Le ferrovie in Italia nel 1914

Italia L’Italia fra le due guerre mondiali. Il fascismo

Scoppiata nell’agosto del 1914 la prima guerra mondiale, l’Italia proclamò la sua neutralità. Contro l’intervento si schierò la maggioranza del paese: i liberali giolittiani, i socialisti, i cattolici, parte del mondo industriale; a favore una minoranza di nazionalisti, imperialisti, interventisti democratici che vedevano nella guerra l’occasione di ottenere Trento e Trieste e di sconfiggere le potenze autoritarie e militaristiche liberando le nazionalità oppresse, i liberali antigiolittiani, la monarchia, gli industriali interessati alla produzione bellica. Mussolini ruppe con i socialisti, passando agli interventisti. Dopo inconcludenti trattative con Austria e Germania per compensi territoriali, il governo Salandra firmò con la Triplice Intesa (26 aprile 1915) il patto segreto di Londra, che prometteva all’Italia il Trentino, Trieste e l’Istria, la Dalmazia, zone dell’impero turco, compensi coloniali. Dopo le agitazioni di piazza in cui ebbe un ruolo preminente il poeta Gabriele D’Annunzio, il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra contro l’Austria-Ungheria. Il corso del conflitto vide l’esercito italiano dapprima impegnato in una dura guerra di logoramento, con momenti di acuta crisi come quella determinata dalla “spedizione punitiva” (Strafexpedition) austriaca del maggio 1916, che provocò la caduta del governo Salandra e la costituzione di un governo con a capo Paolo Boselli (1916-17). Nell’agosto 1916 fu dichiarata guerra anche alla Germania. Nell’ottobre del 1917 gli italiani subirono la disastrosa disfatta di Caporetto, che portò a capo dell’esercito, dopo Luigi Cadorna, contraddistintosi per una grande durezza nei confronti della massa dei soldati, il generale Armando Diaz e alla guida del governo Vittorio Emanuele Orlando (1917-19). L’esercito resistette sulla linea del Piave e contrattaccò ottenendo infine la vittoria a Vittorio Veneto (ottobre 1918). Il conflitto lasciò l’Italia, nonostante la vittoria, in uno stato di prostrazione. I morti erano stati circa 600.000. In conseguenza dell’opposizione del presidente americano Wilson agli obiettivi imperialistici dell’Italia, questa ottenne dai trattati di pace il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e isole del Dodecanneso, ma non tutti i compensi previsti dal patto di Londra. Si parlò allora di “vittoria mutilata”. Acuto si rinnovò il conflitto fra neutralisti e in prima fila i socialisti, che misero sotto accusa la classe dirigente liberale e i nazionalisti per aver voluto la guerra, e interventisti. D’Annunzio con militari sediziosi occupò Fiume (1919). Il 1919-20 fu un periodo di aspri conflitti sociali e politici. In molte zone del sud i contadini presero a occupare le terre. Gli operai del nord misero in atto un’ondata di scioperi e agitazioni. Il PSI, sotto l’influenza della vittoria dei bolscevichi in Russia, mise all’ordine del giorno in Italia la rivoluzione socialista. Il dopoguerra fu contrassegnato da una completa alterazione dei rapporti di forza politici. Nel gennaio 1919, entrando direttamente nella scena politica, i cattolici formarono il Partito popolare italiano, guidato da Luigi Sturzo, con l’intento di opporsi alla minaccia rivoluzionaria socialista e di imprimere un nuovo indirizzo politico al paese dinanzi alla crisi dei liberali. In marzo Mussolini fondò a Milano i Fasci di combattimento, con un programma oscillante fra nazionalismo imperialistico e riforme democratiche. La crisi dello stato e della classe dirigente liberale era profonda. Le elezioni del 1919 – che furono effettuate dopo l’introduzione del suffragio universale maschile e del sistema proporzionale – rappresentarono un grande successo per socialisti e popolari. I liberali per poter governare si appoggiarono allora ai popolari. Alla guida del governo si succedettero prima Francesco Saverio Nitti (1919-20) e poi Giolitti (1920-21). Questi pose fine con successo sia all’avventura fiumana sia all’occupazione delle fabbriche da parte degli operai (settembre 1920); ma dovette cedere di fronte alle diverse ostilità dei socialisti, dei cattolici, dei nazionalisti e del mondo industriale. Intanto il fascismo, che già aveva ottenuto l’appoggio degli agrari in funzione antisindacale e antisocialista nelle campagne dell’Emilia-Romagna, ebbe sempre più il sostegno anche degli industriali, che non si sentivano più sufficientemente protetti dai liberali. Illudendosi di manovrare i fascisti, Giolitti li fece includere nei “blocchi nazionali” alle elezioni del 1921. Il governo di Ivanoe Bonomi (1921-22) vide crescere la forza dei fascisti, in un clima di conflitti spesso sanguinosi fra questi e i socialisti e i comunisti. Nel gennaio 1921 nacque, in conseguenza della scissione del Partito socialista, il Partito comunista d’Italia, persuaso di poter fare la rivoluzione che i socialisti avevano programmato ma che erano stati incapaci di mettere in atto. In novembre sorse anche il Partito nazionale fascista dalla fusione tra fascisti e nazionalisti. In una situazione di irresolubili contrasti fra le maggiori forze politiche, il fascismo diede l’assalto allo stato. Dopo un ultimo governo liberale, presieduto dal debole Luigi Facta, nell’ottobre del 1922 il fascismo si mobilitò militarmente compiendo la “marcia su Roma”. Il re cedette e diede l’incarico di formare il governo a Mussolini, che diede vita a una coalizione di fascisti, nazionalisti, popolari, liberali. Tra il 1922 e il 1923, creato il Gran Consiglio del fascismo, organizzata la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, riformata la scuola a opera di Gentile secondo linee gradite alla Chiesa, introdotta con la legge Acerbo una riforma elettorale che concedeva un forte premio (i due terzi dei seggi alla Camera) alla lista che avesse ottenuto la maggioranza con almeno il 25% dei voti, le elezioni del 1924, condotte in un clima di violenza contro le opposizioni, diedero ai fascisti e ai loro alleati una maggioranza del 64,9%. In seguito all’assassinio del socialista Giacomo Matteotti nel giugno del 1924, le opposizioni divise diedero vita alla “secessione dell’Aventino”, ritirandosi dal parlamento nella speranza di un intervento del re contro il fascismo; ma andarono incontro a una totale sconfitta. Rinsaldatosi al potere, dopo un momento di grave crisi, Mussolini procedette nel 1925-26 a varare le “leggi fascistissime”, che portarono a un enorme rafforzamento del potere esecutivo e segnarono la fine delle istituzioni liberali e del pluralismo partitico, con la costituzione del Partito fascista in partito unico. Fu creato un Tribunale speciale per la difesa dello stato e una polizia politica segreta (OVRA); e la gioventù venne inquadrata nelle organizzazioni del nuovo regime. Il “duce” Mussolini, con l’appoggio determinante dei ceti medi, dell’élite del potere economico e della Chiesa, stabilì così la sua dittatura e il fascismo assunse le caratteristiche di un regime totalitario, reso però incompiuto dal “compromesso” stabilito con altri centri di potere come la monarchia e la Chiesa (totalitarismo). L’11 febbraio del 1929 il fascismo pose fine allo storico conflitto fra stato e Chiesa con i Patti lateranensi, ottenendo così un larghissimo consenso cattolico, anche se nel 1931 insorsero profondi contrasti circa l’educazione dei giovani. Abolita la libertà sindacale, varata nel 1927 una Carta del lavoro, postosi il fine di creare un ordine corporativo atto a conciliare i rapporti fra capitale e lavoro, introdotta nel 1928 una nuova riforma elettorale di tipo plebiscitario ed elevato il Gran Consiglio del Fascismo a fondamento del governo, il regime sostituì infine nel 1939 la Camera dei deputati con la Camera dei fasci e delle corporazioni, abolendo di fatto qualsiasi traccia delle istituzioni parlamentari previste dallo Statuto albertino. La politica economica, dopo un’iniziale fase di liberismo antistatalistico (1922-25), subì una drastica svolta nel senso di un accentuato interventismo statalistico, specie per far fronte alla crisi iniziata nel 1929, e di cui furono massime espressioni la creazione nel 1933 dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), un vasto piano di opere pubbliche, il pieno controllo del sistema bancario, il lancio della politica “autarchica” volta al massimo sfruttamento delle risorse interne e la battaglia del grano. Il regime procedette a una capillare repressione contro le forze dell’antifascismo, rivolgendosi con particolare durezza contro i comunisti, il cui capo, Antonio Gramsci, arrestato nel 1926, morì nel 1937. All’opposizione e per la massima parte in esilio, si trovarono Benedetto Croce, Gaetano Salvemini, Piero Gobetti, Turati, Nenni, Sturzo, Nitti, Alcide De Gasperi, i fratelli Carlo e Nello Rosselli, Emilio Lussu, Palmiro Togliatti. In politica estera, il fascismo, dopo le fasi iniziali segnate dall’appoggio alla Francia contro la Germania, dall’ostilità verso il nuovo stato iugoslavo e dalla protezione dell’indipendenza dell’Austria, culminata nel 1934 e nella seguente conferenza di Stresa (1935) in un’energica azione contro le mire di Hitler, subì una drastica svolta. La guerra per la conquista dell’Etiopia (1935-36), che oppose l’Italia alla Società delle Nazioni, sanzionò l’irreversibile alleanza tra fascismo e nazismo. Forte del fallimento delle deboli sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni e vittorioso in Etiopia, nel maggio del 1936 Mussolini proclamò la nascita dell’impero raggiungendo il massimo di consenso nel paese. La guerra civile spagnola (1936-39), nella quale l’Italia intervenne a fianco dei franchisti, saldò definitivamente l’alleanza fra l’Italia e la Germania nazista, che nel 1936 stabilirono l’“asse Roma-Berlino”, nel 1937 il patto Anticomintern (cui aderì anche il Giappone), nel 1939 il patto d’acciaio. In questo quadro, l’Italia dapprima si ritirò dalla Società delle Nazioni (1937), quindi accettò nel 1938 l’occupazione dell’Austria da parte dei tedeschi (Anschluss). Alla conferenza di Monaco (settembre 1938), che provocò la distruzione della Cecoslovacchia, Mussolini appoggiò decisamente la politica di Hitler. La crescente subordinazione del fascismo al nazismo si espresse anche nell’emanazione nel 1938 di leggi razziali dirette contro gli ebrei, condannate dalla chiesa. Nel 1939 l’Italia occupò l’Albania. Scoppiata la seconda guerra mondiale nel settembre del 1939, l’Italia, dopo un periodo di “neutralità armata”, entrò nel conflitto il 10 giugno 1940, in uno stato di grave impreparazione militare, illudendosi che esso fosse ormai prossimo a risolversi in senso favorevole ai tedeschi. Avendo subito gli italiani irrimediabili insuccessi in Africa, in Grecia e in Russia, nel luglio del 1943 gli angloamericani sbarcarono in Sicilia, determinando il crollo del regime fascista (25 luglio), dopo che Mussolini era stato messo in minoranza al Gran Consiglio del fascismo per iniziativa di Achille Grandi. Il duce fu arrestato per ordine del re e il governo venne affidato dal re al maresciallo Pietro Badoglio, che in una situazione di caos, nel corso del governo detto dei “quarantacinque giorni”, portò il paese fuori dal conflitto in seguito all’armistizio del 3 settembre, a cui seguirono l’8 settembre il crollo dell’esercito e la fuga a Brindisi del sovrano. Nell’Italia settentrionale, occupata dai tedeschi, Mussolini, da essi liberato, diede vita il 23 settembre a un regime neofascista repubblicano (Repubblica Sociale Italiana) con sede a Salò; mentre nell’Italia occupata dagli alleati fu formato il “regno del sud”, che dichiarò guerra alla Germania il 13 ottobre, con la formazione di governi di coalizione fra i partiti antifascisti guidati da Badoglio (1943-44) e Bonomi (1944-45). Nell’Italia dominata dai nazifascisti, che misero in atto sanguinose repressioni, si organizzò, sotto la direzione di Comitato di liberazione nazionale (CLN) e del Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI), la Resistenza armata partigiana, a cui diedero un particolare impulso le formazioni comuniste e quelle del Partito d’azione. Nel 1943-44 vi furono nel nord ripetuti scioperi. Il 25-26 aprile 1945, ebbe luogo l’insurrezione nazionale. Mussolini, catturato mentre fuggiva in Svizzera, venne giustiziato il 28 aprile.