Le suddivisioni dell’Impero

Roma antica Le riforme e la società di Augusto

Accingendosi a compiere la sua complessa riforma istituzionale, Ottaviano evitò brusche rotture con il passato. Egli indirizzò anzi ogni suo sforzo al fine di presentare se stesso come restauratore della repubblica, sottoponendo il proprio programma al controllo del senato e del popolo di Roma. Accreditare un nuovo ordinamento come ricomposizione di un ordine antico e mascherare da restaurazione quella che era di fatto una rivoluzione furono gli obiettivi di un’audace scommessa, che Ottaviano giocò e vinse. Ottaviano aveva ben presenti nella memoria gli esempi da non imitare di Cesare e di Antonio, cioè di un potere personale giunto al culmine e crollato tragicamente allorché stava per trasformarsi in vera e propria monarchia. La linea di intervento che egli scelse fu quindi quella di individuare gli strumenti utili per condizionare l’intera attività legislativa dello stato, senza rivestire direttamente cariche elevate. Per raggiungere il suo obiettivo occorreva però compiere comunque un percorso obbligato attraverso le istituzioni ancora in vigore: in effetti, dal 31 al 23 a.C., Ottaviano si fece eleggere ogni anno al consolato, rivestendo la magistratura suprema per tutto il tempo necessario ai fini della definizione della nuova figura del “principe”. Nel 27 il senato gli attribuì l’appellativo onorario di Augusto, dai pregnanti contenuti politico-religiosi. Accanto a tale titolo, che da allora in poi avrebbe accompagnato tutti gli imperatori romani, e al patronimico “figlio del dio Cesare” (divi Caesaris filius), Ottaviano non accettò altri titoli oltre a quello di princeps (= primo fra i cittadini), che già in passato era stato utilizzato per designare personaggi benemeriti dello stato. Nel 27 a.C., mentre già procedeva al riordino delle carriere dei senatori e dei cavalieri, Augusto mise in atto una grande riforma amministrativa: delle 41 province che componevano l’impero quelle nelle quali era necessaria la presenza costante di truppe furono poste sotto il diretto controllo del principe. Le province già pacificate, prive di truppe, rimasero invece sotto il controllo del senato, che le amministrava tramite governatori eletti con il sistema tradizionale. Mediante tale riforma Augusto acquisiva di fatto il comando di tutto l’esercito, poi sancito nel 23 a.C. dall’attribuzione dell’imperium proconsulare maius, e non scontentava troppo i senatori giacché le province rimaste sotto il loro controllo erano quelle nelle quali essi avevano i più consolidati interessi economici. Nello stesso 23 il principe assunse anche la tribunicia potestas, secondo cardine del suo potere: essa comportava l’assunzione di tutte le prerogative proprie degli antichi tribuni della plebe: l’inviolabilità, il diritto di veto, il diritto di convocare il popolo in assemblea. Augusto abbandonò allora definitivamente il consolato: imperio proconsolare massimo e potestà tribunizia gli consentivano infatti di dirigere da posizioni di forza, senza rivestire direttamente cariche magistratuali, quella che ancora si chiamava la “repubblica romana”. Il nuovo ordinamento di Augusto coincise in larga parte con il riassetto delle carriere pubbliche e degli uffici amministrativi centrali e provinciali. Egli procedette a una trasformazione della carriera senatoria, senza abolire nessuna delle magistrature repubblicane che dovevano anzi obbligatoriamente essere rivestite da chi volesse in seguito assumere funzioni di potere effettivo e di grande rilievo. Alla carriera senatoria Augusto affiancò una carriera equestre completamente rinnovata, che consentiva ai cavalieri, tradizionali avversari politici dei senatori e perciò più propensi a seguire le direttive imperiali, di ottenere potenza e prestigio sociale pari a quello dei senatori. La “rivoluzione” di Augusto ebbe effetti notevoli anche sulla struttura sociale dello stato romano. La sua azione riformatrice e pacificatrice determinò una forte ripresa economica e portò alla diffusione di un discreto benessere presso tutti i ceti; l’economia riprese a fiorire; la produzione agricola crebbe in tutto l’impero; i commerci conobbero un grande sviluppo; gli allevamenti si arricchirono. Non mancava però qualche dato contraddittorio: ad esempio, la conclusione delle guerre influì negativamente sul mercato degli schiavi; a sua volta la carenza di schiavi determinò la nascita del colonato e del bracciantato agricolo libero, cioè la formazione di una nuova classe inferiore su cui si sarebbero in futuro scaricati gli effetti più dannosi delle crisi economiche. In ogni caso la pace e altre realizzazioni di grande impatto psicologico su larghissimi strati dell’opinione pubblica, nonché l’azione propagandistica culturale e politica sostenuta dagli intellettuali al servizio del principe, aggregarono attorno ad Augusto un consenso sociale vastissimo e tale da stroncare ogni velleità di rivincita da parte di alcuni settori dell’aristocrazia senatoria.