La rivoluzione industriale

rivoluzione industriale La rivoluzione industriale inglese

Solitamente quando si parla di rivoluzione industriale, o di avvio dello sviluppo economico moderno, ci si riferisce al processo verificatosi in Inghilterra a partire dalla seconda metà del Settecento e che da lì si diffuse successivamente all’Europa, agli Stati Uniti, a parte del Sudamerica, alle colonie di insediamento bianco e al Giappone, per coinvolgere solo dal secondo dopoguerra altri paesi dell’Asia e dell’Africa. La rivoluzione industriale inglese, giunta a compimento verso la metà dell’Ottocento, è riconducibile alla presenza di fattori di natura diversa. Le peculiari tradizioni politiche britanniche e la mentalità delle sue classi dirigenti, inclusa l’aristocrazia, offrivano un terreno particolarmente propizio allo sviluppo delle attività economiche e alla ricerca del profitto, che potevano svolgersi in un quadro di libertà e di certezza del diritto sconosciuti nella maggior parte del continente e che erano oggetto di una valutazione sociale più positiva che altrove. Inoltre, l’Inghilterra aveva già trasformato radicalmente la sua agricoltura e la sua popolazione, che era tra le più prospere d’Europa, costituiva un possibile mercato anche per consumi non di prima necessità. Proprio nella rivoluzione agricola, attuata in Gran Bretagna con qualche anticipo rispetto all’industrializzazione e nel corso del suo primo svolgersi, è stata spesso individuata una sorta di precondizione per il verificarsi della rivoluzione industriale. Il possesso di un vasto impero coloniale e l’elevata disponibilità di materie prime e di risorse ampliavano poi le dimensioni degli scambi e le potenzialità produttive. In questo contesto si colloca l’introduzione di numerose innovazioni tecnologiche, che presentandosi con una straordinaria concentrazione temporale permisero incrementi di produttività senza precedenti. Il settore industriale che ne fu per primo protagonista fu quello tessile. L’avvento della meccanizzazione della filatura e, in un secondo tempo, della tessitura, prima del cotone e poi della lana, permisero, con un caratteristico meccanismo di botta e risposta nel campo delle innovazioni, sviluppi straordinari: nella filatura del cotone, ad esempio, la produttività del lavoro crebbe di circa 150 volte entro la fine del secolo e di trecento entro il 1825. Si trattò certamente, come avrebbe sostenuto Schumpeter, di “bufere di distruzione creativa”, giacché alle innovazioni si accompagnarono anche drammatiche conseguenze: basti pensare che la meccanizzazione della tessitura portò con sé la distruzione della figura professionale centrale dei tessitori, che dai circa 250.000 che erano nell’Inghilterra del 1820 si videro ridotti a 3000 intorno alla metà del secolo. In seguito all’industrializzazione si diffusero e si inasprirono pertanto i conflitti sociali e la lotta di classe, che diedero luogo al sorgere del movimento operaio. Gli altri grandi protagonisti della rivoluzione industriale furono il carbone e la macchina a vapore. Nella prima fase la forza motrice usata nell’industria tessile rimase ancora quella idraulica. Ma la macchina a vapore, il cui uso si diffuse soprattutto dall’inizio dell’Ottocento, permise di estrarre il carbone in profondità, aprendo la possibilità di disporre di risorse energetiche sino a quel momento impensabili. Fu questa rivoluzione energetica a imprimere un’autentica svolta nella storia dell’umanità, giacché grazie ad essa si poté contare per la prima volta su risorse praticamente illimitate, o in ogni caso disponibili per secoli e non più, come era stato sino ad allora, per poche generazioni. Anche in questo caso si innescò un felice meccanismo di botta e risposta: la macchina a vapore sostituì l’acqua, più discontinua e inaffidabile, come forza motrice; permise l’estrazione di una maggior quantità di carbone, che a sua volta serviva ad alimentarla; carbone e macchina a vapore diedero l’impulso ad altre industrie, come quella siderurgica e meccanica, e l’insieme di questi fattori rese possibile, a partire dagli anni Venti dell’Ottocento, quell’altro evento rivoluzionario che fu l’avvento delle ferrovie. Sul versante dell’organizzazione del lavoro, il dato saliente della rivoluzione industriale consiste nell’introduzione del sistema di fabbrica. A partire dall’industria tessile, la concentrazione del lavoro e delle macchine in un unico edificio, la divisione del lavoro e il controllo sui suoi orari e sui suoi ritmi da parte del proprietario capitalista si sostituirono progressivamente ai preesistenti modelli organizzativi protoindustriali, largamente legati al lavoro a domicilio e alla compresenza di attività agricole e industriali. L’avvento del factory system determinò la fine della centralità della famiglia come luogo di organizzazione e di divisione del lavoro e la separazione sempre più netta del lavoratore, divenuto salariato, dal controllo del processo produttivo e dei prodotti del lavoro; in contrapposizione ai lavoratori salariati si affermarono così la proprietà privata del capitale e dei mezzi di produzione e, all’insegna della logica del profitto individuale, la figura del moderno capitalista industriale.