La dissoluzione della Jugoslavia dal 1991

Iugoslavia Dalla dissoluzione della Iugoslavia alla Repubblica federale di Iugoslavia

Nel contesto della crisi della federazione, emerse con forza il nazionalismo serbo. Nel 1987 il leader dei comunisti serbi, Slobodan Milosevic lanciò il progetto di costituzione di una “Grande Serbia”, comprendente, oltre alla Serbia, la Voivodina, il Kosovo per l’85% con popolazione albanese, le zone della Croazia a maggioranza serba, buona parte della Bosnia-Erzegovina, con mire sulla Macedonia. Il movimento autonomistico nel Kosovo venne duramente represso dai serbi. Il collasso del comunismo nell’Est europeo accelerò potentemente il disfacimento della federazione. Dopo aver costituito nel 1990 governi non comunisti, la Slovenia e la Croazia proclamarono nel giugno del 1991 la propria indipendenza. Il tentativo dell’esercito, controllato dai serbi, di mantenere il controllo su di esse fallì dopo un breve periodo di combattimenti. In settembre la Macedonia seguì l’esempio sloveno e croato; nell’ottobre del 1991 fu la volta della Bosnia-Erzegovina, composta da una maggioranza musulmana di fronte a cui però stavano due forti minoranze, la serba (33%) e la croata (18%). La minoranza serba, con l’appoggio determinante della Serbia, la quale deteneva il controllo di gran parte di quello che era stato il potente esercito iugoslavo, diede subito inizio a una feroce guerra civile, col proposito di smembrare la nuova repubblica e unire la parte serba alla Serbia, mettendo altresì in atto un processo di “purificazione etnica” con pratiche di sterminio nei confronti dei musulmani. Dal canto loro i croati iniziarono una lotta con analoghi propositi di smembramento e di annessione alla Croazia. Nel 1992 Serbia e Montenegro procedettero alla costituzione di una nuova Repubblica federale di Iugoslavia, sotto la leadership degli ex comunisti e di Milosevic, dominata dal nazionalismo serbo. Nel dicembre del 1995 si giunse – con la mediazione internazionale e la determinante influenza degli Stati Uniti – ad accordi di pace (gli accordi di Dayton), in base ai quali la Bosnia-Erzegovina fu divisa in due parti: una federazione musulmano-croata, col 49% del territorio, e una repubblica serba, col 51%. Nella seconda metà degli anni Novanta rimasero difficili e tesi i rapporti della Repubblica federale di Iugoslavia con le nuove entità politiche sorte dalla dissoluzione della vecchia Iugoslavia. Un nuovo e assai grave focolaio di crisi si aprì tuttavia nel Kosovo (regione autonoma della Serbia), dove Milosevic nel 1998 represse ferocemente le spinte all’autonomia della minoranza albanese e dei gruppi separatisti dell’UCK, provocando nel 1999 l’intervento militare della NATO e una serie di durissimi bombardamenti aerei, che si protrassero dal marzo al giugno. In base agli accordi siglati in giugno, il Kosovo ottenne una sostanziale autonomia e fu posto sotto l’amministrazione ONU. La sconfitta militare favorì la vittoria dell’opposizione democratica alle elezioni federali del settembre 2000. Nel 2003 fu deciso di cambiare il nome della federazione in “Serbia e Montenegro” e di delegare maggiori poteri alle due repubbliche, elevate a stati semi-indipendenti con una propria costituzione e una propria moneta. Nel giugno del 2006, dopo un referendum in cui il Montenegro si espresse a favore della propria piena indipendenza, fu infine sancita la fine definitiva della Iugoslavia.