Le aree di influenza in Africa all’inizio degli anni Ottanta

Africa La decolonizzazione

Gli anni Cinquanta del XX secolo videro un graduale processo di emancipazione delle colonie africane dalle metropoli, grazie a crescenti concessioni politiche da parte soprattutto di Francia e Inghilterra, al risveglio del nazionalismo unito alla coscienza di un comune retaggio culturale (panafricanismo) e all’emergere di grandi leader politici, e anche a violente ribellioni. Intorno al 1960 tutte le colonie francesi, inglesi e belghe ottennero l’indipendenza; ma la decolonizzazione ebbe veramente fine solo nel 1974-75, con l’indipendenza delle colonie portoghesi. Nate dai confini coloniali e non dalle unità etniche e politiche precedenti, le nuove nazioni africane dovettero affrontare gravi problemi economici, sociali e politici che furono risolti solo in parte dall’adozione di sistemi produttivi ed educativi unificati e dall’ascesa al potere di élites politiche occidentalizzate. Malgrado un certo sviluppo, l’economia della maggior parte dei paesi africani, ancora dipendente in gran parte dalle ex metropoli, fu gravemente indebolita dal crescente squilibrio degli scambi commerciali; mentre i sistemi democratici instaurati dagli europei crollarono quasi ovunque sotto la spinta degli odi tribali e razziali e della corruzione, cedendo il posto a oligarchie tribali o a regimi militari più e meno autoritari. All’indomani della fine della guerra fredda, che aveva comportato l’allineamento di molti regimi africani all’Unione Sovietica, il continente continuò a soffrire degli stessi gravi problemi del periodo post-coloniale e soprattutto a essere segnato da una grave e diffusa instabilità politica, che si tradusse in sanguinose guerre civili e in devastanti scontri etnici – cui sovente non restarono estranei gli interessi dei grandi paesi occidentali – sino al genocidio del Ruanda nel 1994, alla cosiddetta “Grande guerra africana”, che, protraendosi per quasi un decennio (1996-2003) e coinvolgendo un ampio numero di stati – tra cui Ruanda, Burundi, Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Angola, Ciad, Namibia e Zimbabwe – causò oltre cinque milioni di vittime. Ad aggravare ulteriormente la situazione, soprattutto nella regione subsahariana, contribuirono in maniera determinante anche il continuo aumento della popolazione, il diffondersi dell’AIDS, le periodiche emergenze umanitarie e la progressiva alterazione degli equilibri ambientali causato dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse minerarie e forestali. Nonostante la relativa stabilità politica e dinamicità economica di realtà quali il Sudafrica, il Namibia e il Botswana, nel complesso, la maggioranza degli stati africani registrò un aumento significativo dei tassi di impoverimento.