Carta dell’Oriente e delle Vie della Seta, delle Spezie e della Via scitica

Cina Gli Han e l’effettiva unificazione dei cinesi

Dopo la morte del “primo imperatore” il suo regime autoritario fu travolto da una grande rivolta nella quale confluirono il malcontento delle masse dei lavoratori coatti e le spinte localiste e pluraliste troppo subitaneamente negate. L’unità dello stato era comunque un’idea ormai acquisita e ha costituito da allora il fattore dominante della storia cinese. Superate sanguinose tensioni tra i ribelli, nel 202 a.C. fu fondata la dinastia Han, destinata a durare, non senza crisi, fino al 220 della nostra era. Nel corso di questi cinque secoli, il potere unitario dello stato favorì uno straordinario sviluppo dell’economia e della cultura, estese lo spazio controllato dalla Cina dall’Asia centrale al Vietnam e alla Corea, diede forma permanente alle istituzioni centrali e locali ed elaborò una cultura politica che identificava i valori fondanti dello stato e della società. Al tempo stesso, e soprattutto, gli Han unificarono le genti che popolavano l’impero con una politica programmata di migrazioni e di assimilazione dei diversi, che acquisivano gradualmente le prerogative dei cinesi non perché appartenessero a una “razza” ma perché condividevano una cultura materiale e spirituale ed erano compartecipi dei suoi benefici, cioè di una superiore prosperità e di un duraturo ordine pacifico. Quelle genti unificate furono e sono conosciute come Han. La massa umana degli Han – 57 milioni all’inizio dell’era volgare – fu capace di attrarre e assimilare i “barbari” che in varie epoche entrarono nello spazio cinese acquisendo gradualmente le forme di vita sociale, le pratiche tecniche e produttive, le concezioni ideologiche e la stessa lingua degli Han. Soltanto le genti insediate in aree inadatte all’agricoltura intensiva al margine dello spazio cinese non furono assimilate ma si limitarono a stabilire vincoli di subalternità, fondati su rapporti di forza determinati dalla ricchezza della Cina più che dalla sua potenza militare. Fin dall’inizio la dinastia Han rinunciò all’arbitrio terroristico del “primo imperatore” e inaugurò una tradizione di “benevolenza” del potere, gestito da uomini colti utilizzati come amministratori. Di origine aristocratica e legata alle tradizioni locali, la classe dirigente centrale divenne gradualmente una burocrazia meritocratica libera da legami particolaristici e trovò nella tradizione confuciana il complesso di valori di riferimento sui quali fondare la gestione dello stato. L’eredità della scuola legista non fu tuttavia soppressa, ma si fuse con quella confuciana nell’elaborare gli strumenti di governo e le forme di intervento nell’economia da parte dello stato, che sotto gli Han monopolizzò la produzione di sale, ferro e laterizi. La terra rimase nelle mani dei privati. L’ideale della classe dirigente era quello di un popolo di coltivatori diretti autosufficienti, impegnati a presidiare militarmente il territorio e a prestare lavoro collettivo per il compimento delle opere pubbliche. Nella realtà, la proprietà della terra si concentrò presto nelle mani di grandi famiglie di proprietari-notabili non impegnati nel lavoro e dediti al commercio, alla produzione manifatturiera o alle attività amministrative, mentre un numero crescente di coltivatori doveva prendere in affitto la terra o ne era completamente espulso, accrescendo le masse dei poveri o degli operai asserviti ai notabili. Questa polarizzazione sociale determinò a più riprese grandi rivolte contadine di orientamento taoista e, poco dopo l’inizio della nostra era, l’insediamento di una breve dinastia che statizzò la terra e ogni attività economica. Le grandi famiglie dei proprietari-notabili, tuttavia, erano ormai divenute la forza sociale decisiva dell’impero e controllarono il potere centrale fino a che una serie di proteste sociali e di interventi dei militari pose fine all’unità imperiale nel 220.