Bolivia

Stato attuale dell’America meridionale.

  1. Dalle origini all’età coloniale
  2. Indipendenza e instabilità
1. Dalle origini all’età coloniale

Il territorio dell’attuale Bolivia fu originariamente abitato da popolazioni di stirpe aymará, le quali, stanziatesi in epoca non precisata nel bacino del lago Titicaca, diedero vita a una fiorente civiltà agricolo-pastorale (estesa dal litorale pacifico all’altopiano boliviano) che conobbe un notevole sviluppo tra il 200 a.C. e il 600 d.C. ed ebbe il suo principale centro culturale nella città di Tiahuanaco. Suddivisisi a partire dall’800 in tanti piccoli stati tribali uniti da un patto federativo, gli aymará tra il 1460 e il 1475 furono assoggettati dagli inca e divennero parte integrante del loro impero. La conquista dell’impero inca a opera di Francisco Pizarro (1532-33) segnò il passaggio del loro territorio sotto la dominazione spagnola. Arida e montuosa, la Bolivia occidentale (allora chiamata Alto Perú o Charcas) attrasse gli spagnoli grazie alla straordinaria ricchezza delle miniere d’argento di Potosí, scoperte nel 1545. Per oltre un secolo, fino cioè all’esaurimento dei giacimenti di superficie (i soli accessibili alle rudimentali tecnologie dell’epoca), essa fu meta di un imponente flusso migratorio, formato per lo più da cercatori che si riversarono nelle zone minerarie alla ricerca del prezioso metallo. La colonizzazione assunse così un carattere particolarmente predatorio, in quanto basata sul saccheggio sistematico delle risorse del paese attraverso l’impiego forzato della manodopera locale e, successivamente, nera. Posta inizialmente alle dipendenze del viceregno del Perú, la Bolivia passò nel 1776 sotto il viceregno del Río de la Plata. Per tutto il periodo coloniale, gli spagnoli dovettero fronteggiare la resistenza delle popolazioni indie, che si manifestò a partire dalla metà del secolo XVII in una serie di sollevazioni popolari culminate della rivolta di José Gabriel Tupac Amaru (1780-82). Nel 1809, in concomitanza con il più ampio movimento di liberazione delle colonie ispano-americane, scoppiò una insurrezione antispagnola a Chuquisaca, guidata dall’élite creola. L’insurrezione fu repressa ma segnò l’inizio di una lunga lotta che si concluse nel 1824 con la vittoria riportata dal generale Antonio de Sucre, inviato da Simón Bolívar, sull’esercito spagnolo nella battaglia di Ayacucho. L’anno seguente, un congresso a Chuquisaca proclamò ufficialmente l’indipendenza: l’Alto Perú prese il nome di Bolivia, in onore di Bolívar, e la sua capitale, Chuquisaca, venne ribattezzata Sucre.

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2. Indipendenza e instabilità

La vita del nuovo stato fu caratterizzata da un alto grado di instabilità politica che si manifestò nel rapido succedersi, tra rivoluzioni e colpi di stato, di una serie di governi deboli e incapaci di affrontare i gravi problemi del paese. In politica estera iniziative ambiziose portarono a un drastico ridimensionamento della Bolivia, che in poco più di un secolo perse in logoranti conflitti con gli stati vicini quasi la metà del proprio territorio. Il tentativo del generale Andrés de Santa Cruz, succeduto a Sucre nella carica di presidente, di dar vita a una confederazione tra la Bolivia e il Perú (1836) provocò una guerra con il Cile che si concluse con la sconfitta e l’esilio di Santa Cruz (1839). Un nuovo conflitto con il Cile, la cosiddetta guerra del Pacifico (1879-83), scoppiata nel 1879 per il controllo dei depositi di nitrati scoperti nella regione di Atacama, costò alla Bolivia la perdita delle province costiere e quindi di ogni sbocco sul mare. Nel 1903 una controversia con il Brasile relativa al territorio del fiume Acre, ricco di caucciù, fu risolta con la cessione al Brasile della regione contesa dietro indennizzo. Infine, antichi contrasti tra la Bolivia e il Paraguay per i confini nel Gran Chaco, riemersi nel 1927, sfociarono in una sanguinosa guerra (1932-35) in seguito alla quale la Bolivia, uscita ancora una volta sconfitta, dovette rinunciare alla maggior parte del territorio in questione (guerra del Chaco). La guerra perduta con il Paraguay ebbe l’effetto di far emergere la grave arretratezza della società boliviana e di mettere in discussione il potere dell’oligarchia dominante. Nel luglio del 1937, un ennesimo colpo di stato militare mandò al potere il colonnello Germán Busch, il quale si fece portatore di istanze nazionalistiche (nel corso degli anni Venti si era avuta una massiccia penetrazione del capitale nordamericano che si era assicurato il controllo di gran parte delle risorse minerarie e petrolifere) e populistiche, tentando di colpire gli interessi dei grandi proprietari. La sua morte, avvenuta nel 1939 in circostanze misteriose, segnò una vittoria per le forze conservatrici. Nel 1942 si ebbe uno spaventoso massacro di minatori nelle miniere di Catavi, ma l’opposizione crebbe nel paese fino a sfociare in una rivolta militare appoggiata dal Movimento nazionalista rivoluzionario (MNR), che portò alla caduta del vecchio regime (dicembre 1943). Il nuovo governo, presieduto da Gualberto Villaroel, incontrò l’ostilità degli Stati Uniti che temevano le tendenze filofasciste di alcuni esponenti del MNR e il suo programma di nazionalizzazioni. Tale ostilità venne solo in parte attenuata dalla dichiarazione di guerra alle potenze dell’Asse nel 1943. L’avvio di una serie di riforme sociali, tese ad alleviare le inumane condizioni di vita dei minatori e dei contadini, rinsaldò ancora una volta il fronte della conservazione. Nel luglio del 1946 un colpo di stato restituì il potere alle destre, ma i governi che seguirono dovettero fronteggiare l’opposizione congiunta del MNR e della sinistra comunista. Nel 1951 si tennero le elezioni presidenziali. Il candidato e leader del MNR, Victor Paz Estenssoro, ottenne la maggioranza. Di fronte al tentativo da parte di una giunta militare di impedirne l’insediamento, il MRN guidò un’insurrezione e, con l’appoggio della guardia civile e di milizie popolari, conquistò il potere nel 1952. Il nuovo governo, guidato dallo stesso Estenssoro, procedette alla nazionalizzazione delle miniere di stagno, avviò la riforma agraria (1952-53), concesse agli indiani il diritto di voto. Le misure adottate ebbero conseguenze disastrose per l’economia del paese, che dovette fronteggiare una crisi economica di grandi proporzioni, contrassegnata da un forte calo della produzione dello stagno, in un quadro mondiale di diminuzione dei prezzi, e da una inflazione galoppante. Le difficoltà spinsero Estenssoro a cercare l’aiuto degli Stati Uniti in cambio di una politica economica più moderata e della liquidazione della sinistra comunista, i cui capi vennero messi fuori legge e perseguitati, ma ciò contribuì ad alienargli il consenso popolare. Seguì un periodo di gravi tensioni sociali in un clima di radicalizzazione della lotta politica. Nel 1964 un nuovo colpo di stato militare rovesciò il governo. Prese il potere il generale René Barrientos Ortuño. Sotto la sua presidenza (1966-69) si concluse il tentativo di dar vita a un movimento rivoluzionario nelle campagne sul modello cubano, promosso da Ernesto Che Guevara. La morte di Barrientos, avvenuta in un incidente aereo, precipitò la Bolivia in una nuova fase di instabilità, che ebbe come protagonisti alternativamente gruppi militari di destra e di sinistra. Nel settembre del 1969 un colpo di stato portò al potere il generale Alfredo Ovando Candia, il quale nazionalizzò la compagnia petrolifera statunitense Gulf Oil e avviò relazioni diplomatiche e commerciali con l’URSS. Una giunta militare di destra destituì Ovando nell’ottobre del 1970, ma venne a sua volta rovesciata dal generale Juan José Torres che, forte dell’appoggio dei sindacati e dei partiti di sinistra, riprese la politica di avvicinamento ai paesi del blocco sovietico in chiave nazionalistica e antiamericana. Il governo Torres durò pochi mesi. Una coalizione formata dalle forze tradizionalmente conservatrici e dal MNR portò nell’agosto del 1971 alla formazione di una nuova giunta militare presieduta dal colonnello Hugo Banzer Suárez. Questi strinse i legami con gli Stati Uniti, instaurò una rigida dittatura e tentò di rilanciare lo sviluppo economico a spese delle masse popolari, sollevando in tal modo un’ondata di agitazioni (tra i contadini, tra i minatori, tra gli studenti e anche fra i quadri dell’esercito) che ne determinarono l’isolamento. Nel tentativo di rilegittimare la sua dittatura, Banzer indisse le elezioni per il luglio del 1978. Queste diedero la maggioranza al suo candidato, Juan Pereda Asbun, ma i risultati furono contestati dalle opposizioni e successivamente annullati. Pereda assunse egualmente il potere grazie a un pronunciamento militare. Messo in ginocchio da un nuovo durissimo sciopero dei minatori, Pereda fu sostituito nel novembre 1978 dal generale David Padilla Arancibia, il quale acconsentì allo svolgimento di nuove elezioni. Queste si tennero nel luglio del 1979. Poiché nessuno dei candidati – Victor Paz Estenssoro per il MRN, Hernán Siles Zuazo per la Unità democratica e popolare (UDP), Hugo Banzer Suárez per l’Azione democratica nazionalista (ADN) – ottenne la maggioranza assoluta, il nuovo presidente fu eletto dal Congresso nella persona di Walter Guevara Arze, che accettò l’incarico ad interim. Nel novembre dello stesso anno, il colonnello Alberto Natusch Busch con un nuovo pronunciamento si autoproclamò presidente, ma le reazioni nel paese furono di tale portata da indurlo a dimettersi spontaneamente dopo soli quattordici giorni; al suo posto venne designata, dopo faticosi negoziati tra i vari schieramenti, Lidia Gueiler Tejada, esponente del MNR. Nuove elezioni furono fissate per il giugno 1980. La vittoria andò ai candidati dell’UDP, ma i militari impedirono ancora una volta il ritorno alla legalità democratica, gettando il paese nel caos mentre infuriava una crisi economica senza precedenti. Dopo una serie di giunte militari, rivelatesi impotenti di fronte alla gravità dei problemi, si giunse infine alla convocazione del Congresso, sciolto nel 1980, che elesse come presidente il leader dell’UDP, Hernán Siles Zuazo (1982). Il suo governo tentò, senza successo, di varare misure anticrisi suscitando il malcontento delle masse popolari ed entrando in rotta di collisione con i sindacati. Il ricorso anticipato alle urne nel 1985 riportò al potere Victor Paz Estenssoro il quale, forte della popolarità acquisita nel passato, riuscì ad affrontare con un qualche successo il riordino della finanza statale. Più difficile si rivelò la lotta alla corruzione pubblica e al traffico della droga, divenuto nel frattempo una vera e propria piaga nazionale. Un tentativo effettuato nel 1988 di limitare la coltivazione della coca, cui erano interessate molte migliaia di coltivatori, fu causa di gravi contrasti. Estenssoro riuscì a portare a termine il suo mandato. Nel 1989 si svolsero le nuove elezioni, con esito ancora una volta non decisivo, poiché nessuno dei candidati ottenne la maggioranza. Il Congresso, con una insolita coalizione formata dal Movimento della sinistra rivoluzionaria (MIR) e dalla ADN, nominò presidente Jaime Paz Zamora, del MIR. Zamora attuò una politica di liberalizzazione e lanciò un programma di riforme economiche che ebbe risultati tangibili (calo dell’inflazione, aumento del prodotto interno lordo, ripresa degli investimenti esteri). Sul piano politico si adoperò per eliminare le cause della corruzione. Nel 1990 fu annunciato un piano di aiuti per promuovere la sostituzione delle piantagioni di coca. Il processo di risanamento dell’economia ebbe costi elevati per gli strati più deboli della popolazione, che pagarono con la perdita di posti di lavoro, dell’assistenza sociale e, in generale, con un peggioramento del livello di vita. Le elezioni presidenziali del 1993 videro la vittoria del candidato del MNR Gonzalo Sanchez de Lozada, un neoliberista che come ministro conseguì nella seconda metà degli anni Ottanta decisivi successi nella lotta contro l’inflazione. I propositi del governo di attuare una serie di riforme di indirizzo neoliberista con ampie privatizzazioni provocarono un’ondata di agitazioni promosse dai sindacati di sinistra, che portarono nel 1995 allo stato d’assedio e alla sospensione delle libertà civili. Violente agitazioni proseguirono nell’anno successivo. Una netta sterzata politica a destra portò nel 1997 all’elezione presidenziale dell’ex dittatore Hugo Bánzer Suárez cui subentrò, nel 2001 il vicepresidente J. Quiroga Ramírez. Nel 2002, dopo un serrato testa a testa al primo turno con Evo Morales, fu eletto Gonzalo Sanchez de Lozada, il quale, durante il proprio mandato, dovette far fronte all’aumento della recessione e della protesta popolare, che degenerò presto in violenza. Nel 2003 Lozada fu costretto a dimettersi, venendo sostituito dal suo vice Carlos Mesa Gilbert. Le successive elezioni del 2005 videro il successo del primo presidente indigeno, Evo Morales. Fondatore del partito di sinistra Movimiento al Socialismo (MAS), si impegnò a fondo per la tutela dei diritti delle comunità indigene e provvide alla nazionalizzazione di alcuni settori strategici dell’industria, tra cui quella petrolifera. Tali provvedimenti suscitarono violente opposizioni nelle province orientali e più sviluppate del paese, cui Morales rispose indicendo nel 2008 un referendum a sostegno del proprio operato. Nel 2009, con un secondo referendum, fu approvata una nuova costituzione, che diede a Morales la possibilità di ricandidarsi per un secondo mandato consecutivo e il potere di sciogliere il parlamento. Nel 2009 furono indette nuove elezioni, che riconfermarono Morales alla presidenza e garantirono al MAS la maggioranza in entrambi i rami del parlamento.

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