L’Impero romano e i popoli barbari nel II e III secolo

barbari Le popolazioni barbariche

Vi sono età contraddistinte da ampi movimenti migratori di popoli in tumultuosa ricerca di nuove e più confortevoli sedi. Tali periodi sono generalmente considerati momenti di transitorio disordine tra fasi relativamente stabili, nei quali le genti barbariche – “straniere” nella coscienza dei popoli sedentari – si configurano come impulso decisivo, e al contempo positivo, verso grandi mutamenti. Durante i secoli II-VI d.C., sotto l’incalzare di altri gruppi tribali, i germani, alternando scorrerie momentanee a reali ondate migratorie, raggiunsero i confini dell’impero romano all’altezza delle frontiere renane e danubiane, dove furono momentaneamente contenuti dalle strutture difensive dell’antico limes. In base a un criterio puramente geografico si è usi, nella ricerca storiografica più tradizionale, suddividerli in germani orientali (goti, burgundi, vandali e rugi) e in germani occidentali (franchi, bavari, alamanni nonché angli e sassoni). Vero è che sin dai secoli I-IV d.C. altre popolazioni nomadi non indoeuropee – unni e avari originari delle steppe inospitali comprese tra i Carpazi e l’Amur – erano a loro volta migrate verso Occidente così da unirsi ai germani orientali o anche da sottometterli. Sovrappostesi le une alle altre – e costituendo talvolta vere dominazioni territoriali rese instabili da combattimenti continui e da confini incerti e fluttuanti – queste genti nel corso del tempo modificarono gli equilibri politici, economici e sociali del civile e prospero mondo mediterraneo erede dell’età classica. L’inarrestabile movimento di tali popolazioni e in particolare la Völkerwanderung dei germani – la grande ondata migratoria che scosse allora l’Europa – produssero esiti di vaste proporzioni. In primo luogo contribuirono a disgregare l’impero romano d’Occidente, alterandone strutture etniche e linguistiche. Si trattò quasi di un’anticipazione dei successivi spostamenti degli slavi, così come delle incursioni dei popoli scandinavi dal nord durante i secoli VIII-X, i vichinghi, nonché dell’irruzione degli arabi nel Mediterraneo. La penetrazione di tali genti fu favorita dalla debolezza politica ed economica dell’impero romano dilaniato, specie nel secolo III d.C., da una profonda crisi sociale, militare e dinastica. I romani cercarono di opporsi agli invasori – sospinti ora da semplici intenti di razzia, ora da autentici propositi di conquista – con ogni mezzo e con alterne fortune, soprattutto cercando di contenerne il flusso migratorio tramite il loro inserimento negli ordinamenti dell’impero. I germani furono così accolti sia nell’esercito – arruolati in qualità di mercenari o come “federati” – sia nelle campagne con la concessione di terre attribuite loro appunto in diverse forme e a vario titolo. Il fenomeno della barbarizzazione dell’esercito imperiale, largamente diffusosi in Occidente, contribuì così a modificare le strutture militari, e in parte anche quelle civili, di un mondo antico che nei secoli IV e V appariva ormai più prossimo all’età altomedioevale che a quella classica.