazione giapponese. Nel 1919 si ebbero grandi proteste popolari duramente represse dall’esercito nipponico. In esilio a Shanghai, il nazionalista Syngman Rhee costituì un governo provvisorio, mentre in Corea si ebbero altre ribellioni antinipponiche nel corso degli anni Venti. Nel 1931 il Giappone impose nuovamente un regime militare alla Corea, accrescendo l’oppressione. Dopo il 1937, con l’invasione giapponese della Cina e l’avvio della seconda guerra mondiale, Tokyo inasprì ulteriormente il suo regime, impiegando i cittadini coreani a fini bellici. Nel 1945, con il collasso del Giappone, finiva la colonizzazione della Corea, ma a Jalta, in febbraio, non si era trovato un accordo tra sovietici e americani sul futuro della penisola. Nella richiesta di resa presentata dagli Stati Uniti alle truppe nipponiche in Corea, nell’agosto del 1945, si stabiliva che i giapponesi si sarebbero arresi ai sovietici a nord del 38º parallelo, agli americani a sud. Tra la fine del 1945 e il 1948 la vita politica coreana fu condizionata dal tentativo di giungere a soluzioni politiche e istituzionali coerenti con gli interessi contrapposti di Stati Uniti e Unione Sovietica che occupavano militarmente la penisola. In mancanza di accordi tra le due potenze, e con la nascita a nord di un’amministrazione di tipo comunista, in cui spiccava la figura di Kim Il Sung, mentre a sud si delineava una soluzione filoamericana, nel settembre 1946 Washington presentò alle Nazioni Unite la questione coreana, proponendo una risoluzione in chiave antisovietica per la convocazione delle elezioni, la formazione di un governo legittimo e il ritiro delle truppe straniere. La partizione del paese era prossima. Nel maggio del 1948 le elezioni nelle province meridionali videro la vittoria dell’anticomunista Syngman Rhee, eletto presidente a luglio, e la formazione della Repubblica di Corea il 15 agosto. A nord, le elezioni del 25 agosto 1948 sancirono la vittoria del Partito dei lavoratori, comunista. Il 9 settembre nacque la Repubblica democratica popolare coreana guidata da Kim Il Sung, con capitale P’yongyang. Alla fine del 1948 le truppe sovietiche si ritirarono dalla Corea del nord; a loro volta, nel giugno del 1949, le forze americane lasciarono il sud. I due regimi coreani, che continuavano a essere strettamente legati agli ex occupanti, rivendicavano la sovranità sull’intera penisola. Nel 1950 si giunse al conflitto, che segnò uno dei momenti più drammatici della guerra fredda. Il 26 giugno, le forze del regime di P’yongyang lanciarono un attacco a sud del 38° parallelo, e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvò una risoluzione di condanna dell’aggressione, in assenza del delegato sovietico che non poté imporre il veto. Il 27 il presidente Truman ordinò lo sbarco americano. Alla fine di giugno le forze del nord occuparono quasi tutto il paese, e le truppe degli Stati Uniti, guidate dal generale MacArthur e formalmente sotto il comando dell’ONU, si trincerarono intorno al porto di Pusan. Nel corso dell’estate, l’offensiva americana respinse le truppe di P’yongyang oltre il 38° parallelo. Il 26 ottobre, le forze di MacArthur raggiunsero il fiume Yalu, al confine con la Manciuria, provocando l’intervento cinese nel conflitto. Dopo essere state respinte, le truppe americane si attestarono, nel marzo 1951, al 38° parallelo. Il 23 giugno i sovietici proposero di discutere un cessate il fuoco e a luglio iniziarono le trattative, prima a Kaesong, poi a P’anmunjom. L’armistizio fu firmato, dopo uno stallo di due anni, il 27 luglio del 1953, sancendo la divisione della penisola in due stati: la Corea del Nord e la Corea del Sud.

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2. La Corea del Nord

Dopo il 1953, la Corea del Nord avviò un processo di ricostruzione fondato sui princìpi dell’economia pianificata e su istituzioni di tipo sovietico. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, con il delinearsi del contrasto cino-sovietico, Kim Il Sung oscillò tra Mosca e Pechino, assumendo posizioni prima filosovietiche, poi filocinesi, e infine mantenendosi equidistante tra le due potenze comuniste. Nel 1966 Kim annunciò un progetto per il mantenimento dell’autonomia del regime in politica estera, in campo economico e nella difesa nazionale. La crescita dell’economia, diretta da piani pluriennali, fu favorita dagli aiuti sia della Repubblica popolare cinese, sia dell’Unione Sovietica. Il regime, dai tratti autoritari e paternalistici, si contraddistinse per il rilievo politico delle forze armate e per un esplicito familismo. Il figlio di Kim Il Sung, Kim Chong Il, nel 1980 venne promosso al secondo posto della gerarchia e due anni più tardi fu nominato capo della potente Commissione militare del Comitato centrale del Partito. Nel 1988 il regime di P’yongyang si isolò rifiutando di partecipare all’organizzazione delle Olimpiadi di Seul, e l’anno successivo, con il crollo dei sistemi socialisti dell’Europa orientale, si chiuse ulteriormente facendo sempre più affidamento sulle forze armate. Il 24 maggio 1990 Kim Il Sung fu rieletto capo dello stato, rivelando che il regime, pur indebolito da risultati economici deludenti, non subiva gli effetti della crisi del comunismo mondiale. Nel febbraio 1991, tuttavia, fu denunciato il fallimento di un complotto interno per ostacolare la successione di Kim Chong Il al padre. L’isolamento di P’yongyang si rese evidente nel maggio 1991, quando il primo ministro cinese Li Peng annunciò che Pechino non avrebbe posto il veto all’ingresso della Corea del Sud alle Nazioni Unite, come aveva già fatto Mosca, obbligando il regime nordcoreano a firmare un patto di riconciliazione con Seul nel dicembre di quell’anno. La caduta del regime comunista in Unione Sovietica ebbe conseguenze di rilievo sul regime nordcoreano, accentuandone l’isolamento. Come reazione alla marginalità internazionale del regime, all’inizio degli anni Novanta P’yongyang sviluppò piani di armamento nucleare che suscitarono ostilità e diffidenza da parte di Seul, Washington e delle Nazioni Unite e che portarono, nel marzo 1993, al ritiro della Corea del Nord dal Trattato di non proliferazione nucleare. La chiusura del regime fu sottolineata, nell’aprile 1993, dall’ascesa di Kim Jong Il al vertice delle forze armate. La morte di Kim Il Sung nel 1994 portò alla guida del paese il figlio Kim Jong Il, il quale, pur non assumendo la carica di segretario del partito fino al 1997, negli anni successivi consolidò il proprio potere assoluto fino a far approvare nel 2009 un emendamento costituzionale con cui gli fu assegnato lo status di leader supremo. Nel 1994 fu raggiunto un accordo in base al quale la Corea del Nord si impegnò a smantellare gli impianti nucleari in cambio di due nuovi reattori per uso pacifico. Nel 1999 ebbero luogo incontri tra rappresentanti delle due Coree, degli USA e della Cina al fine di verificare le condizioni per la pace tra i due stati della penisola. L’affondamento di una nave nordcoreana da parte dei sudcoreani determinò una rottura temporanea dei colloqui. Nel giugno del 2000, tuttavia, in uno storico incontro tra i rispettivi capi di stato, fu raggiunto un accordo per l’effettiva riunificazione delle due Coree. Nonostante il ristabilimento di relazioni diplomatiche con numerosi paesi occidentali, negli anni successivi i rapporti con gli USA e i loro alleati conobbero un drastico peggioramento, soprattutto a causa delle ambizioni militari del regime nordcoreano, che nel 2009 realizzò con successo un test nucleare sotterraneo. Anche per questa ragione, le relazioni con la Corea del Sud subirono, nel corso degli anni Duemila, continue oscillazioni. Soprattutto a partire dal 2007, in seguito all’elezione di Lee Myung-bak alla presidenza della Corea del Sud, si verificarono numerosi incidenti militari, che determinarono il netto raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.
La scomparsa, nel dicembre 2011, di Kim Jong Il e l’elevazione del figlio, Kim Jong-Eun, a guida suprema dello Stato contribuirono a rendere più incerti sia i rapporti tra i due paesi, sia il futuro della stessa Corea del Nord.
Nel 2013 la nuova leadership diede il via a una nuova escalation delle tensioni, effettuando nuovi test nucleari sotterranei e minacciando attacchi missilistici contro Stati Uniti e Corea del Sud.

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3. La Corea del Sud

Il regime autoritario e dispotico di Syngman Rhee, eletto presidente una seconda volta nel 1952 e ancora nel 1955 dopo aver fatto emendare la costituzione per assicurarsi un potere personale illimitato, cadde nel 1960 quando violente proteste studentesche portarono all’effimero governo parlamentare di Chang Myon. Un colpo di stato militare, nel maggio 1961, portò al potere il generale Park Chung Hee che favorì la nascita di un sistema presidenziale. Lo stesso Park, in competizioni elettorali manipolate, venne eletto al vertice dello stato nel 1963, nel 1967 e ancora nel 1971, quando sconfisse il candidato democratico Kim Dae-Jung. Nel 1972 Park Chung Hee sospese la costituzione e sciolse il parlamento instaurando un sistema apertamente dittatoriale e agitando il tema della riunificazione nazionale. Dopo aver rafforzato il proprio potere personale, Park si fece eleggere presidente ancora nel 1972 e nel 1978, ma venne assassinato dal capo dei servizi segreti del regime il 26 ottobre 1979, e fu sostituito dal primo ministro Choi Kyu-han che ripristinò il vecchio sistema autoritario. Nel maggio 1980 un nuovo colpo di stato militare introdusse ancora la legge marziale per sedare ricorrenti proteste studentesche, e vennero indette elezioni che sancirono la vittoria del generale Chun Doo Hwan. Varata una nuova costituzione, Chun fu eletto ancora nel febbraio del 1981. In questo periodo, il regime, che godeva del pieno sostegno di Washington, attenuò i suoi tratti più autoritari, permettendo al capo dell’opposizione Kim Dae-Jung, che era stato condannato a morte, di riparare negli Stati Uniti alla fine del 1982 e di riprendere una pur condizionata attività politica in patria nel 1985. Nel contesto di una crescita economica straordinaria, anche se con costi sociali assai elevati, che portarono ripetutamente allo scoppio di rivolte e movimenti di protesta studenteschi, nella seconda metà degli anni Ottanta si delinearono soluzioni politiche di tipo democratico. Nel 1987 vennero introdotte riforme costituzionali, si liberarono i prigionieri politici e si assicurarono i diritti civili. Le elezioni presidenziali del dicembre 1987, non condizionate da brogli come in passato, videro comunque la vittoria di Roh Tae Woo, del partito di governo, su un’opposizione divisa. Nel 1988 il nuovo presidente poté utilizzare il successo nella organizzazione delle Olimpiadi a Seul per rafforzare il proprio prestigio. Sul piano internazionale, alla fine degli anni Ottanta Seul si avvicinò all’Unione Sovietica e alla Cina con cui ristabilì le relazioni diplomatiche rispettivamente nel 1990 e nel 1992. Nel 1990 un cauto riavvicinamento con P’yongyang portò all’incontro di delegazioni ministeriali. Alla fine del 1991 fu firmato un patto di riconciliazione e di non aggressione tra i due paesi, che nello stesso anno furono ammessi all’ONU. I successi economici e diplomatici di Roh Tae Woo non assicurarono al presidente la permanenza al vertice e, in un contesto contrassegnato anche da casi di corruzione politica, alle elezioni presidenziali del dicembre 1992, le prime effettivamente libere, si affermò Kim Young Sam, del partito di governo ma con un passato riformista, che sancì il passaggio a un regime compiutamente democratico. Il governo si trovò a dover affrontare i difficili rapporti con la Corea del Nord sempre più decisa a portar avanti i suoi programmi di armamento nucleare. Dopo una seria crisi determinata da numerosi arresti e processi per corruzione, il partito di governo, cioè il Partito democratico del lavoro, subì un netto ridimensionamento alle elezioni del 1999, restando però al potere nel quadro di una coalizione. Nel 1997, in un contesto segnato da una seria crisi economica, fu eletto presidente l’ex leader dei dissidenti Kim Dae Jung, il quale avviò una politica di distensione nei confronti della Corea del nord, che condusse nel 2000 a uno storico accordo in vista della riunificazione delle due Coree. Nelle successive elezioni del 2003 Kim Dae Jung cedette la presidenza al suo compagno di partito Roh Moo Hyun. A quest’ultimo succedette nel 2007 il conservatore Lee Myung-bak, il quale, a fronte delle continue provocazioni da parte della Corea del nord, assunse una linea maggiormente intransigente rispetto a quella seguita dai suoi predecessori, che rischiò, dopo il bombardamento dell’isola sudcoreana di Yeonpyeong nel 2010, di degenerare in scontro aperto.
Alle successive elezioni presidenziali del 2012 si riconfermò alla guida del paese un candidato del Grande partito nazionale (divenuto nel frattempo Partito della nuova frontiera), Park Geun-Hye, prima donna coreana ad assumere la carica di capo dello stato.

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